Esistono diverse tipi di povertà: la povertà materiale così come quella spirituale, la povertà educativa o quella digitale. Il concetto di fondo rimane lo stesso: scarsità, mancanza, deficit, qualcosa che dovrebbe esserci e che invece non c’è (o c’è in quantità insufficiente). È la povertà economica, però, a dominare la scena pubblica, cioè la mancanza di risorse sufficienti per garantire a sé e alla propria famiglia il sostentamento adeguato. Una condizione umana che viene costantemente misurata e classificata, con l’ormai tradizionale distinzione tra povertà assoluta e relativa. A parole, l’impegno per cancellarla o ridurla è univoco e internazionale, come dimostra anche la scelta di celebrare una giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, il 17 ottobre di ogni anno. Tra le buone intenzioni e la pratica concreta, però, la distanza è ampia. Interessi economici e scelte politiche continuano ad alimentarla, allargando la forbice tra ricchi e poveri del mondo. Contrastare la povertà è una priorità, un passo necessario per guadagnare giustizia sociale, uguaglianza, libertà ed emancipazione di persone e popoli. Con la consapevolezza che la povertà non è un fenomeno lontano, una “malattia” che appartiene solo a specifiche aree del mondo, come l’Africa, il continente povero per eccellenza, nell’immaginario collettivo. La povertà ci tocca da vicino, è anche nel nostro mondo e ha a che fare con le scelte che prendiamo in tema di lavoro, di welfare, di sfruttamento delle risorse. La pandemia da Covid-19, se mai ce ne fosse stato bisogno, lo ha dimostrato una volta di più, facendo emergere nuove e profonde fragilità, molto vicine ad ognuno di noi.