20 luglio 2020
Lavorava in modo disumano per pochi euro l'ora. E durante l'estate caldissima di cinque anni fa, il 13 luglio 2015, è morta di fatica nelle campagne di Andria, in Puglia. Si chiamava Paola Clemente, faceva la bracciante, ed estraeva gli acini troppo piccoli dai grappoli d'uva, per renderli omogenei: un processo laborioso, detto di acinellatura, che richiede un'alta specializzazione. Una morte che ha acceso i riflettori sullo sfruttamento dei lavoratori nei campi e un anno dopo — il 18 ottobre del 2016 —ha portato all'approvazione della legge per il contrasto al caporalatoe al lavoro nero in agricoltura.
La storia di Paola è stata raccontata dalla stampa a distanza di settimane dalla morte, a causa della scarsa attenzione sul fenomeno del caporalato e dei ritardi nelle indagini da parte della magistratura. Il primo articolo viene pubblicato dopo quasi un mese, il 4 agosto: “Dalla vigna al cimitero: Paola morta per 27 euro”, titola il Fatto Quotidiano. Però è solo con la prima intervista al marito della vittima rilasciata a La Repubblica il 18 agosto 2015 che la storia di Paola acquista notorietà. Da quel 18 agosto nulla è più come prima: si rileva un numero inedito di articoli pubblicati, un’attenzione al tema senza precedenti e la presa di consapevolezza e di impegno da parte del governo italiano.
Prevenzione, vigilanza e contrasto, ma anche supporto e reinserimento socio-lavorativo delle vittime dello sfruttamento lavorativo: la strategia del piano contro il caporalato
Paola Clemente non è stata la prima vittima di sfruttamento nei campi, ma la sua morte è avvenuta quando l'opinione pubblica era più attenta alla questione
Paola Clemente non è stata la prima vittima italiana di un sistema di potere e di oppressione che generalmente viene associato allo sfruttamento di braccianti di origine straniera. Un altro nome è quello diAnnamaria Torno, bracciante di 18 anni, morta il 1 marzo 1996 in un incidente stradale a Ginosa (in provincia di Taranto) mentre il caporale la stava trasportando al campo insieme alle compagne di lavoro all’interno di un pullmino sovraccarico. Ma la morte di Clemente è avvenuta in un momento storico maturo, in cui l’opinione pubblica, la società e la politica erano più attente al fenomeno del caporalato rispetto al passato grazie alle rivolte di Rosarno del 2010, lo sciopero di Nardò e l’introduzione nel codice penale del primo reato specifico relativo al caporalato nel 2011. Circostanze storiche che hanno generato una forte reazione di fronte alla storia di Paola Clemente. Significative le succesive dichiarazioni dell'allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina che ha subito affermato la necessità di una legge contro il caporalato ed equiparato il caporalato alle mafie, pretendendo strumenti adeguati per la sua repressione e prevenzione.
Viaggio nell'agromafia italiana: Marco Omizzolo per "Le città Invisibili", la newsletter mensile de lavialibera. Ogni prima domenica del mese un tema diverso
A livello quantitativo, si è passati da qualche decina di articoli sul caporalato pubblicati negli anni precedenti al 2015 a oltre 200 articoli negli anni 2015 e 2016. La grande attenzione mediatica generata da questa morte ha portato nell’ottobre del 2016 all’approvazione della legge 199, che ha riformato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Due sono gli elementi più innovativi della riforma. L’introduzione della responsabilità penale per il datore di lavoro, integrando così entrambe le condotte del reato: quella del caporale e quella del soggetto per cui svolge l'attività di intermediazione. L’inserimento della fattispecie di reato all’interno del perimetro dell’articolo 416 bis del codice penale, ovvero all’interno della normativa antimafia, con la corrispondente possibilità della confisca dei beni e dell’azienda e della collaborazione con la giustizia. Una legge che senza la morte di Paola avrebbe richiesto molto più tempo, altre vittime e altre ingiustizie.
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