24 novembre 2020
La stessa mascherina e la stessa biancheria da giorni, l'immondizia mai ritirata lungo tutti i corridoi della nave. La sporcizia, l'umiliazione di una reclusione che sa di ingiustizia ed emarginazione. Uno shampoo scaduto, le lenzuola sporche che servono, legate l'una all’altra, a costruire una corda e tentare la fuga. Mi mostra così, Ulfat, le foto del suo disagio, della sua disperazione. Immagini che raffigurano il tentativo di calarsi lungo il tribordo della nave ferma al porto di Empedocle. Su quella nave, che per il gioco del destino si chiama Allegra, Ulfat ci vive da più di un mese e non si spiega bene il perché. Attende per giorni e giorni il tampone molecolare ma viene sempre rinviato, attende un medico ma non arriva, vede i suoi compagni in preda a crisi di panico e isterie collettive. Freddo, umidità e solitudine.
Paure e speranze dei migranti in otto atti
Ulfat è uno dei migranti che vivevano nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) a Roma e che, risultati positivi al covid, dopo un primo tampone sono stati fatti salire su un pullman e portati al Sud per trascorrere il periodo di isolamento fiduciario sulle cosiddette navi quarantena – istituite dal governo lo scorso 12 aprile per isolare i migranti arrivati in Italia via mare – che sostano di fronte ai porti di Trapani, Palermo e Bari. Ad Ulfat è capitato il porto di Palermo.
“Nessuno mi ha mai mostrato il risultato del mio tampone positivo, eppure lo sto chiedendo da più di un mese”. Ulfat dubita di tutto e tutti, non ci può credere che da una situazione di, seppur precaria, stabilità possa essere stato scaraventato in mezzo al mare da un giorno all'altro, senza certezze sul domani.
Nato nel 1995, Ulfat è in Italia da tempo. A febbraio ha fatto il primo colloquio con la Commissione territoriale per valutare la sua idoneità come richiedente asilo. Al momento del trasferimento su una delle navi quarantena, era in attesa di un nuovo incontro, dopo aver fatto ricorso in seguito al primo diniego. Una risposta che ad oggi non è ancora arrivata. Il Cas dove si trovava aveva registrato diversi casi di positività e l'intera struttura era stata posta in quarantena. La mancanza di spazi per l'isolamento ha creato le condizioni il trasferimento sulla nave, senza alcuna garanzia di quello che i migranti troveranno una volta tornati a terra.
La mancanza di spazi per l'isolamento nei Cas ha portato al trasferimento dei migranti sulle navi quarantena, senza alcuna garanzia di quello che troveranno una volta tornati a terra
Come nel caso di Awuni, un altro richiedente asilo sbarcato dalla nave Allegra dopo un periodo di quarantena durato tre settimane. Una volta tornato nella Capitale, questo ragazzo poco più che ventenne, originario del Gambia, non ha più trovato spazio nei centri di accoglienza a Roma e si trova ora a dover vagare per giorni e giorni alla stazione Termini, senza più un tetto né una minima idea di futuro. Violazioni costanti e giornaliere che trovano poco spazio e poca, pochissima condanna sociale. Esseri umani invisibili che peggiorano in modo drammatico la loro condizione già precaria di migranti in fuga dal dolore o dalla guerra.
Per l'avvocata Flora Castelli di Asgi che segue il caso parliamo di “chiare e costanti violazioni, sia dal punto di vista sanitario che da quello legale. Parliamo di cittadini liberi, non detenuti. La prefettura, in assenza di spazi idonei alla quarantena, poteva chiedere di rinunciare all’accoglienza e chi voleva andava a trascorrere la quarantena in un altro luogo, anche a casa di un amico. A un detenuto avrebbero dato almeno un foglio di notifica, i miei assistiti non hanno niente in mano, quando li hanno portati via non hanno ben capito neanche cosa stesse accadendo”.
"Parliamo di violazioni sia sanitarie sia legali. A un detenuto avrebbero dato almeno un foglio di notifica, i miei assistiti – che pure sono liberi cittadini – non hanno niente in mano"Flora Castelli - Associazione studi giuridici sull'immigrazione
"Sui migranti un'illegalità che va bene al governo"
Tra i tanti migranti che sostano un tempo infinito sulle navi ci sono anche dei profili altamente sensibili: dalle vittime di torture, a chi ha subito abusi in Libia. Questo non sembra tuttavia costituire un problema o un criterio di selezione. Su quella stessa nave, lo scorso 5 ottobre, ha perso la vita un ragazzino di nome Abou, di soli 15 anni. Denutrizione, solitudine, mancanza di cure adeguate. Ma tutto sulla nave Allegra prosegue come se niente fosse: “Continuate, continuate a suonare”, direbbe il Capitano del Titanic alla sua orchestra.
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