Salone internazionale del libro di Torino, 9 maggio 2024. Il presidente di Libera e Gruppo Abele Don Luigi Ciotti con la direttrice de lavialibera Elena Ciccarello
Salone internazionale del libro di Torino, 9 maggio 2024. Il presidente di Libera e Gruppo Abele Don Luigi Ciotti con la direttrice de lavialibera Elena Ciccarello

Salone del libro di Torino, Ciotti: "Su guerre tacere è una colpa"

"Ci sono momenti della vita in cui tacere diventa una colpa. Non possiamo essere spettatori di quello che sta avvenendo". Così il presidente di Libera e Gruppo Abele don Luigi Ciotti, a proposito delle guerre in corso e, in particolare, del conflitto israelo-palestinese

Redazione <br> lavialibera

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10 maggio 2024

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“Ci sono momenti della vita in cui tacere diventa una colpa. Non possiamo essere spettatori di quello che sta avvenendo”. Così don Luigi Ciotti, a proposito delle guerre in corso e, in particolare, del conflitto israelo-palestinese. “In momenti come questi parlare è un obbligo morale e una responsabilità civile - ha aggiunto -. Ora siamo chiamati a non venire meno, a sostenere quanti lottano e cercare la strada per la pace”. Al Salone del Libro di Torino, il presidente di Libera e Gruppo Abele ha dialogato con la direttrice de lavialibera Elena Ciccarello, su alcuni dei temi più rilevanti del presente. “Unire la terra al cielo: dialogo su giovani, partecipazione e futuro”. "Non possiamo  guardare ai ragazzi e alle ragazze di oggi con gli occhi e le categorie del passato" ha ammonito Ciotti, che proprio ieri pomeriggio è giunto al salone  di Torino dopo un incontro con ragazze e ragazzi in Molise: "Sono i giovani che fanno la differenza nella nostra società e chiedono cambiamento, ma sono una generazione che si oppone a un mondo sempre meno accessibile, preda della produttività". Di seguito, alcuni dei passaggi della sua riflessione. 

Don Luigi Ciotti ed Elena Ciccarello
Don Luigi Ciotti ed Elena Ciccarello

Una generazione precaria

“Dobbiamo guardare alle nuove accelerazioni, agli scenari nuovi che ci circondano: si sperimentano problemi nuovi, le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale aprono altri spazi e scenari inediti. Ma soprattutto aprono a nuovi bisogni. C’è un rischio da evitare: di guardare i percorsi esistenziali dei giovani, di leggere le loro esperienze con gli occhi del passato. Io che l'anno prossimo compirò 80 anni devo fare in modo di non leggere la realtà ancorato alle cose belle, positive, alle battaglie che si sono fatte. Ricchi delle esperienze che abbiamo accumulato nella vita, dobbiamo guardare con la stessa passione con cui noi abbiamo guardato alla nostra esperienza, i sogni, i nostri desideri di cambiamento, ma senza il rischio di guardarli con gli occhi del passato. Dobbiamo cogliere i percorsi inediti che i ragazzi oggi ci pongono.

"C’è un cambiamento da compiere, ragazzi e ragazze ci indicano dove andare con la loro creatività, la loro fantasia, i loro studi, la loro intelligenza, anche con le loro fragilità"

Oggi nel nostro Paese e non solo, sono i giovani a fare la differenza e a segnalare oggi la necessità di cambiare. C’è un cambiamento da compiere e loro ci indicano dove andare, con la loro creatività, la loro fantasia, i loro studi, la loro intelligenza, anche con le loro fragilità. Loro vivono un modo poco accessibile e si oppongono a un mondo basato sull’invivibilità (come la crisi ambientale), la grande crisi economica e la dimensione sociale. Loro vivono oggi da ragazzi quello che noi viviamo: un mondo meno accessibile. I ragazzi e le ragazze hanno avuto la possibilità in questi anni di vivere il nomadismo, di fare quindi una pluralità di esperienze come l’Erasmus, che ha permesso di allargare gli sguardi. E questo non si può dimenticare. Un altro elemento da non sottovalutare che è una generazione immersa nella cultura digitale, che ha le sue positività e anche i suoi rischi. I nostri ragazzi hanno bisogno di essere accompagnati e vivono una sfida che la senti quando entri nel loro mondo e si trovano ad affrontare i problemi e le sfide, come l’affettività e la sessualità, e hanno bisogno di avere dei punti di riferimento. Si confrontano anche con le migrazioni, con persone che arrivano da tanti luoghi. 

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C’è la delusione di molti verso la politica e le istituzioni: sono scoraggiati, vedono dei fatti che ci inquietano e si scontrano con promesse che poi non si realizzano e provano sconforto. Vivono poi la mancanza di certezze di un futuro lavorativo non precario, non a tempo determinato. E anche la scuola diventa per pochi, con tanti che abbandonano e altri che non riescono a permettersi di studiare all’università. Ci sono grandi opere che possono aspettare, perchè serve investire sulla cultura, sulla scuola, sull’educazione come strumento per diventari cittadini e cittadine consapevoli e attenti. 

"Sono adolescenti che rifiutano quell’ossessiva richiesta di protagonismo produttivismo, di efficientismo fisico e psichico e che si sentono soffocati"

Sentono il peso delle disuguaglianze, dell’esclusione e del prezzo che pagano di più i vulnerabili. Altri non riescono più a uscire di casa e si ritirano dal contatto con gli altri. Entrano in ritiro sociale. C’è un bisogno che si alza con forza: vogliono essere ascoltati. Negli ultimi anni ho visto ragazze e ragazzi manifestare con dei cartelli con su scritto: ‘Ho l’ansia’. Ci chiedono di accettare la loro fragilità. Sono adolescenti che ci stanno dicendo che rifiutano quell’ossessiva richiesta di protagonismo produttivo, di efficientismo fisico e psichico e si sentono soffocati. Gli adulti devono essere capaci di intercettarne le fatiche e accompagnarle. Quando trovano dei punti di riferimento veri, coerenti, credibili diminuiscono anche il disorientamento e l’ansia. La loro passione e la loro determinazione allora si vedono: serve lasciarli liberi”.

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“Sulla guerra non possiamo stare zitti”

“Sarebbe troppo facile essere preoccupato degli scenari internaizonali. Provo piuttosto una grande sofferenza a vedere ciò che sta succedendo, perchè abbiamo cominciato a prendere coscienza collettivamente delle guerre solamente due anni fa, con il conflitto in Ucraina e poi, successivamente, con la vicenda israele-palestinese. La sofferenza per molti di noi è di essere a conoscenza delle 59 guerre che stanno continuando a uccidere nel mondo, anche se non se ne parla, tranne poche eccezioni. Con milioni di persone morte e mutilate, che sono state costrette ad abbandonare la loro terra. Di fronte a tutto questo io non riesco a provare altro che sofferenza. La prossima settimana a Verona ci sarà un’Arena per la Pace. A tutto questo mi permetto di dire: sembra che la storia non ci abbia insegnato nulla

Sono nato nel 1945, era finita la seconda guerra mondiale con 50 milioni di morti. Quando tutti hanno detto “basta”, è nata la Costituzione, la Dichiarazione dei diritti umani, la volontà di costruire un’Europa unita. Oggi tutto questo sembra essere stato dimenticato.Assistiamo alla follia distruttiva. La guerra è sempre errore e orrore, una violenza intollerabile che annulla la civiltà della vita e del suo irrinunciabile valore. Cresce la logica della contrapposizione e del conflitto, senza una presa di coscienza. Addirittura si taccia di ingenuità chi prova a parlare di diplomazia. Ci sono state delle voci che hanno addirittura preso in giro la profondità delle parole di Papa Francesco

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Il diritto a difendersi è sacrosanto, ma poi devono entrare in gioco le mediazioni, la diplomazia. Solo poche voci si sono alzate, come quella del Segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres. Tanti altri sono rimasti in silenzio. Noi non dobbiamo distrarci, ma cogliere questi segnali inquietanti: l’Italia è al sesto posto al mondo per l’esportazioni di armi e di armamenti. Nel 1990 il nostro Paese ha approvato una legge, che aveva posto norme più stringenti per questo mercato. Ora invece si vuole eliminare uno strumento che era importante, ossia la relazione al Parlamento sull’esportazione delle armi. Un problema di trasparenza, che vale anche per le banche che finanziano questo settore: un meccanismo che favorisce i mercanti di morte. Di fronte a questo non possiamo tacere, perchè la prima grande vittima della guerra è la verità. 

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Di fronte a tutto questo, non possiamo rimanere indifferenti, ma prendere esempio dalle donne israeliane e palestinesi che ogni venerdì si danno la mano e camminano insieme. Noi non dobbiamo essere, come qualcuno vorrebbe, equidistanti, ma anzi, dobbiamo sforzarci di essere equivicini".

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