San Ferdinando (Rc), 2023. L'insediamento nell'ex tendopoli. Foto di F.Donnici
San Ferdinando (Rc), 2023. L'insediamento nell'ex tendopoli. Foto di F.Donnici

A 15 anni dalla "rivolta di Rosarno", la tendopoli di San Ferdinando è ancora un ghetto per i braccianti

Non migliorano in Calabria le condizioni abitative dei braccianti migranti. Oltre 500 persone ancora vivono nell'area della tendopoli. Le associazioni denunciano l'abuso di sostanze, risse e aggressioni, che potrebbero portare a nuovi disordini. Per questo chiedono alle istituzioni di interrompere la catena di interventi in emergenza

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

14 gennaio 2025

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“Le condizioni di vita nella tendopoli di San Ferdinando lasciano il tempo che trovano: rimane pur sempre una tendopoli isolata da tutto il resto”. Lo afferma Mauro Destefano, coordinatore del “Progetto Calabria” di Emergency, a lavialibera, per spiegare la richiesta di confronto inoltrata da una serie di associazioni attive nella Piana di Gioia Tauro alla prefettura di Reggio Calabria, all’Azienda sanitaria provinciale (Asp) e alla Regione Calabria. Nella denuncia dello scorso 7 gennaio, quindicesimo anniversario della “rivolta di Rosarno”, si parla di un "peggioramento della situazione" e di "crescente tensione sociale" negli insediamenti sorti, in particolare, tra le campagne e la zona industriale tra San Ferdinando, Rosarno e Taurianova dopo i fatti del 2010.

Le associazioni vogliono interrompere la catena di interventi in emergenza che nel tempo ha trascinato gli abitanti dei “ghetti” in un ciclo uroborico dove alla fine di una baraccopoli corrisponde l’inizio di un’altra. Da qui la richiesta di un incontro – nel frattempo accordato dalla prefettura – "per ragionare sugli interventi da attuare per contrastare le gravi condizioni di vulnerabilità sociosanitaria" e "per trovare una soluzione, contraria alla logica dei ghetti, all’insediamento informale della tendopoli". Dal canto suo, Luca Geatano, sindaco di San Ferdinando da giugno 2022, sottolinea i passi in avanti fatti nell’ultimo periodo e i progetti in fieri orientati a "superare quelle tristi condizioni di vita": "Il mio obiettivo – ha specificato – non è quello di edulcorare una realtà che è sotto gli occhi di tutti ed inaccettabile, bensì quello di rappresentare l’impegno delle Istituzioni a superare questa situazione".

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"Non siamo nella stessa situazione della rivolta, ma il rischio è reale perché proprio la storia ci insegna che potrebbe bastare una scintilla"Mauro Destefano - Coordinatore "Progetto Calabria" di Emergency

La denuncia delle associazioni porta l’attenzione su alcune "risse e aggressioni" avvenute fuori e dentro il perimetro dell’ex tendopoli. L’ultima risale allo scorso 16 dicembre. La vittima, un lavoratore bracciante residente all’ostello solidale “Dambe So” (nato nel 2022 su impulso di una serie di realtà, tra cui Mediterranean Hope-Fcei, per dare ospitalità a 20 persone nel periodo di raccolta agrumicola), sarebbe stato investito da un automobilista lungo una delle strade che collegano le residenze ai campi. "Non è un episodio isolato – sottolinea Destefano –. A febbraio scorso avevamo assistito una persona che era stata aggredita secondo le stesse dinamiche". Più di un campanello d’allarme. "Non siamo nella stessa situazione della rivolta, ma il rischio è reale perché proprio la storia ci insegna che potrebbe bastare una scintilla", ribadisce il coordinatore di Emergency.

La memoria corre subito al germe della rivolta del 2010 quando le violenze e le intimidazioni nei confronti dei braccianti-migranti ammassati nei ruderi dell’ex Opera Sila e dell’ex Esac – strutture create con fondi pubblici ma mai entrate in funzione – raggiunsero l’apice. "Venuto meno il così detto inganno delle 'arance di carta’ (che implicava un raggiro ai danni della Comunità europea e dell’Inps, ndr), quelle persone non servivano più allo scopo per cui erano arrivate nella Piana e per i rosarnesi dovevano andarsene", racconta don Pino Demasi, parroco di Polistena e referente di Libera nella Piana di Gioia Tauro. A scatenare la rivolta fu la falsa notizia che quattro migranti erano stati assassinati. Così, "quelle persone – ricorda Demasi – che fino ad allora avevano sempre dimostrato un grande senso dello Stato, scesero in piazza e con molta violenza misero a soqquadro Rosarno".

Il controeffetto fu la caccia u niguru (letteralmente “caccia al negro”) fomentata dai "figli della ‘ndrangheta che non potevano accettare che degli stranieri mettessero a soqquadro la 'loro' città". Lo storico e giornalista Rocco Lentini, su un numero tematico di Narcomafie pubblicato nel 2010, ricostruì il profilo di alcuni dei presenti: "Al capo del ’comitato’ si poneva Domenico Ventre, ex assessore di destra in una giunta che verrà poi sciolta per mafia". Assieme a lui "c’erano i rampolli delle ‘famiglie’ della Piana, non solo di Rosarno" come Antonio Bellocco "arrestato per aver tentato di travolgere i migranti con la propria auto". La situazione degenerò al punto tale che il Viminale, per la sicurezza stessa dei migranti, decise di allontanarli dalla città. "Mi chiesero di mediare – racconta don Pino Demasi, che li convinse a salire sui pullman che li avrebbero portati lontani dal centro abitato di Rosarno –. Credevo fosse il male minore, ma credo che quella sera vinse la ‘ndrangheta, non lo Stato. Non a caso ricordo che quando partì l’ultimo pullman i rosarnesi applaudirono le forze dell’ordine, cosa mai successa fino a quel momento". È così, col progressivo rientro dei migranti durante i periodi di raccolta, che avrà inizio la lunga stagione dei ghetti.

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Quindici anni dopo: più di 500 persone nell’area della tendopoli

"Rarissimi rimangono i casi in cui vengano registrate in busta paga le giornate di lavoro effettivamente svolte"Rapporto sulle condizioni di vita e lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro - Medici per i diritti umani

Dalla rivolta a oggi poco è cambiato. Si sono susseguiti interventi in emergenza scanditi da sgomberi e nascita contestuale di nuovi insediamenti. La tendopoli si era popolata a maggio 2019, dopo lo sgombero dell’ex baraccopoli voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. A distanza di cinque anni, quello che per estensione e densità di popolazione le associazioni definiscono "il più grande insediamento informale della Calabria" è tornato a essere una baraccopoli con capanne di legno e lamiera costruite sui resti delle tende. "Oggi vivono lì oltre 500 persone anche se il numero è variabile", dice sempre Destefano a lavialibera.

Nell’XI rapporto sulle condizioni di vita e lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro diffuso da Medici per i diritti umani (Medu) a fine maggio 2024, viene evidenziato "il calo delle presenze nella Piana in continuità con le ultime stagioni – circa mille persone a fronte delle circa 2.500 degli anni precedenti al 2020 – a causa di una contrazione nell’offerta di lavoro derivante dalla crisi ormai pluriennale del settore agrumicolo". La stragrande maggioranza delle persone proviene dall’Africa subsahariana e risulta regolarmente soggiornante in Italia (92 per cento). Tra questi, il 69 per cento risulta in possesso di un regolare contratto di lavoro. Tuttavia, evidenzia il rapporto, "rarissimi rimangono i casi in cui vengano registrate in busta paga le giornate di lavoro effettivamente svolte". La condizione delle persone che popolano gli insediamenti e in particolare la tendopoli è inoltre influenzata dagli interventi normativi che rendono "precaria la loro regolarità" sul territorio italiano. A ogni decreto che restringe il perimetro dei diritti e pone ulteriori condizioni per il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno corrispondono nuove forme di vulnerabilità che aumentano l’esposizione delle persone migranti a fenomeni criminali e affini al caporalato.

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Questi aspetti hanno conseguenze anche sulle condizioni abitative e di salute. "In merito all’integrazione sanitaria – si legge sempre nel report di Medu – solo il 52 per cento delle 148 persone che hanno risposto alla domanda, ha dichiarato di essere iscritta al Servizio sanitario nazionale, spesso in altre regioni". A ciò si aggiunge anche un altro tema, quello delle dipendenze da alcol e droghe che tali situazioni di vulnerabilità e precarietà inducono. "Gli episodi di tensione e violenza possono anche essere generati dal fatto che molte persone, invecchiate in questi luoghi senza avere ottenuto i contributi necessari a vivere dignitosamente, si abbandonano alle droghe o agli alcolici con tutte le conseguenze anche psichiche che ne provengono – dice Destefano –. Spesso proviamo a strutturare percorsi di supporto psicologico con le persone che vivono negli insediamenti", tuttavia risulta "molto difficile perché più una persona vive isolata. E più vive in uno stato di abbandono, più è difficile agganciarla. Abbiamo avuto casi di persone con le quali abbiamo provato ad avviare dei percorsi in collaborazione col Serd, per aiutarle a fuoriuscire da situazioni di dipendenze, ma rimangono casi isolati. Rimane difficile creare percorsi stabili".

Oltre i ghetti: progetti vecchi e nuovi

Qualcosa nell’ultimo periodo si è mosso. A marzo 2024 è stato sgomberato il campo container di contrada Testa dell’Acqua, nella zona industriale di Rosarno. Novantasei persone sono state trasferite al “Villaggio della solidarietà” in contrada Cutri. A Taurianova si va invece verso un progressivo sgombero del “ghetto” di contrada Russo, uno degli insediamenti più problematici della zona. Il Comune guidato dal 2020 da Rocco “Roy” Biasi, eletto in quota Lega prima del passaggio a Fratelli d’Italia lo scorso novembre, era risultato vincitore dei fondi Asilo, migrazione e integrazione (Fami) – per circa la metà dei 3,5 milioni di euro messi a disposizione dalla Commissione europea – per "incentivare la deghettizzazione".

Misure che, rivolgendosi soltanto alle amministrazioni su cui territori sorgevano insediamenti informali, avevano di fatto tagliato fuori il Comune di San Ferdinando nel periodo in cui la tendopoli, gestita da Caritas, era un insediamento formale contrassegnato dai vessilli, nella forma di tende blu con scritte bianche, del ministero dell’Interno. Escluso era risultato anche il Comune di Rosarno con annessa polemica politica tra un gruppo di parlamentari Cinque Stelle e l’assessorato regionale guidato dal forzista Gianluca Gallo. Con quei fondi a Taurianova è stata inaugurata, il 19 novembre 2020, l’“Agenzia sociale dell’abitare”, che faceva da apripista al progetto del “Villaggio sociale” composto dai moduli abitativi posti in un terreno confiscato nelle adiacenze dell’insediamento di contrada Russo. A San Ferdinando, nell’ottica di un progressivo sgombero della tendopoli, la Regione Calabria aveva lanciato il progetto di un ecovillaggio per lavoratori migranti, a cui aveva destinato fondi comunitari per circa 10 milioni di euro . Lo scorso maggio, però, il progetto è stato bocciato dal Consiglio comunale di Gioia Tauro che ha votato contro la delibera per cambiare la destinazione d’uso da area industriale ad area di civile abitazione. "In base all’esperienza maturata – dice oggi il sindaco di San Ferdinando – stiamo sviluppando un progetto in collaborazione col governo, la Regione e la prefettura che consiste nel dotare i migranti di un fattore produttivo, una vera e propria azienda agricola con tanto di terreni così che alla dimensione abitativa si possa coniugare anche quella lavorativa per favorire l’emersione di soggetti a rischio sfruttamento".

Nel progetto, a detta del primo cittadino, dovrebbero essere investiti 4,7 milioni di euro che si sommerebbero ai 2,4 milioni legati a un altro progetto "già firmato con la Regione e i Comuni di Rosarno e Taurianova per garantire l’accesso ai servizi essenziali e alla sicurezza dei lavoratori migranti" oltre a "garantire l’inclusione sociale" attraverso "un sostegno all’abitare anche attraverso voucher per l’affitto calmierato". Il tutto, nella speranza che venga posta fine a un grottesco ciclo emergenziale che rischia altrimenti di divenire perpetuo.

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