
Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro si aprono partite importanti

23 dicembre 2022
Dopo dieci anni di sfruttamento, i magazzinieri che lavoravano a Roma per conto di Zara sono stati ridotti di quasi la metà. Lo stesso è successo a Milano e a Torino, dove negli ultimi anni il colosso spagnolo della moda ha riorganizzato i propri magazzini concentrandoli in pochi grandi poli, a discapito di due categorie di lavoratori: i facchini e i commessi dei negozi che adesso devono svolgere i compiti del personale mancante come "togliere i vestiti dagli scatoloni", raccontano la delegata Cgil di Milano Claudia Piva e la dirigente della Cisl di Torino Stefania Zullo.
La storia dei magazzinieri Zara fotografa un modus operandi perverso e legalizzato: affidare il lavoro a imprese esterne e, quando i costi aumentano, o cambiare appalto contrattando al ribasso, o rinunciare ai lavoratori che – per quanto esperti, efficienti e professionali – vengono sostituiti da altri che costano meno. La pratica permette anche di non avere a che fare in modo diretto con i sindacati.
Il brand, che in Italia fa parte del conglomerato Itx srl, ha iniziato a servirsi dei facchini oltre dieci anni fa. Gli sono essenziali per fare arrivare la merce sugli scaffali, eppure non li ha mai assunti: i magazzinieri sono sempre stati dipendenti di altre aziende che operano per conto di Zara tramite appalti e subappalti.
Fast fashion, la moda insostenibile che distrugge il pianeta e sfrutta i lavoratori
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