(JavyGo/Unsplash)
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"I rider vanno assunti": il Consiglio Ue trova l'accordo, ma prevede troppe deroghe

L'intesa raggiunta dai 27 ministri del lavoro Ue sulle regole da applicare ai lavoratori delle piattaforme è importante perché sblocca un tavolo fermo da mesi, ma lascia ampi margini di manovra agli Stati, a discapito del riconoscimento dei diritti

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

14 giugno 2023

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I rider vanno assunti. Va in questa direzione l’intesa trovata dai ministri del lavoro dei 27 Paesi dell’Unione europea sulla direttiva che andrà a regolare l’attività delle piattaforme digitali. Una presa di posizione importante perché sblocca un tavolo fermo da mesi, ma troppo timida nel riconoscimento dei diritti: troppe le deroghe previste dalla versione della direttiva approvata dal Consiglio Ue, meno incisiva rispetto sia a quanto proposto in prima battuta dalla Commissione Ue a fine 2021, sia al testo emendato dal Parlamento a fine 2022 che aveva alzato l’asticella prevedendo misure più tutelanti.

Perché lavorare non garantisce più una vita dignitosa. Il nostro dossier: Povero lavoro

Tante piattaforme, stesso modus operandi

Il punto più discusso, e rivisto, è il secondo capo della direttiva che riguarda l’inquadramento contrattuale di chi è al servizio della gig economy: non solo rider, ma anche domestici e tassisti Uber. Un settore che in Europa ha all'attivo circa 500 piattaforme e un fatturato complessivo di 14 miliardi di euro: 11 miliardi in più di appena cinque anni fa. Stando alle stime dell'Unione, su 28 milioni di lavoratori circa 5,5 sarebbero inquadrati come autonomi anche se in realtà sono a tutti gli effetti dei dipendenti. Una ricerca presentata da Inapp-Plus nel 2022 mostra che rispetto al 2018 la quota di persone che dichiarano "essenziale e importante" il reddito incassato grazie alle piattaforme è salita "enormemente", balzando dal 49 per cento all’80 per cento. Persone a cui lo status quo nega diritti fondamentali, come salario minimo (dove esiste), ferie, malattia e contributi.

Vita da rider: l'inchiesta sul mondo dei fattorini

In Italia, solo Just Eat ha optato per l'assunzione. Mentre le altre aziende, riunite sotto l'ombrello dell'associazione di categoria AssoDelivery, hanno stipulato un accordo con il sindacato Ugl, più volte bocciato dalla magistratura. Ad esempio, il tribunale di Firenze. Che in una sentenza di primo grado definisce Ugl rider non rappresentativa e discriminatori i privilegi che le sono stati concessi. Una decisione che prende in considerazione diversi elementi, come il fatto che l’accordo sia stato sottoscritto senza coinvolgere i lavoratori, e dopo una trattativa non pubblicizzata e parallela rispetto a quella in corso al ministero del Lavoro con gli altri sindacati, considerati invece rappresentativi. 

Le proposte dei tre organi Ue divergono quando c’è da valutare il potere datoriale esercitato dalle piattaforme e far scattare la presunzione legale, cioè il principio che prevede spetti alle aziende l’onere di provare che i loro lavoratori sono autonomi e non impiegati. Non il contrario, come avviene adesso

Da qui, l'esigenza di far uscire dall’area grigia i dipendenti mascherati, permettendo al tempo stesso a chi è effettivamente autonomo di continuare a esserlo. I tre organi Ue sono d’accordo su un fatto: i lavoratori di piattaforma vanno considerati dipendenti, e non autonomi, se la piattaforma esercita su di loro “un potere di controllo o direzione”. Ma le proposte di Commissione, Parlamento e Consiglio divergono quando c’è da valutare questo potere e far scattare la presunzione legale, cioè il principio che prevede spetti alle piattaforme l’onere di provare che i loro lavoratori sono autonomi e non impiegati. E non il contrario, come avviene adesso.

I criteri che fanno dei rider dipendenti

Per verificare l’esistenza del potere di controllo, la proposta della Commissione prevede dei criteri: basta che le piattaforme ne soddisfino due sue cinque per considerare i loro lavoratori assunti. Idem il Consiglio, anche se i criteri diventano tre su sette. Nello specifico:

  • la piattaforma di lavoro digitale determina i limiti massimi per il livello di retribuzione; 
  • la piattaforma di lavoro digitale impone alla persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali di rispettare regole specifiche per quanto riguarda l'aspetto esteriore, il comportamento nei confronti del destinatario del servizio o l'esecuzione del lavoro; 
  • la piattaforma di lavoro digitale supervisiona l'esecuzione del lavoro, anche con mezzi elettronici;
  • la piattaforma di lavoro digitale limita, anche mediante sanzioni, la libertà di organizzare il proprio lavoro restringendo la facoltà di scegliere l'orario di lavoro o i periodi di assenza;
  • la piattaforma di lavoro digitale limita, anche mediante sanzioni, la libertà di organizzare il proprio lavoro restringendo la facoltà di accettare o rifiutare incarichi;
  • la piattaforma di lavoro digitale limita, anche mediante sanzioni, la libertà di organizzare il proprio lavoro restringendo la facoltà di ricorrere a subappaltatori o sostituti;
  • la piattaforma di lavoro digitale limita la possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori per terzi.

Leggendoli, è chiaro che allo stato dell’arte molte imprese di food delivery si comportano nei fatti come dei datori di lavoro, a dispetto della retorica promossa dalle aziende che vuole i rider liberi di scegliere come, quando e dove lavorare.

Gli ampi margini di manovra lasciati agli Stati

I problemi della proposta del Consiglio sono due. Prima di tutto, introduce delle deroghe non presenti nel testo della Commissione. Per i ministri Ue, la presunzione legale infatti non si applicherebbe ai procedimenti fiscali, penali e di sicurezza sociale ma solo a quelli amministrativi e giudiziari in cui è in gioco il corretto inquadramento contrattuale. Non solo. I Paesi membri possono anche decidere di non farla valere se le autorità statali stanno già verificando in autonomia il rispetto delle proprie leggi sul lavoro o se ritengono evidente che la “persona che svolge un lavoro per le piattaforme digitali non è un lavoratore delle piattaforme digitali”. Ampi margini di manovra che rischiano di rendere disomogenea la situazione all’interno dell’Ue e rendono gli Stati soggetti al perenne ricatto delle piattaforme che, in questi anni, ha rallentato l'adozione di interventi incisivi in materia: se non abbiamo una legislazione favorevole, chiudiamo.

Mal pagati e con poche tutele: voci di lavoratori indispensabili

Basti pensare alle dichiarazioni rilasciate nel 2018 al Corriere della Sera da Gianluca Cocco, l’ex amministratore delegato dell'impresa Foodora, dopo la diffusione delle prime bozze del decreto dignità che nella sua prima formulazione poneva regole anche per i rider, poi sparite: "Se fossero vere le anticipazioni del decreto dignità – diceva Cocco – dovrei concludere che il nuovo governo ha un solo obiettivo: fare in modo che le piattaforme digitali lascino l’Italia". In quei giorni Foodora, che per la cronaca lascerà comunque l’Italia poco più avanti, non è stata la sola piattaforma a opporsi al decreto: il rifiuto fu corale, e all’iniziale "no ai ricatti" l'allora ministro del Lavoro Luigi di Maio lasciò spazio a un più morbido "trattiamo".

Il negoziato tra Parlamento e Consiglio, che si avvia ora per poi approdare al testo definitivo, si prospetta difficile

In secondo luogo, la decisione di adottare dei criteri espliciti per far valere la presunzione legale dà un vantaggio conoscitivo alle aziende che hanno così l'opportunità di calibrarsi di conseguenza. Non è un caso che, dopo la proposta di direttiva da parte della Commissione, Deliveroo abbia scelto di adottare il free-login, cioè di consentire ai propri fattorini di lavorare quando vogliono, facendo a meno dei turni previsti in precedenza.

Di contro, la proposta del Parlamento non prevede né deroghe né criteri, considerando sufficiente il dubbio che l’autonomia non sia reale per far valere la presunzione legale. Un altro punto su cui il Parlamento stringe le viti riguarda la trasparenza degli algoritmi, prevedendo non solo regole più severe ma anche che questi software siano oggetto di contrattazione tra piattaforme e sindacati. Il negoziato tra Parlamento e Consiglio, che si avvia ora per poi approdare al testo definitivo, si prospetta difficile.

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