2 gennaio 2025
La tensione tra politica e giustizia è fisiologica ed è una fortuna che ci sia. Se non ci fosse vorrebbe dire, come succede nei paesi autoritari, o che la politica ha sottomesso la giustizia o che la giustizia ha fatto fuori la politica. Oppure, ipotesi peggiore, che politica e giustizia si sono messe d’accordo.
Credo quindi che con questa tensione dovremmo imparare a convivere. Attenzione, però: non si tratta di una guerra, come qualcuno dice, perché la guerra presuppone che si combatta sullo stesso terreno. Invece la politica, giustamente, rivendica la possibilità, in base all’investitura democratica, di perseguire gli obiettivi che fanno parte del proprio programma. Questo è un lato, ma c’è anche l’altro, e cioè la giustizia che tutela l’interesse generale affinché la politica persegua i suoi fini, ma nel rispetto di certe regole stabilite dal diritto. In realtà i due terreni non dovrebbero incontrarsi, è un po’ come un fiume rispetto ai suoi argini. La magistratura presidia quegli argini, mentre la politica rappresenta la corrente, l’energia che scorre nell’alveo del fiume per arrivare alla foce, cioè ai risultati.
"La politica esonda sul versante della giustizia, vuole superare gli argini e quindi attacca i giudici tutte le volte che sembra non siano favorevoli e conformi ai suoi obiettivi"
Nel nostro caso si è andati al di là di questo schema fisiologico, che è tipico delle democrazie basate sulla prevalenza del diritto, sul principio di legalità. La politica esonda sul versante della giustizia, vuole superare gli argini e quindi attacca i giudici tutte le volte che sembra non siano favorevoli e conformi ai suoi obiettivi. Chi vuole vivere secondo la Costituzione deve rendersi conto, però, che per quanto si sia investiti dal consenso elettorale è necessario rispettare i limiti e chi quei limiti li fa valere.
Dare del comunista a un giudice è estremamente grave, al limite del vilipendio della magistratura. Significa pensare che il giudice stia tradendo la propria funzione, che non è essere al servizio di un’ideologia ma al servizio della legge. Se a me che sono professore avessero detto che andavo a lezione per fare propaganda a un partito politico, li avrei denunciati alla magistratura. Siamo abituati a sentirci ripetere contumelie di questo genere, di cui non si avverte la gravità.
Nel caso in cui la politica ritenga che i giudici a loro volta abbiano esondato, esistono una serie di strumenti per reagire. La politica può fare ricorso contro le decisioni dei giudici e può persino cambiare la legge, come è avvenuto negli ultimi decenni. Naturalmente ciò deve essere fatto nel rispetto della Costituzione, con i giudici che possono rivolgersi alla Corte costituzionale. Se ai politici la legge non piace e se la Consulta ritiene sia contraria ai princìpi della Carta, possono persino cambiare la Costituzione. Quindi, in realtà, l’ultima parola è della politica, come prevede il principio democratico. Se, però, non si attivano tutti questi strumenti la politica deve sottostare alle pronunce dei giudici.
(intervento alla trasmissione su La7 In altre parole Domenica, in onda il 17 novembre 2024)
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Politica all'attacco della magistratura. Il governo italiano, come quello di altri paesi occidentali, mostra insofferenza verso alcuni limiti imposti dallo stato di diritto delegittimando giudici e poteri di controllo