Aggiornato il giorno 25 gennaio 2024
In Italia i rider continuano a morire. L'ultima vittima si chiamava Raffaele Acampora, aveva 50 anni e aveva cominciato a fare il rider dopo aver perso il precedente lavoro da autista di scuolabus. Michele è stato travolto da un treno della Circumvesuviana tra Boscoreale e Scafati, in Campania, mentre attraversava in scooter un passaggio a livello. Intanto, la nuova direttiva Ue che punta a introdurre maggiori tutele per i lavoratori di piattaforma, tra cui i rider, è ancora ferma: ostaggio di governi di destra e lobby.
Anche l’Italia, che durante i negoziati era stata favorevole alla norma, all’ultima tornata ha espresso delle contrarietà
Non solo. La proposta della nuova presidenza belga del consiglio dell'Unione, di recente subentrata a quella spagnola, arretra sulle tutele previste. Ora parlamento e consiglio hanno tempo fino a metà febbraio per trovare un accordo. In caso contrario, tutto slitterà alla prossima legislatura, che potrebbe essere ancora più conservatrice. "Ci delude vedere che il consiglio dell'Unione, guidato da alcuni Stati membri, come la Francia, sta svuotando la direttiva sul lavoro su piattaforma di qualsiasi sostanza. È un giorno triste e un'opportunità mancata per l'Ue e, soprattutto, per milioni di lavoratori di piattaforma di oggi e di domani", commenta a lavialibera dr. Aida Ponce Del Castillo dell’European trade union institute (Etui), centro di ricerca indipendente della confederazione europea dei sindacati.
Quella della norma Ue per chi è al servizio delle piattaforme digitali è una storia lunga e travagliata. La proposta della commissione Ue risale al lontano 2021 e non ha mai avuto vita facile. Il principale nodo è l’inquadramento contrattuale di questi lavoratori. In particolare, commissione, parlamento e consiglio non sono mai stati d’accordo sui meccanismi che andranno a regolare la cosiddetta presunzione legale. In base a questo principio, i lavoratori di piattaforma possono essere riqualificati come subordinati e spetterebbe alle aziende l’onere di provare che sono autonomi e non impiegati, come avviene adesso. L'obiettivo è non ammettere più l'esistenza dei cosiddetti falsi autonomi, cioè lavoratori che non hanno un contratto da dipendente, ma lo sono di fatto. La commissione ha stimato che tra gli 1.72 e i 4.1 milioni di lavoratori europei dovrebbero così essere riclassificati: in pratica, assunti.
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A questo scopo, aveva previsto che la presunzione potesse scattare se ci fossero stati due criteri su una lista di cinque a indicare una forma di subordinazione. Il parlamento si era spinto oltre, considerando sufficiente il dubbio che l’autonomia non fosse reale. Mentre il consiglio aveva ingranato la retromarcia prevedendo tre criteri su sette e, soprattutto, una serie di eccezioni che sarebbero andate a limitare la portata della direttiva e lasciato frammentato il quadro europeo.
Sembrava quasi fatta a metà dicembre, quando il parlamento aveva trovato un punto di equilibrio con la presidenza spagnola del consiglio. Un negoziato molto difficile e durato oltre 12 ore, aveva ammesso a lavialibera l'eurodeputata del Partito democratico Elisabetta Gualmini, relatrice per il parlamento Ue del testo, che si era detta "molto soddisfatta del compromesso”. Dalla norma erano state cancellate le deroghe, prevedendo che autorità nazionali e giudiziarie degli Stati membri avrebbero potuto far partire la presunzione in presenza di due indicatori (non più criteri) su una lista di cinque, modificabile.
Ma il testo non è poi stato sottoposto al voto formale del Coreper, l'organo tecnico del consiglio dell'Unione, quando è diventato chiaro che non avrebbe ottenuto la maggioranza. E, chiamati a esprimere un parere, i delegati degli stati membri l'hanno giudicato molto lontano dalle loro aspettative.
Ora tutto è in mano alla presidenza belga e, stando a quanto ricostruito da Euractiv, sta già circolando una nuova bozza. La revisione fa alcune concessioni alla Francia, che si era detta contraria a partire dal testo frutto dell’accordo provvisorio tra parlamento e presidenza spagnola per le future negoziazioni.
Ed è proprio la Francia a guidare il fronte di chi si oppone alle versioni della direttiva più orientate a riqualificare in maniera corretta i falsi autonomi. Ma non è la sola. A lei si affiancano paesi Baltici, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Ungheria, Irlanda e Svezia. Anche l’Italia, che durante i negoziati era stata favorevole alla norma, all’ultima tornata ha espresso delle contrarietà.
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Secondo fonti de lavialibera, l'obiettivo ultimo della Francia è di introdurre una sorta di deroga, per cui gli indicatori non sarebbero più validi se il loro contenuto è accettato dai lavoratori in sede di contrattazione collettiva. Questo permetterebbe di legittimare, a livello europeo, una terza categoria di lavoratori: quella dei falsi autonomi. Insomma, un meccanismo simile a quello che ritroviamo in Italia nel decreto numero 101 del 3 settembre 2019, suggerisce Marco Marrone, dottore di ricerca in Sociologia e ricerca sociale e autore di Rights against the machine. Il lavoro digitale e le lotte dei rider.
La norma è tuttora in vigore e prevede tutele differenziate: ai rider che svolgono la propria attività in maniera occasionale è assicurata una protezione base, come un compenso minimo orario e la copertura assicurativa. Ma a quelli che lavorano in via continuativa si applica l’articolo 2 del decreto legislativo numero 81 del 15 giugno 2015. È il decreto che attribuisce alle collaborazioni organizzate dal committente la stessa disciplina del lavoro subordinato. Questo almeno nel comma 1. Il comma 2, invece, prevede l’inganno: per stabilire diversamente basta trovare un accordo collettivo con un’associazione sindacale rappresentativa.
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La posizione della Francia può essere compresa guardando il quadro legislativo che ha adottato verso i lavoratori di piattaforma all’interno dei propri confini. “Anche qui il punto di partenza è l’inquadramento contrattuale, ma l’approccio è diametralmente opposto”, spiega a lavialibera Claire Marzo, docente di diritto pubblico dell'Université Paris-Est Créteil. “La Francia è stata uno dei primi paesi a regolare il lavoro di piattaforma, introducendo il principio opposto a quello che si vuole portare avanti in sede europea, cioè la presunzione di non subordinazione. Allo stesso tempo, però, si è cercato di rendere più accettabile l'autonomia, introducendo maggiori tutele. Ma non sono sufficienti. Allo stato dell’arte, in Francia, come nel resto d’Europa, sul lavoro niente tutela di più di un contratto di subordinazione in termini di protezione sociale, diritto di rappresentanza e sciopero”.
Per l’europarlamentare Gualmini, i governi che si oppongo alla direttiva sono condizionati dalle lobby. Un’influenza che in Francia è stata confermata da un’interrogazione parlamentare pubblicata a luglio 2023. Il rapporto documenta come Uber, società che offre non solo un servizio di consegne a domicilio ma anche il noleggio di auto con conducente, è riuscita ad aggirare le leggi francesi grazie alle complicità interne del governo e, in particolare, a una relazione opaca e privilegiata con il presidente della Repubblica Emmanuel Macron. Secondo il rapporto, Mark MacGann, ex responsabile delle politiche di Uber Europa, ha finanziato la campagna presidenziale di Macron e ha partecipato alla ricerca di fondi per il partito da lui creato, chiamato all’epoca la République en Marche. “La riservatezza e l’intensità dei contatti tra Uber, Macron, e il suo gabinetto testimoniano una relazione opaca ma privilegiata”, si legge nella relazione.
“È un peccato che una legge innovativa come questa non riesca ad andare avanti per la mancanza di volontà politica e gli interessi delle lobby”, prosegue Ponce Del Castillo (Etui), centro di ricerca indipendente della confederazione europea dei sindacati. L'importanza del settore nell'economia dell'Unione europea la mostra un dato.
“È un peccato che una legge innovativa come questa non riesca ad andare avanti per la mancanza di volontà politica e gli interessi delle lobby” dr. Aida Ponce Del Castillo - European trade union institute (Etui)
Nel 2022 i lavoratori impiegati da almeno una piattaforma, se non più di una, sono stati 28 milioni e diventeranno 43 nel 2025. Non solo rider, ma anche addetti alle pulizie, copywriter, traduttori, e sviluppatori. Un mercato del tutto privo di regole, dove però il controllo manageriale non viene meno. Assume solo altre forme. "La relazione tra datore di lavoro e dipendente è mediata dalla tecnologia. E gli algoritmi hanno un ruolo fondamentale”, aggiunge Ponce Del Castillo. “Grazie a loro, le piattaforme automatizzano alcuni processi decisionali, come l’assegnazione dei compiti e della retribuzione, introducendo un ulteriore livello di asimmetria nel rapporto di lavoro. La mancata trasparenza impedisce al lavoratore di capire come funziona il sistema manageriale e in base a quali criteri vengono prese le decisioni”.
Uno strapotere a cui la direttiva avrebbe posto un argine, stabilendo una maggiore trasparenza, nonché la necessità di una supervisione umana sulle decisioni. Inoltre, gli algoritmi sarebbero diventati oggetto di contrattazione collettiva: “Il testo era molto innovativo anche perché vietava il riconoscimento delle emozioni e l’analisi di qualsiasi dato personale dei lavoratori, come le loro conversazioni private”, conclude Ponce Del Castillo. Ma al momento è tutto fermo.
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