Foto: Israel Andrade/Unsplash
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Grandi dimissioni, Francesca Coin: "Il lavoro come obbligo morale è violenza"

Intervistata in "Produci, consuma, crepa", la sociologa Coin spiega come negli ultimi anni il lavoro abbia assunto una funzione sociale slegata da quella materiale: "Oggi non è considerato lecito sopravvivere senza lavorare. Le nuove generazioni sono educate allo sfruttamento sin dalla scuola. Mi rincuora vedere i movimenti studenteschi contro l'alternanza scuola-lavoro"

Angelo Miotto

Angelo MiottoGiornalista

23 giugno 2022

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Per la maggioranza della popolazione le preoccupazioni economiche e lavorative rappresentano un costante logorio quotidiano. Il lavoro è diventato un obbligo morale. “Non è considerato lecito sopravvivere senza lavorare. Se ci pensiamo è una violenza estrema” spiega la sociologa Francesca Coin a dialogo con il giornalista Angelo Miotto nel libro Produci, consuma, crepa. Manuale di resistenza e cambiamento. Il primo articolo della Costituzione indica il lavoro come fondamento della Repubblica, ma la Carta nasceva dopo la Seconda guerra mondiale, e aveva ragioni storiche contestuali. Oggi “sarebbe più funzionale se l’Italia fosse fondata sulla cura, di sé e degli altri”, suggerisce Coin. Di seguito alcuni estratti dell’intervista contenuta nel libro edito da Altreconomia, che ringraziamo per la disponibilità. 

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Francesca Coin è sociologa. La intervisto quando è ancora all’Università di Lancaster, in Gran Bretagna, ma in una fase di passaggio verso un’istituzione elvetica. Si occupa di lavoro, moneta e diseguaglianze. Alla fine di questo dialogo con lei non credo che si offenderebbe se la definissi una intellettuale punk. Vi farò sapere. [...]. Torniamo, allora, all’articolo uno della nostra Costituzione, dove madri e padri costituenti indicarono il lavoro come fondamento della Repubblica che nasceva dopo la Seconda guerra mondiale […].

La copertina di "Produci, Consuma, Crepa" di Angelo Miotto (Altreconomia, 2022)
La copertina di "Produci, Consuma, Crepa" di Angelo Miotto (Altreconomia, 2022)
"Sarebbe più funzionale se l’Italia fosse oggi una Repubblica fondata sulla cura, di sé, degli altri. Questo ci permetterebbe di vivere il lavoro non più come fine, ma come strumento"

Cosa vuol dire essere fondati sul lavoro? 
[...] Per me il lavoro è uno strumento di disciplina, nel senso che oggi abbiamo una società talmente produttiva che sovra-produce e poi distrugge, ormai, più che produrre. Sarebbe più funzionale se l’Italia fosse oggi una Repubblica fondata sulla cura, di sé, degli altri. Questo ci permetterebbe di vivere il lavoro non più come fine, ma come strumento, dove non vivi una vita per lavorare e ricevere un salario che produce profitto per qualcun altro per trent’anni, ma dove invece si agisce sulla limitazione del lavoro subordinato, sulla famosa idea di liberare il tempo per dedicarsi all’arte, alla lettura, alla cura di sé e degli altri.

Deve per forza essere così? Perché dobbiamo produrre così tanto?
Siamo rimasti ancora legati a un modello storico preistorico, o comunque a un modello storico che non ha più corrispondenza con l’attualità, in cui c’era il problema della scarsità e quindi il problema fondamentale era nella domanda: di cosa ci nutriamo se non lavoriamo? Senza produzione, si pensava, l’umanità sarebbe morta di fame, quindi era necessaria una divisione sociale del lavoro. Se nessuno produce, si pensava, l’umanità sarebbe morta di fame, quindi era necessaria una divisione sociale del lavoro [...]. Non è stata mai data attenzione alla sostenibilità di quello che facciamo, per cui un tema da porre sarebbe il fatto che la scarsità non esiste più, e tuttavia esiste la diseguaglianza nella distribuzione delle risorse, per cui siamo un mondo molto ricco ma un mondo in cui ci sono pochissimi che sono ricchissimi e tantissimi che sono poverissimi, costretti a vendersi per nulla e perché è l’unica fonte di sopravvivenza è il reddito. Già questo è mostruoso, perché nel 2022 il fatto di essere costretti a produrre anche se ciò che si produce è superfluo o è “utile” solo per l’inutile o il futile, fa sì che il senso stesso di quello che fai venga meno e che spesso ci si senta costretti a lavorare per vivere. Quindi il titolo del tuo libro diventa Lavora Consuma Crepa, ed è l’incubo con cui si svegliano milioni di persone ogni giorno, perché non ha più senso quello che fanno e però senza quell’incubo non hanno niente di cui vivere. Ed è profondamente ingiusto.

Lavora, consuma, crepa è l’incubo con cui si svegliano milioni di persone ogni giorno, perché non ha più senso quello che fanno e però senza quell’incubo non hanno niente di cui vivere. Ed è profondamente ingiusto.

Perché non si riesce a reagire? Perché oggi si subisce?
Perché è stato legato il lavoro alla morale; cioè il lavoro è diventato una questione morale più che una questione materiale. [...] Non è più tanto il senso di ciò che fai, ma è la morale del lavoro a cui è stato associato appunto quest’idea di dignità. [...] È stato detto che non è lecito sopravvivere senza lavorare. Se ci pensiamo è una violenza estrema, perché oggi per esempio chi vive in Italia del reddito di cittadinanza viene umiliato per certi versi per il fatto stesso di avere un sussidio al massimo di 560 euro circa - vado a memoria - per nucleo familiare il che non significa nulla. Ci sono miliardari che vivono di rendita. Il problema però non è la rendita, il problema è che è stato reso immorale non lavorare e quindi il lavoro ha assunto una funzione sociale totalmente slegata dalla sua funzione materiale, che è quella appunto della sopravvivenza collettiva, della cura di sé collettiva; il problema è che questa non esiste più e il lavoro è diventato quasi esclusivamente coercitivo. 

Giovani e mondo del lavoro. Al di là delle difficoltà, dei numeri di disoccupazione giovanile, compresi i neet (i ragazzi che non studiano e non lavorano), vorrei chiederti del senso, della prospettiva. Accosto il tema a quello della Great Resignation (le Grandi Dimissioni), dove le persone lasciano il lavoro perché meglio a casa che sfruttati e utilizzati senza un senso nel mondo lavorativo. Allora anche una scuola che è improntata al profitto e alla competizione confeziona un percorso inutile, oltre che dannoso?
Direi di sì, secondo me ci sono due elementi, quasi contrapposti: stanno educando le nuove generazioni allo sfruttamento a partire dalla scuola, ma d’altra parte mi rincuora vedere i movimenti studenteschi contro l’alternanza scuola-lavoro, perché quello è un modo di introdurre nella scuola la prassi del lavoro non pagato ed educare gli studenti che sia giusto regalare delle ore di vita a un’azienda che nemmeno ti retribuisce e probabilmente non ti insegna niente. [...] La pandemia ha portato a una sorta di punto di non ritorno. Ormai si lavora così tanto che il lavoro è spalmato su tutta la settimana. L’Italia è l’unico Paese da cui ricevo e-mail la domenica mattina, la domenica sera, la notte di qualunque giorno perché tutti lavorano sempre e i salari, però, sono i più bassi d’Europa. [...] Nonostante in Italia ci sia una rete sociale - secondo me l’unica cosa ancora positiva - un Paese non può andare avanti perché la nonna mi aiuta con i figli, la vicina di casa mi aiuta con la spesa, ci si aiuta un po’ tutti. Bellissimo, ma non più tanto quando consente alle aziende di dire teniamo i salari più bassi, sempre più bassi. Il problema delle dimissioni di massa, secondo me, è che si tratta di una forma di resistenza individuale, che arriva quando non c’è altro, quando non c’è un sindacato, non hai alle spalle altre persone che lottano con te. Quindi è un segnale di saturazione, un punto di non ritorno, ma insufficiente di per se stesso e perciò è un’ottima forma di rifiuto del lavoro sulla quale però va costruito un movimento in cui l’individuo non sia più fragile ma più forte.

Mal pagati e con poche tutele, voci di lavoratori indispensabili

Come giornalista ho visto per decenni la propaganda del moderatismo sul mainstream. Il conflitto è diventato una parolaccia, o l’anticamera della violenza. La parola sindacato, sciopero e altre come delle bestemmie.
Eh sì, ma io mi ricordo quando Alexandria Ocasio-Cortez (membro della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, ndr) diceva: voglio il diritto alla cura per tutti, all’istruzione gratuita, un reddito di cittadinanza che potrebbe diventare anche un welfare per tutti, inteso come diritto alla casa, come diritto al trasporto pubblico, come diritto di vivere e sopravvivere, tutti. E questa cosa veniva definita eversiva e radicale. Ci hanno fatto passare quest’idea per cui un’economia sana è quella in cui la presenza dello Stato è minima e poco importa se poi le persone non sono sane, l’economia è sana ma le persone sono sanguinanti, nel senso che non possono neanche più andare all’ospedale o comunque c’è sempre un ticket che il singolo deve pagare. [...] E che opporsi a questo fosse sovversivo. Non è sovversivo. In realtà sono sovversivi i capitalisti, che fanno questo ragionamento in senso estremamente violento.

"Le Grandi dimissioni indicano una consapevolezza individuale: la pandemia ha messo tutti a contatto con la morte e con un ragionamento su cosa vale davvero e cosa no"

Da dove potremmo ricominciare?
Secondo me è già la questione delle Grandi dimissioni indica una consapevolezza individuale che non è semplice da dipanare; nel senso che la strana cosa della pandemia è stata che ha messo tutti a contatto con la morte e quindi con un naturale ragionamento su che cosa vale veramente e che cosa no. Non è semplice avere delle trasformazioni culturali che toccano tutti gli individui contemporaneamente; se prima erano collettive, ora siamo in questo stato individuale, per cui ognuno resta nel suo salotto di casa dove ha vissuto gli ultimi anni, ritirato. Il fatto di poter socializzare, come è avvenuto negli Stati Uniti, tutte queste prese di posizione individuale - c’è questa piattaforma che si chiama anti work in cui ci sono circa un milione e mezzo di iscritti che spiegano come resistono individualmente ai loro datori di lavoro - non sarà risolutivo, però il fatto stesso di poter dire la propria, di poter verbalizzare il così non ce la facciamo più ha un grande valore, perché gli esseri umani sono sensibili alle emotività altrui, empatizzano, si fanno forti della forza degli altri, e perché - se oggi è possibile un cambiamento dei rapporti di forza - questo è uno dei modi per farlo.

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