8 novembre 2024
“Ogni giorno è così: la mattina ti alzi, cambi la signora, pulisci – perché vivi lì – poi cucini, lavi i piatti e infine metti la signora nel letto”, racconta Geta, vivace signora di 60 anni proveniente dalla Moldavia rumena, da una cittadina dove spesso rimbomba il tuono dei terremoti, che ora vive a Roma. Dal 2005 Geta lavora in Italia come badante convivente: “È un lavoro in cui devi essere cosciente che la tua vita sarà dedicata a un’altra persona”. E lei lo sa bene: nella sua esperienza ha incontrato situazioni estremamente diverse, da chi soffriva di Alzheimer ai problemi di deglutizione, perlopiù lavorando “fissa”. “Ultimamente – dice però – non è più così: lavoro solo di giorno, da una signora che ha avuto un brutto male. Però non si può fare così con un malato di Alzheimer. Lavorare come badante è molto difficile e come categoria non ci calcola nessuno”. Così, tra click day per le assunzioni e stipendi bassi, il rischio è quello di far affiorare quella che viene definita “Sindrome Italia”, un fenomeno medico-sociale causato dal lavoro usurante, lavoro povero, la solitudine e la lontananza dal Paese d'origine e dalla famiglia.
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Molte lavoratrici domestiche nei primi anni Duemila si sono scontrate con l’impossibilità di una regolarizzazione: in mancanza di accordi tra l’Italia e Paesi come Moldavia e Romania, erano costrette a pagare somme esorbitanti ai trafficanti e a contrarre debiti
“È un lavoro stancante e non capisco perché lo Stato non lo consideri usurante. E poi è specifico, devi entrare nella famiglia, abituarti: è come sposarsi tante volte,” le fa eco Lidia, arrivata in Italia dalla Moldavia nel 1998, quando nel suo Paese – che aveva ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 – c’era l’elettricità solo per sei ore al giorno. “Spesso lavoravo anche i giorni liberi, a nero, perché all’inizio i figli ti dicono che hanno piacere a rimanere con i genitori, ma la verità è che loro hanno le loro famiglie e vogliono avere la loro libertà", dice lei che vive a Como dopo aver lavorato in Calabria, Piemonte e altre città della Lombardia.
Molte lavoratrici domestiche nei primi anni Duemila si sono scontrate con l’impossibilità di una regolarizzazione: in mancanza di accordi tra l’Italia e Paesi come Moldavia e Romania, erano costrette a pagare somme esorbitanti ai trafficanti e a contrarre debiti, che poi dovevano saldare con gli interessi. Per paura di dover pagare di nuovo, molte non sono tornate a casa per anni mentre c’è chi, fermato al confine, ha dovuto ritentare più volte. “Ero su un pullman con cinque ragazzi, l’unica donna – racconta Maria, mentre passa una mano tra i corti capelli grigi –. Ci hanno fermati al confine tra Slovenia e Italia e ci hanno fatti scendere. Avevo tantissima paura e ho chiamato mio marito da una cabina telefonica: ho anche dormito in quella cabina.”
Con l’ingresso della Romania nell’Unione Europea e la possibilità anche per i moldavi di ottenere la cittadinanza rumena, molte lavoratrici, come Lidia e Geta, hanno potuto mettersi in regola. Tuttavia, ancora oggi le politiche migratorie italiane pongono un freno alla regolarizzazione di molti lavoratori.
Per noi il decreto flussi è una grande ipocrisia. Nel nostro ambito non assumi qualcuno che non hai mai visto e sarebbe utile che la formazione avvenisse già nei Paesi di provenienzaLorenzo Gasparrini - segretario generale di Domina, asso
Il principale imputato è il decreto Flussi, che prevede che in alcuni giorni stabiliti dal ministero dell’Interno, i click day, i datori di lavoro richiedano attraverso un portale il nullaosta per entrare in Italia per chi intendono assumere. Le quote, però, sono irrisorie rispetto alle domande: nei tre click days previsti per marzo 2024 sono state presentate 690.000 domande in poche ore, a fronte di 151.000 quote. Come riportato poi dal dossier “Ero straniero”, molte di queste domande non riescono a trasformarsi in nullaosta e ancora di meno in un permesso di soggiorno, lasciando i lavoratori ancora di più nel limbo dell’irregolarità.
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“Per noi il decreto Flussiè una grande ipocrisia – afferma Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, associazione nazionale che riunisce datori di lavoro e lavoratori del settore domestico –. Nel nostro ambito non assumi qualcuno che non hai mai visto e sarebbe utile che la formazione avvenisse già nei Paesi di provenienza. L’autorizzazione per il nullaosta, poi, arriva dopo sei mesi, ma, se una famiglia ha un malato a carico, ha un bisogno immediato, quindi trova una soluzione alternativa e il lavoratore cade nell’irregolarità. Se si fa richiesta per un extracomunitario, vuol dire che quel determinato lavoratore non lo si trova sul territorio nazionale".
Secondo i dati dell’associazione Domina, circa il 51,8 per cento dei datori di lavoro assume un lavoratore domestico a nero e il fenomeno risulta essere in aumento per il cosiddetto “effetto sanatoria”
Secondo i dati dell’associazione Domina, circa il 51,8 per cento dei datori di lavoro assume un lavoratore domestico a nero e il fenomeno risulta essere in aumento per il cosiddetto “effetto sanatoria”, al quale, dopo un aumento dei contratti regolari nel 2020, ha fatto seguito una crescita del lavoro sommerso.
“Secondo l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (Inps), c’è stato un calo dei contratti regolari, da 860mila nel 2019 a 840mila nel 2023 – afferma Gasparrini –. Una famiglia che assume in nero un lavoratore pensa di risparmiare sui contributi, che incidono per il 10 o 15 per cento, ma incorre in una possibilità denuncia all’Inps per mancata contribuzione e non garantisce un’adeguata tutela dei diritti del lavoro”.
Secondo l’associazione, un passo significativo verso la regolarizzazione dei contratti può essere fatto tramite la decontribuzione totale del lavoro domestico. Tuttavia, questa misura non risulta ancora essere sul tavolo dei legislatori e il recente adeguamento degli stipendi previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) del 2022 rischia di dare un ulteriore colpo alle famiglie: infatti oggi solo il 4 per cento dei pensionati non autosufficienti – quelli che hanno bisogno dell’assistenza di una badante convivente – può permettersi di pagare 24.600 euro per una badante formata.
“I nostri anziani con la loro pensione non riescono a permettersi un’assistente, quindi è l’intero nucleo familiare che partecipa alle spese e si ‘impoverisce’”
“I nostri anziani con la loro pensione non riescono a permettersi un’assistente, quindi è l’intero nucleo familiare che partecipa alle spese e si ‘impoverisce’ – spiega Gasparrini –. Dal 2025 ci potrà essere l’aggiunta di un’indennità di accompagnamento dedicata a chi ha un lavoratore, ma ci sono dei criteri abbastanza stringenti per accedervi: età maggiore a 80 anni, un’indennità di accompagnamento e un Isee non superiore a 6000 euro". Quest’assegno di assistenza, prevede l’erogazione di un’integrazione di 850 euro all’attuale accompagnamento e, tra le misure previste dal Pnrr, affianca la creazione di un portale Inps apposito. “Vivere di più dovrebbe diventare un’opportunità e lo Stato dovrebbe far sì che ci sia un rimborso”.
Nel rapporto annuale sul lavoro domestico redatto da Domina, il dato che balza agli occhi è che mentre lo Stato risparmia sulle cure – nel 2022 si arriva a 8,8 miliardi di euro – a sobbarcarsi le spese sono le famiglie. Tuttavia, nonostante le nuove tutele previste per i lavoratori – come Cassa Colf, una cassa aggiuntiva per le spese sanitarie – il lavoro domestico rimane a forte rischio povertà. Circa il 30 per cento dei lavoratori del settore vive sotto la soglia di povertà e questo accade specialmente a coloro che non conoscono i propri diritti.
“Il mio datore di lavoro mi pagava il giorno prima che scadesse il termine dell’affitto – ricorda Maria, che ha lavorato prima come badante e poi come colf e babysitter in Umbria, per poi tornare in Romania: su 600 euro percepiti 400 erano solo per l’affitto del piccolo appartamento in cui viveva con il marito e la figlia –. E, quando mio marito ha avuto un incidente che l’ha reso invalido, per un po’ abbiamo mangiato anche con i pacchi della Chiesa cattolica”. In alcuni casi si può anche configurare un contesto di sfruttamento, soprattutto legato alla percezione culturale italiana che “il lavoro domestico non sia un vero lavoro”, ma solo un aiuto.
“Noi abbiamo diritto a 12 ore libere da lunedì a venerdì e 24 nel weekend, se lavori fissa, e per il vitto e alloggio sono 6,52 euro al giorno – spiega Geta –. Io non ho mai avuto problemi, ma so di colleghi al Sud che non potevano uscire mai”. Dichiara che anche chi è assunto regolarmente talvolta lavora a nero per una parte delle ore: per una badante convivente infatti il contratto è di 54 ore, ma spesso ne vengono proposti di 25 o 30.
“Quando facevo la badante, dormivo nella stanza della signora e lei gridava tutta la notte – dice Maria –. A mia sorella, in un’altra casa, non davano nemmeno da mangiare: doveva farsi la spesa da sola e, quando finiva di lavare i vetri, la signora glieli sporcava con le scarpe.”
Tuttavia, le condizioni di lavoro dipendono molto dalla famiglia: Lidia infatti racconta che non le è stato nemmeno mai proposto di dormire con la sua assistita e che poteva compilare la sua lista della spesa. Solo in una famiglia a Milano le hanno impedito di partecipare al funerale di suo padre in Moldavia.
“Le condizione del contratto? Neanche sapevo cosa fossero all’inizio! – esclama Fima, in Italia dal 2009 e badante per dodici anni in Veneto –. Però penso che con il dialogo si risolva tutto”. La comunicazione è la chiave in un settore dove spesso si viene assunti tramite passaparola: “Avevo un tetto sopra la testa, uno stipendio dignitoso ed ero considerata una di famiglia".
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Ed entrare nelle logiche della famiglia è il cuore del mestiere, dice Lidia, abituarsi alle regole di ogni casa. “Devi stare attento, però, qualcuno cerca di fregarti – dice Geta –. Prima di firmare devi sapere bene se la signora è autosufficiente o no, le malattie, i farmaci che prende. Devono dirti tutto.” Per questo oggi le badanti sono sempre più formate: Geta stessa racconta di avere due attestati, da corsi che ha seguito durante i fine settimana. A seconda del livello di competenza delle lavoratrici, la retribuzione e il contratto cambiano.
Secondo Lorenzo Gasparrini, le famiglie cercano soprattutto badanti formate e Domina offre corsi che vengono poi certificati dall'Ente bilaterale nazionale del comparto datori di lavoro collaboratori familiari (Ebincolf). Vertono anche su temi come la sicurezza in ambiente domestico e conoscere certi pericoli può fare la differenza. “A mia sorella non avevano detto che il signore aveva l’epatite C e le avevano detto di fargli le punture – racconta Maria –. Così si è infettata anche lei".
Il rischio di infezione non è l’unico problema con cui queste lavoratrici devono confrontarsi: molte dedicano decenni alla cura di estranei, lontane dalla propria famiglia, una condizione alienante che può sfociare in un fenomeno medico-sociale che viene chiamato “Sindrome Italia”, caratterizzato da diversi disturbi dello spettro ansioso-depressivo. E spesso la situazione in cui si trovano influisce sulla loro psiche anche se non sfocia in malattia: “Lontana dai miei figli piangevo tutti i giorni e avevo paura di entrare in depressione – dice Geta –. Avevamo solo un piccolo cellulare per dirci ciao”. Anche Lidia racconta di lunghe file alla cabina telefonica, con le persone che le gridavano di fare veloce, e dice che, nonostante ormai non ci sia più nulla che la lega alla Moldavia, sente ancora nostalgia.
“Per fortuna in Italia non ho mai subito episodi di razzismo – conclude Lidia –. Le persone brontolano, ma sono sempre pronte ad aiutare. Però qualche volta mi sento ancora fuori posto".
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