29 marzo 2020
All'inizio sono stati Roberto Saviano, Gian Carlo Caselli e Luigi Ciotti, poi altri autorevoli protagonisti del fronte antimafia. I più recenti in ordine di tempo il Procuratore nazionale Cafiero De Raho, l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti e il capo della Polizia Franco Gabrielli, tutti ad avvertire l'opinione pubblica che le mafie sono pronte, come sempre, ad approfittare della gestione emergenziale imposta dalla pandemia. Poiché prendo sul serio questi fondati allarmi, provo a proporre una lista (parziale) di ciò che potremmo fare:
Se "le mafie sono pronte", allora esistono. Ed esistono come fenomeno criminale speciale: permanente, capillare, capace di crossare tra economia criminale ed economia legale, capace di intercettare flussi di denaro pubblico e disagio sociale, capace di fondare il proprio potere sulla forza di intimidazione del vincolo associativo e sulla riserva di violenza. Allora bisogna smetterla subito di minare il così detto "doppio binario", che dota l'ordinamento italiano di strumenti specifici per contrastare un fenomeno simile. Negli ultimi anni, per esempio,si sono moltiplicati gli attacchi di chi sostiene l’eccessiva anticipazione dell’intervento dello Stato soprattutto sul fronte delle misure di prevenzione. Si tratta di interventi che arrivano prima e a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale relativa a un reato commesso, e che possono avere natura amministrativa (si pensi alle interdittive antimafia disposte dal prefetto), o natura giudiziaria (come i sequestri patrimoniali di prevenzione).
Specializzazione e centralizzazione. I criteri fondanti della Direzione nazionale antimafia (Dna) e della Direzione investigativa antimafia (Dia), pensate e fortemente volute da Falcone. C'è chi non ha mai digerito queste invenzioni, chi vorrebbe svuotarle di forza, se non abolirle, eppure abbiamo tanto più bisogno ora di capacità di analisi "universale", tempestiva, puntuale, digitale, che non patisca gelosie e tatticismi o più pericolosamente ancora superficialità ed inadeguatezze. Da un lato infatti una parte di magistratura non fa pace con quel potere di “impulso e coordinamento” previsto in capo al Procuratore nazionale antimafia ed al suo Ufficio, dall’altro analoga insofferenza viene manifestata da una parte di apparati investigativi legati alla specialità dei Corpi creati in ciascuna Forza pubblica. In ballo, è evidente, non ci sono soltanto comprensibili pretese legate al prestigio e alla tradizione di questa o quella Forza pubblica, ma anche rendite di posizione e quote di finanziamento pubblico.
Il sovraffollamento delle carceri. Non risolvere la questione del sovraffollamento, della qualità della vita all'interno degli istituti, non adeguare definitivamente le strutture alle esigenze del regime di carcere duro (art. 41 bis), significa tradire la Costituzione, esporre gravemente il personale che nelle carceri lavora e offrire ai mafiosi pretesti per "fare la guerra e trattare la pace".
L'emergenza coronavirus ha portato alla ribalta un vecchio problema del sistema carcerario: il sovraffollamento.
Ribelli da sostenere. Sono gli imprenditori che non cedono alla tentazione di affidarsi ai capitali mafiosi in tempi di crisi, sono i cittadini onesti che (magari lavorando dentro una PA) non si girano dall'altra parte e denunciano il malaffare; sono giovani e donne che intendono rompere con il clan ed iniziare una nuova vita; sono i soldati di mafia che girano le spalle all'organizzazione e scelgono la via della collaborazione. Gli strumenti normativi che colgono queste situazioni vanno tutti adeguati (talvolta inventati di sana pianta) e correttamente manutenuti: penso ai decreti attuativi della riforma dei Testimoni di Giustizia, penso a quelli attuativi della riforma del Codice Antimafia a sostegno della continuità occupazionale delle aziende sequestrate, penso alla così detta "terza via" per chi vuole allontanarsi dal contesto mafioso. Penso agli strumenti a sostegno degli imprenditori che denunciano e che spesso si trasformano in un incubo. Altrimenti lo Stato non sarà credibile quando dirà: "Denunciate!", o quando dirà "Cambiate vita!"
Coloro che vivono in condizione di irregolarità in Italia e che sono stati cacciati nell'invisibilità dai decreti voluti da Salvini: prima che il bisogno di braccia nelle nostre campagne saldi ancora di più criminalità e sfruttamento, lo Stato tenda una mano a questa umanità sul crinale e la tiri nel campo della legalità dove ci sono diritti e doveri per tutti. Nessun "padrone" può più esistere in una Repubblica fondata sul lavoro.
L'ho detto, si tratta di appunti parziali. Rimando alle riflessioni amare di Raffaele Cantone per l'Autorità anticorruzione (Anac) e il ciclo degli appalti, rimando a quelle di Avviso Pubblico per il ruolo (oggi ancora più centrale) dei Sindaci, rimando a quelle di Libera e a quelle della Rete dei Numeri Pari, che saldano la questione della prevenzione/repressione criminale con quella ineludibile della giustizia sociale, della lotta alle diseguaglianze. Insomma, mentre il personale sanitario combatte e vince la battaglia contro la pandemia, il personale "antimafia” dovrebbe preparare un'offensiva memorabile perché questo 2020 non venga ricordato dagli storici come un maledetto periodo di nuova "accumulazione capitalista" delle mafie in Italia. Tra tutti, c'è almeno un uomo la cui memoria dovrebbe inchiodarci a questa responsabilità, era un Sindaco, gentile e caparbio si chiamava Marcello Torre (e chi non sa chi fosse, ne approfitti e lo scopra).
In Portogallo i migranti che avevano già presentato richiesta di permesso di soggiorno avranno gli stessi diritti dei cittadini del Paese per la durata della pandemia.
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