3 giugno 2021
In mano alla ’ndrangheta, in mano alla massoneria deviata, in mano a vecchie e nuove lobby politiche, economiche e finanziarie, tutte coalizzate per spolparle le ossa, che quelle sono rimaste. In mano pure a Satana… Croce, dunque, sulla Calabria che galleggia in un pericoloso deficit di legalità. Ma è davvero la ’ndrangheta la madre di tutti i problemi del mancato sviluppo? Oppure anch’essa è figlia di una storia plurisecolare d’abbandono? E quanto è completo il suo racconto?
C’è una tendenza a estremizzare tutto quel che avviene a queste latitudini. È la cifra di come vanno le cose, una regola di successo, a cui pochi si sottraggono, secondo la quale bisogna usare tinte forti nel raccontare la Calabria. Senza edulcorazioni linguistiche. Anche quando i fatti parlano da soli. Anche nella lotta alla mafia, perché non c’è memoria della mafia e dell’antimafia. Ogni settimana si legge di inchieste nuove e rivoluzionarie, ogni volta è come se si scoprissero le carte per la prima volta. Prendiamo l’inchiesta Rinascita-Scott,che di per sé nei numeri e nella ipotesi accusatoria svela scenari cupi e mette nuovamente al centro di trame criminali il ruolo di uomini delle istituzioni che vanno a braccetto con poteri occulti e crimine organizzato, per cui non avrebbe bisogno di enfatizzazioni. Ma chi si ricorda di altre inchieste ormai storiche con numeri identici quando non superiori su mafiosi e manutengoli, incappucciati e barbe finte, politici corrotti e corruttori, che hanno saccheggiato e messo a ferro e fuoco la regione nell’ultimo quarto del secolo passato e oltre? Senza memoria prevale l’attualità. E così da anni si assiste a una affannosa ricerca mediatica nel dare della Calabria una rappresentazione crescente di alterità.
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In un calcio diventato industria, mafie ed estremismo di destra entrano negli stadi per fare affari