2 aprile 2020
In Italia, paese col maggior numero di prodotti agricoli tutelati al mondo, mafie, agromafie e sistemi criminali di vario genere fanno affari d'oro radicandosi nella filiera agricola e commerciale. E questo nonostante alcune importanti operazioni di polizia e di molte procure italiane.
La mafia condiziona il mercato, stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l'esportazione del nostro vero o falso made in Italy, la creazione all'estero di centrali di produzione dell'Italian soundingGian Carlo Caselli e Gian Maria Fara
Chi ritiene le agromafie un fenomeno marginale non fa o non vuole fare i conti con la realtà. Secondo l'ultimo rapporto Agromafie e Caporalato della Flai Cgil, in Italia ci sono circa 450 mila persone che vivono condizioni di sfruttamento lavorativo solo in agricoltura e di questi ben 130 mila condizioni para-schiavistiche. I clan interessati sarebbero 27 per un fatturato complessivo, secondo l'Eurispes, intorno ai 25 miliardi di euro con un balzo del 12,4 per cento nel solo 2019 e una crescita che sembra non risentire della stagnazione dell’economia italiana e internazionale, immune alle tensioni sul commercio mondiale e alle barriere circolazione delle merci e dei capitali. Una rete criminale, afferma ancora lo studio Eurispes, che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire sempre di più il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza.
Questo articolo è stato pubblicato come prima puntata della newsletter mensile "Le città invisibili". Iscriviti per ricevere le newsletter de lavialibera
Le pratiche di reclutamento e sfruttamento
È la legge 199/2016: una norma di civiltà e di presidio democratico capace, quando applicata, di restituire libertà e speranza a donne e uomini che per anni hanno lavorato anche 14 ore al giorno per qualche centinaio di euro al mese, obbligati ad abbassare la testa dinnanzi al padrone, a vivere in ghetti, porcilaie o baracche, a muoversi in bicicletta e a sopravvivere in un Paese che li ha condannati ai margini. Vite di scarto, direbbe Bauman, che con la legge 199, promulgata proprio grazie alle loro proteste, ora possono guardare con maggiore fiducia al loro futuro.
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Alla nuova legge contro lo sfruttamento si somma un recentissimo disegno di legge atteso da anni – ora in consiglio dei ministri – che aiuta la battaglia contro le agromafie. Si tratta del reato di “agropirateria”: la proposta si fonda sul concetto di tutela del patrimonio agroalimentare, inserito nel codice penale come nuovo bene giuridico, e sulla definizione di comportamenti a rischio a partire dalle condizioni di allevamento degli animali o dell’uso di prodotti chimici nei campi.
La linea di azione è duplice e contempla, da un lato, la tutela della salute e, dall’altro, la tutela dell’ordine economico. L'obiettivo infatti è anche quello di tutelare dalla concorrenza sleale le imprese che operano nel rispetto delle norme. È un risultato ottenuto grazie al lavoro importantissimo di Gian Carlo Caselli.
In buona sostanza viene predisposta una rete di protezione più ampia. Necessaria perché attualmente solo i prodotti Dop e Igp sono tutelati contro la contraffazione. Importante è la revisione del reato di frode, che in passato era legato alla consegna materiale del prodotto mentre in futuro sarà allargato ad attività antecedenti come il ricorso a indicazioni false e ingannevoli. Sotto questo profilo saranno specificamente sanzionati i casi di “falso biologico” e di falsa indicazione d'origine. Sono inoltre introdotti elementi sanzionatori e dissuasivi che aggrediscono il patrimonio dell’imprenditore colpevole di alterare le caratteristiche merceologiche del prodotto.
Un altro fronte è rappresentato dalle frodi comunitarie. Milioni di euro stanziati dai Fondi europei per l'agricoltura vanno ancora troppo spesso nelle tasche delle mafie e non invece agli agricoltori e imprenditori onesti. La burocrazia associata ad una politica incapace di governare questi processi finisce per sfavorire le imprese che coltivano i terreni confiscati alle mafie. D’altro canto, il mancato automatismo tra confisca di suoli e blocco dei fondi agevola i clan che, in alcuni casi, continuano a percepire denaro anche dopo la perdita del terreno. A questo banchetto siedono tutte le mafie, a volte anche straniere, con il loro stuolo di avvocati, commercialisti, politici e consulenti compiacenti. Il legame tra le agromafie e una platea sempre troppo vasta di professionisti, impiegati pubblici ed esponenti politici è ancora poco indagato e merita invece un approfondimento.
Purtroppo insieme ad alcuni passi in avanti si registrano anche provvedimenti pericolosissimi. Tra questi la vigenza ancora del Decreto sicurezza che secondo Amnesty International Italia, con il dossier I sommersi dell'accoglienza, hanno peggiorato il sistema di accoglienza in Italia generando ghettizzazione e povertà, sia economica sia sociale.
Una situazione da non sottovalutare perché sta provocando l’aumento di vittime dello sfruttamento lavorativo e delle attività criminali, come dimostrano i processi aperti. Oggi chi chiede asilo e i beneficiari, esclusi dal sistema di accoglienza, sono esposti infatti a emarginazione sociale con un alto rischio di finire nelle maglie della criminalità. Le nuove misure che escludono i richiedenti asilo dal sistema dell’accoglienza e l’abolizione della protezione umanitaria, oltre a complicare i processi di inclusione, privano molte persone di uno status legale favorendo di fatto la creazione di un contesto in cui diminuiscono le tutele e aumenta il rischio di marginalità sociale ed economica.
A tutto questo si aggiunge il traffico internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo che porta in Italia centinaia di migliaia di donne e uomini originari dell'Africa subsahariana, India, Bangladesh, Pakistan, Libia e di molti altri paesi, al solo scopo di lavorare come schiavi nelle nostre campagne. Esistono mafie straniere che in Italia gestiscono affari milionari, in alcuni casi con l'ausilio e sotto la podestà di clan italiani. La loro primaria collocazione è proprio nella filiera agricola nazionale. Esse gestiscono la tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, l'intermediazione illecita (caporalato) e una serie di “servizi” non secondari come il racket interno alla propria comunità di appartenenza, usura, rinnovo dei documenti normativamente previsti, superamento delle vertenze con il datore di lavoro, spaccio di sostanze stupefacenti, in alcuni casi connesso allo sfruttamento nei campi agricoli come nel caso della comunità indiana pontina - come denunciato dal dossier Doparsi per lavorare come schiavi della cooperativa “In Migrazione” - gestione illegale delle abitazioni e dei servizi connessi.
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A febbraio 2020 è stato promulgato dal governo italiano il primo piano triennale di contrasto al caporalato. Sembrano passati decenni da quando le stesse istituzioni consideravano il tema residuale, espressione di un retaggio economico e storico che interessava solo alcuni piccoli territorio del Sud del Paese. Poi le azioni di lotta, a volte condotte dal sindacato e in particolare dalla Flai Cgil, le lotte condotte in alcuni casi dai braccianti stranieri che, come nel caso di Rosarno, Nardò, Agro Pontino, Castel Volturno e in vari altri territori, hanno conquistato spazi pubblici e dignità difendendo la democrazia di questo Paese.
Il piano triennale è un ottimo inizio. Finalmente si ragiona di prevenzione, contrasto, servizi pubblici e accompagnamento dei braccianti gravemente sfruttati in un percorso di riqualificazione professionale e sostegno individuale che permetta loro di considerare non solo giusto ma anche conveniente denunciare, e dunque attendersi dallo Stato italiano quella giustizia e libertà che invece è stata negata loro per anni.
Questo piano deve però diventare azione quotidiana e radicale, impegno concreto e non solo teorico. Questo è il vero impegno che la politica deve assumersi senza fare sconti e finalmente espellendo dal sistema sociale e economico ogni forma di sfruttamento, mafia e caporalato.
C'è ancora un grande lavoro da fare. A ricordarlo è Bruno Giordano, magistrato di Cassazione ed esperto della materia. Ma si può senza alcun dubbio guardare con maggiore fiducia al futuro e continuare a lottare perché i diritti umani, dei lavoratori e delle lavoratrici non vengano più umiliati a vantaggio dei padroni e dei padrini delle agromafie italiane.
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