L’Unione europea considera lavoratore povero colui che è impiegato per almeno 6 mesi l’anno e fa parte di un nucleo familiare che si trova in condizione di povertà relativa. I lavoratori poveri possono essere dipendenti, autonomi, atipici, non standard e in molti casi dietro la loro condizione si associa a contratti mal pagati, precari e senza tutele.
Secondo i dati Eurostat, nel 2021 l'8,9 per cento dei lavoratori dell'Unione europea è a rischio povertà, con fattori quali età, cittadinanza e livello di istruzione che incidono in modo significativo.
Altro elemento di cui tenere conto è l'intensità lavorativa, ossia il rapporto tra il numero totale di mesi in cui tutti i membri della famiglia in età lavorativa hanno lavorato durante l’anno di riferimento del reddito e il numero totale di mesi che gli stessi membri della famiglia avrebbero teoricamente potuto lavorare nello stesso periodo.
Secondo la ricerca, in tutti i paesi Ue a eccezione di Belgio, Irlanda e Finlandia oltre il 20 per cento degli adulti che appartengono a nuclei familiari a bassa intensità lavorativa è a rischio povertà.
In altri Stati, fra cui l'Italia, il dato supera il 40 per cento. La povertà non risparmia neppure chi lavora tanto: in Ue il 9,4 per cento delle famiglie a elevata intensità lavorativa è a rischio povertà. In Italia, è a rischio povertà l’8,3 per cento delle famiglie a intensità lavorativa alta.
I lavoratori più a rischio appartengono alla fasce fragili della popolazione: donne, stranieri, giovani, persone con basso titolo di studio e modesta estrazione sociale.
Per contrastare il lavoro povero, il salario minimo rappresenta uno degli strumenti più importanti, da affiancare a maggiori diritti e tutele dei lavoratori.
Il 14 settembre 2022 la Commissione europea ha approvato una direttiva sul salario minimo, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni dall'entrata in vigore, ossia entro il 15 novembre 2024. Tale direttiva prevede salari minimi adeguati nei paesi che hanno introdotto nel loro ordinamento legislativo il salario minimo.
In Italia e in tutti quei paesi dove al momento non esiste una legge in tal senso, la direttiva non impone alcun vincolo e si limita a rafforzare il coinvolgimento delle parti sociali sul monitoraggio e la raccolta dati e sull’applicazione dei minimi salariali.
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