I Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) sono strutture dove vengono trattenuti, in modo amministrativo e senza aver commesso reati, cittadini stranieri irregolari in attesa di espulsione. La detenzione avviene per violazioni amministrative, come l’ingresso o la permanenza illegale in Italia.
Attualmente i CPR attivi in Italia sono dieci, da Milano a Trapani, più uno in Albania (Gjadër). Spesso collocati in ex caserme o carceri, ospitano circa 1.100 persone. I CPR sono stati introdotti nel 1998 come Cpta, poi ridenominati Cie (2002) e infine CPR (2017), con l’obiettivo di aprirne uno per regione. Nel 2021 vi sono state trattenute persone da 71 paesi, in prevalenza tunisini e marocchini. Il trattenimento è disposto dalla questura e convalidato da un giudice di pace entro 48 ore. La durata massima è stata progressivamente aumentata fino a 18 mesi (dal 2023), anche per i richiedenti asilo.
Le criticità dei CPR sono molteplici: regolamenti non fondati su legge, udienze lampo, condizioni igieniche e sanitarie precarie, sovraffollamento, abusi nei trattamenti medici, casi di autolesionismo e suicidi (14 tra il 2018 e il 2022). Circa la metà dei trattenuti viene poi rilasciata, mentre solo il 10% viene effettivamente rimpatriato. La gestione è affidata a privati tramite bandi delle prefetture. Tra il 2021 e il 2023 sono stati spesi oltre 56 milioni di euro, esclusi i costi del personale statale. Si segnalano profitti privati a fronte di servizi essenziali carenti, soprattutto sanitari. Il costo medio mensile per trattenuto varia tra i 750 e i 1.000 euro.