Sulla destra in primo piano, il procuratore di Bari Giuseppe Volpe (Donato Fasano - Lapresse)
Sulla destra in primo piano, il procuratore di Bari Giuseppe Volpe (Donato Fasano - Lapresse)

Il procuratore di Bari: "Senza controlli, soldi a imprese mafiose"

Giuseppe Volpe, che guida anche la Dda nel nord della Puglia, segnala i rischi di operazioni finanziarie opache: "Noi come procure di tutta la Puglia, del distretto barese e leccese, siamo già pronti per fare le verifiche"

Luca Carofiglio

Luca CarofiglioGiornalista freelance

22 aprile 2020

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Le imprese legate ai gruppi criminali potrebbero ottenere dalle banche i prestiti garantiti col decreto liquidità, lo strumento adottato dal governo per aiutare aziende, artigiani e professionisti a superare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus. “C’è il rischio che senza un minimo di filtro e di controlli sui destinatari e sull’impiego, con un’erogazione di somme a pioggia si possa destinare questo denaro ad attività di impresa diverse da quelle bisognose di sostegno”, spiega a lavialibera il procuratore capo di Bari Giuseppe Volpe, a capo della Direzione distrettuale antimafia. “Noi come procure di tutta la Puglia, del distretto barese e leccese, – prosegue il magistrato – siamo già pronti per verificare con la Guardia di Finanza e con le altre forze di polizia cosa succederà nelle prossime settimane”.

Il decreto liquidità

Da lunedì le banche hanno cominciato a ricevere le prime richieste. Il decreto non prevede misure specifiche per evitare che la liquidità vada a beneficio di soggetti interessati da fenomeni mafiosi. Un richiamo esplicito alla documentazione antimafia è contenuto solo nell’articolo 13 del decreto, con riferimento alle piccole e medie imprese. I meccanismi che agevolerebbero attività economiche “opache” potrebbero essere quelli della “interposizione nominativa fittizia, oppure ci possono essere truffe deducendo presupposti che non esistono – spiega Volpe –. O ancora intermediazioni e operazioni finanziare online”. Quindi i circuiti criminali potrebbero beneficiare delle somme garantite dallo Stato, per esempio grazie a imprese gestite da “teste di legno”, prestanome messi dai mafiosi per raggirare la legge oppure falsificando i dati per accedere ai benefici.

Di fronte a queste lacune legislative nel frattempo una risposta viene fornita direttamente dal lavoro dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria. In particolare, nei distretti di Bari e Lecce si stanno utilizzando programmi informatici della Guardia di Finanza “nei quali confluiscono come in un database tutti gli elementi che possono essere utili a osservare il fenomeno, oltre a un continuo e necessario scambio di informazioni che gli istituti di credito riterranno segnalarci”, spiega il procuratore barese.

Queste attività di osservazione e indagine si rivelerebbero utili nel caso in cui sia necessario utilizzare gli strumenti normativi antimafia. “Noi possiamo intervenire con misure pesanti, come i sequestri e le confische – aggiunge – oppure con misure di prevenzione di natura patrimoniale che, sulla base di indizi, colpiscono patrimoni la cui origine è sospetta”. A questi strumenti giudiziari si affianca la sorveglianza della Banca d’Italia con il potere di sospendere, in caso di allerta riciclaggio, le attività che dovrebbero essere segnalate come sospette.

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Aiuti criminali a famiglie e imprese

Le mafie con l’erogazione di prestiti usurari possono aiutare gli impresari, per poi domani mettere le proprie mani sugli affariGiuseppe Volpe - Procuratore capo di Bari

La crisi economica nata dall’emergenza sanitaria sta permettendo alle associazioni mafiose di mostrarsi capaci di “sostenere” commercianti e famiglie in difficoltà. In una nota inviata ai questori il 7 aprile scorso, il capo della Polizia di Stato, Franco Gabrielli, aveva già lanciato questo allarme. “C’è il pericolo che le mafie con l’erogazione di prestiti usurari possano aiutare gli impresari, per poi domani mettere le proprie mani sugli affari – allerta Volpe –, strozzando gli imprenditori fino a spingerli a cedere le attività”. Questo è possibile proprio perché le compagini criminali hanno a disposizione molto denaro contante.

E i clan baresi non sono esclusi. Nella sola estate del 2018 la Direzione investigativa antimafia di Bari aveva trovato più di tre milioni di euro in una villa a Santo Spirito, mentre l’anno precedente più di 900 mila euro in un appartamento del quartiere Japigia. In entrambe le occasioni, i contanti erano nascosti in intercapedini dietro finti muri.

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I clan di Japigia, i più propensi ad approfittarsene

La Japigia, quartiere alla periferia di Bari (Wikipedia)
La Japigia, quartiere alla periferia di Bari (Wikipedia)

Tra tutti i clan di Bari, quelli del quartiere Japigia possono emergere e approfittare della situazione. Il rione a Sud della città, nato intorno alla metà del ‘900, è stato tra gli anni Ottanta e Novanta la prima grande piazza di spaccio di eroina. È qui che cresce e nasce Savino Parisi, uno dei più importanti boss oggi detenuto. Si tratta di un quartiere popolare sorto per ospitare le fasce più deboli e povere della popolazione. Oggi questa zona resta abbastanza isolata dalle altre nonostante si sia allargata: vicino alle case popolari sono sorte numerosissime residenze private, mentre mancano ancora piazze e luoghi di socializzazione.

Secondo l’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, ancora oggi a Japigia opera il clan Parisi al fianco dei Palermiti. Il gruppo si occupa di traffico di stupefacenti, estorsioni, ricettazione, riciclaggio, ma anche dell’acquisizione di società e imprese attraverso prestanome e di scommesse on-line. “L’esperienza delle nostre indagini mi fa dire – spiega Volpe – che sono proprio le organizzazioni di Japigia quelle capaci di ricorrere agli strumenti dell’economia per realizzare profitti”. Alcuni appartenenti a questi clan sono stati processati per usura ed estorsione per aver prestato denaro e poi costretto a cedere le attività. Tuttavia, secondo i dati attuali, non c’è il rischio che a Bari e provincia i clan gestiscano in seconda linea l’emergenza e, a differenza di Foggia, non si sono viste nascere negli ultimi tempi imprese per la sanificazione o pompe funebri gestite dai mafiosi.

Droga: la criminalità barese non sta ferma

Abbiamo bloccato 20 chilogrammi tra cocaina ed eroina sbarcati dall’Albania. Vogliono creare una scorta per il futuroGiuseppe Volpe

Nel frattempo la prima fonte di guadagno delle famiglie criminali, lo spaccio, non è cessato del tutto: “C’è indubbiamente una diminuzione del movimento, ma forse si sono attrezzati con nuove forme di consegna come quella a domicilio”, aggiunge Giuseppe Volpe. Anche a Bari le mafie continuano a guardare in prospettiva futura e questo preoccupa. Non hanno rinunciato ai grossi approvvigionamenti per quando potranno occuparsi di nuovo a tempo pieno del commercio illegale. “Questo allarme proviene per esempio dal sequestro di alcuni giorni fa, quando abbiamo bloccato 20 chilogrammi tra cocaina ed eroina sbarcati dall’Albania – conclude il procuratore -. Grosse quantità del genere si giustificano solo con la volontà di creare una scorta per il futuro”.

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