11 aprile 2020
Si muore nei ghetti della piana di Gioia Tauro, dove l'emergenza coronavirus sta rendendo la vita impossibile. Non ce l'ha fatta Amadou, 31enne maliano, che domenica è stato aggredito nell'insediamento informale in contrada Russo di Taurianova da un coetaneo, allontanato nei giorni scorsi dalla tendopoli di San Ferdinando. Si chiama Sylla Daouda ed è "un ragazzo con problemi psichiatrici, senza alcuna possibilità di accedere alle cure”, racconta Francesco Piobbichi, operatore sociale di Mediterranean Hope, progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Situazioni che, durante la pandemia, sono ancora più complesse da gestire del solito.
Amadou era uno dei tanti “invisibili” della Piana. Uno dei tanti volti ai quali viene associato un nome solo per necessità di cronaca e solo quando è troppo tardi. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, “è stato colpito ripetutamente e con forza sul capo e in altre parti del corpo con un bastone di legno per poi essere lasciato riverso a terra sanguinante. L’aggressore è stato subito fermato da altri cittadini lì presenti, mentre tentava di colpire nuovamente il ferito”. Trasportato d’urgenza all’ospedale di Polistena, Amadou si è spento al nosocomio di Reggio Calabria, dove i medici hanno tentato di tutto per salvarlo senza riuscirci. Increduli gli altri ragazzi, dimostratisi – sempre stando alle parole dei carabinieri accorsi – “di grande aiuto, collaborativi e responsabili”.
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Molti di loro sono braccianti agricoli, costretti a vivere dispersi nei meandri della Piana di Gioia Tauro. Qui l'emergenza ha esasperato difficoltà già conosciute da tempo: baracche fatiscenti che non permettono il distanziamento sociale; mancanza di acqua che va ad alimentare condizioni igieniche già disastrose; impossibilità di autocertificare gli spostamenti per motivi lavorativi, soprattutto se quei lavori, agli occhi della legge, non esistono. Ecco perché da giorni in contrada Russo di Taurianova si susseguono le assemblee. E, poco prima di apprendere della morte di Amadou, gli abitanti hanno scritto una lettera al Governo per rispondere – si legge – “alla comunicazione della Polizia nella quale è stato deciso lo sgombero della baraccopoli”.
“In realtà non corrisponde a una intimazione di sgombero – spiega sempre Piobbichi, presente al momento dell’arrivo della Polizia – ma è un rimarcare quanto già sapevamo: il ghetto di contrada Russo può essere smantellato da un momento all’altro. Il messaggio che hanno lanciato le forze dell’ordine ai ragazzi è, in altre parole, di iniziare a cercare una nuova sistemazione perché può succedere che prima o dopo vengano spostati”.
"Nella tendopoli ci sono circa 500 persone e solo sette bagni"Pino De Masi - parroco e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro
Alla comunicazione di spostarsi dalla baraccopoli è corrisposto l’invito “di andare nella tendopoli”. Una richiesta che cerca in parte di soddisfare la circolare del 2 aprile scorso con la quale il Viminale ha chiesto ai prefetti di “garantire e monitorare la prosecuzione dell’accoglienza anche a favore dei migranti che non hanno più titolo a rimanere nei centri”. Ma per ora si tratta di una non soluzione considerato che nella tendopoli di San Ferdinando, già sovraffollata, i numeri sono in aumento. In questi giorni Pino De Masi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro e parroco della comunità Santa Marina Vergine di Polistena, ha lanciato un appello: “Il lavoro dei braccianti nella Piana di Gioia Tauro rientra tra quelli fondamentali per il nostro Paese: non si può bloccare. I casi di coronavirus nella Piana sono pochi e tra questi al momento non ci sono migranti. La situazione, però, può esplodere da un momento all’altro. Nella tendopoli ci sono circa 500 persone e solo sette bagni, il contagio sarebbe immediato. La stagione delle arance sta per finire e il lavoro scarseggia”.
Qui, nei giorni scorsi, non sono mancate le tensioni: uno sparuto gruppo ha protestato dopo che alle richieste di aiuto per reperire derrate alimentari, il vicepresidente regionale, nonché assessore alla Sicurezza, Nino Spirlì, ha risposto tentando di imporre un servizio mensa. Alcuni sono entrati nell’ufficio all’ingresso della tendopoli mettendolo a soqquadro. A chiarire l’evolversi della vicenda è stata Celeste Logiacco, segretario Cgil della Piana: “Un episodio sconcertante e tristissimo che però testimonia la complessità del fenomeno migratorio, attraversato anche da limiti e da contraddizioni”.
Alla base ci sarebbero due equivoci. Non è la prima volta che viene rifiutata l’imposizione di un pasto unico nella tendopoli, dove gli ospiti, di nazionalità, etnie e tradizioni diverse, preferiscono cucinare ognuno per sé. Un diritto acquisito nel tempo che l’iniziativa del vicepresidente regionale tendeva a minare approfittando del periodo emergenziale. Dal primo aprile, inoltre, insistenti si erano fatte le voci dirette a innescare un disguido sui fondi sul caporalato annunciati dal governo. Le persone che hanno protestato avevano erroneamente capito che la cucina da campo sarebbe stata allestita utilizzando quel denaro. Soldi che a torto ritenevano dovessero essere consegnati direttamente agli interessati.
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Difficoltà e fraintendimenti che è ancor più semplice alimentare in questo periodo di diffusa incertezza. Già prima dell’emergenza, il sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi, aveva detto a lavialibera: “Le condizioni di vita all’interno della tendopoli, non consentono di soddisfare l’abitudine dei migranti alla convivialità. Ad esempio, di recente hanno rifiutato il servizio mensa che avevamo proposto insieme con la Caritas. La resistenza è dovuta al fatto che la convivialità presso tutti i popoli è un momento anche di conferma della propria identità: il modo di mangiare, la preparazione dei pasti, il cibo fatto in un certo modo sono le uniche conferme identitarie che hanno in questa situazione di nomadismo costretto”.
Con l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, i mediatori culturali e il personale impegnato in quelle strutture, è stato allontanato. Da lì è salito lo sconforto e la situazione è precipitata. “Servirebbe una maggiore presenza delle associazioni di volontariato – continuava Tripodi – che possano offrire corsi di alfabetizzazione al fine di creare intorno alla tendopoli dei servizi e delle presenze ancillari tali da poter gradualmente creare quei varchi culturali che sono il primo passo verso una inclusione ed integrazione”.
"Il cibo è l'unica conferma identitaria che hanno in questa situazione di nomadismo costretto"Andrea Tripodi - sindaco di San Ferdinando
La lettera scritta dai braccianti di Taurianova, anche per questo, è una richiesta d’aiuto in un momento che sta alimentando la loro condizione di vulnerabilità, incertezza e paura. Ma soprattutto è un’invocazione di dignità: "Noi, i braccianti dell'insediamento di Taurianova contrada Russo, riuniti in assemblea, dopo aver ricevuto la comunicazione della polizia nella quale è stato deciso lo sgombero, abbiamo deciso di indirizzare questa lettera al governo italiano, facendo sapere la nostra decisione:
1. chiediamo la regolarizzazione di tutti i braccianti presenti nel territorio italiano;
2. trasferimento nelle case, sapendo che la situazione che stiamo vivendo oggi di emergenza non permette la tutela della nostra salute e della salute pubblica;
3. vogliamo il rispetto del contratto di lavoro, un giusto salario e la fine dello sfruttamento;
4. chiediamo la cancellazione del pacchetto sicurezza che ci sta facendo diventare irregolari".
La richiesta è arriva all’indomani dell’incontro voluto dal prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, che ha dettato le linee di intervento per migliorare le condizioni dei centri di accoglienza per i migranti della Piana di Gioia Tauro. “Con l'emergenza Covid-19 in atto – ha scritto in una nota pubblicata dal Viminale – si rende necessario un esame della situazione degli insediamenti di San Ferdinando, Rosarno e Taurianova in cui si trovano numerosi migranti”. Ne consegue la volontà, per ora astratta, di lavorare a una "deghetizzazione".
"Si lavorerà – prosegue il prefetto – all’attivazione immediata di specifiche misure sanitarie, anche in relazione all'emergenza per la diffusione del virus Covid-19; all’intensificazione delle iniziative di mediazione culturale finalizzate a favorire l'inserimento sociale e lavorativo dei migranti, anche al di fuori del territorio provinciale; individuazione di idonee sistemazioni alloggiative, anche attraverso la verifica della disponibilità di beni confiscati alla criminalità organizzata”. Linee che vanno ad aggiungersi alla volontà espressa dal Governo di intervenire sulla situazione dei braccianti agricoli che a poco a poco stanno scomparendo dai campi in questo periodo. Stando all'allarme delle associazioni di categoria, a causa della chiusura delle frontiere, mancano oltre 370mila braccianti.
"Gli immigrati non sono nemici. Siamo noi ad aver bisogno di loro"Teresa Bellanova - ministra delle politiche agricole
"Basta con le banalizzazioni degli anni scorsi, gli immigrati non sono nemici. Siamo noi ad aver bisogno di loro", ha ammesso ai microfoni di Radio CapitalTeresa Bellanova, ministra delle politiche agricole alimentari e forestali. "Ci sono i ghetti, pieni di lavoratori arrivati dal sud del mondo che lavorano nelle nostre campagne in nero. Lì sta montando la rabbia e la disperazione, se non si fa qualcosa il rischio è che tra poco ne escano e non certo con un sorriso. C'è un forte deficit di manodopera, bisogna mettere anche loro in condizioni di lavorare in modo regolare". Ma anche in questo caso, si richiedono tutele che guardino oltre il periodo e le misure emergenziali. All’incontro col prefetto, era presente anche Ruggero Marra di Usb, che a lavialibera commenta: “È emersa la volontà di lavorare nella direzione di svuotare i ghetti. Vediamo se nei prossimi giorni sarà divulgato un programma di come intenderanno farlo”.
lavialibera sta raccontando l'emergenza coronavirus guardando alla moltitudine di fragilità che l’epidemia ha messo a nudo. Puoi leggere tutti i nostri articoli qui
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