11 ottobre 2023
Glovo sa dove sono i suoi rider anche quando non stanno lavorando e, senza informarli, ne invia posizione, nome, cognome e codice identificativo, a delle compagnie di marketing. Lo dimostra la prima indagine tecnica realizzata sull'applicazione usata dai lavoratori italiani della piattaforma per le consegne a domicilio. Un'analisi pubblicata dall'European trade union institute (Etui), il centro di ricerca indipendente della confederazione europea dei sindacati, che lavialibera ha potuto leggere in anteprima. I risultati – scrivono gli autori del report – indicano l’esistenza di "un pervasivo sistema di raccolta dei dati", implementato da Glovo "violando i diritti dei rider".
Contattata da lavialibera, l’azienda non rilascia commenti. Mentre il Garante per la protezione dei dati personali italiano fa sapere di aver aperto un’istruttoria su Foodinho srl, la società sotto cui opera Glovo in Italia, dopo aver visionato lo studio.
Vita da rider. Il libro inchiesta
“La ricerca dimostra che esistono delle violazioni ed è stato possibile individuarle grazie a una collaborazione tra lavoratori, esperti informatici e legali”, commenta Claudio Agosti, fondatore di Tracking exposed (ora al lavoro su Reverse engineering task force) che firma il rapporto con Gaetano Priori, Joanna Broniwicka e Alessandro Polidori. Tracking exposed ha condotto l’analisi nel 2021 e nel 2022 su tre versioni dell'applicazione per smartphone con sistema operativo Android, individuando i dati che colleziona e le compagnie terze con cui li condivide. Per riuscirci, i ricercatori sono entrati nell’app con le credenziali di un rider, installato dei software e lasciato il tutto funzionare in background, simulando così il comportamento dell'utente, che in genere non esce né chiude l'app per continuare a ricevere le notifiche.
Ogni volta che il rider apre l'app, quest'ultima invia la sua posizione, la sua velocità e il livello della batteria del suo smartphone
Il primo dato è che ogni volta che un rider apre l'applicazione di Glovo, anche fuori dall'orario di lavoro, quest’ultima invia in modo automatico alla piattaforma una serie di informazioni: l'esatta posizione del rider, la sua velocità e il livello della batteria del suo smartphone. Non solo. La geolocalizzazione continua a intervalli irregolari per tutto il tempo in cui l'app funziona in background, tracciando il rider in diverse ore del giorno e della notte.
Informazioni che Glovo non si limita a raccogliere, ma condivide con società terze. Più nel dettaglio, Pubnub, Kustomer e Smooch, tre compagnie statunitensi che implementano un servizio chat interno all'app ma che hanno scopi più ampi, hanno ricevuto il codice unico identificativo del rider. Mentre Firebase, un servizio che Google offre alle imprese per migliorare il loro business, ha ottenuto il suo indirizzo email, il nome, il codice identificativo, il codice della città e del Paese, il tipo di mezzo utilizzato per le consegne (bici o auto), la versione del sistema operativo installato e persino il punteggio di eccellenza.
La tecnologia bene comune, contro le disuguaglianze digitali
Particolare è quanto succede con Braze, una piattaforma di marketing: ha ottenuto non solo il codice unico identificativo del rider ma anche la sue email, il numero di telefono e la sua localizzazione. Un'intrusione che per gli autori dell'analisi pone dei seri problemi. La raccolta di dati che riguardano il comportamento dei rider non solo come consumatori, ma anche come lavoratori, "permette di ottenere una conoscenza approfondita di chi lavora all'interno di Glovo, contribuendo a far cadere la linea che divide consumatori e lavoratori, e tra il lavoro e la vita privata".
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che l'applicazione condivide con la casa madre un file chiamato "punteggio", anche se non è chiaro a cosa serva né se abbia un ruolo nell'assegnazione delle consegne o in qualsiasi altra decisione automatica che riguarda la vita del fattorino. L'eventuale esistenza di un punteggio che incide sulla vita del rider è da approfondire per capire se esistono, o meno, discriminazioni.
Una collezione ed una elaborazione dei dati che viene definita “ampia” e “irrispettosa dei diritti dei rider”. Il report individua delle potenziali violazioni dei principi contenuti nel Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (Gdpr) adottato dall’Unione europea. Innanzitutto, del principio di minimizzazione, secondo cui le imprese titolari del trattamento dei dati non possono raccogliere più informazioni di quante siano necessarie e per più del tempo che è necessario. Invece l’app di Glovo "consente di monitorare di continuo la localizzazione e il comportamento del rider”.
Rider e politica: tanta propaganda, minime tutele
Eppure, si legge nel documento, basterebbe poco per ridurre la quantità di dati raccolta: disabilitare la geolocalizzazione quando il rider non è in turno. I test suggeriscono anche che "Glovo usa la sua app ledendo il principio di correttezza e trasparenza” della raccolta delle informazioni, perché non ne spiega in modo opportuno il funzionamento non permettendo ai lavoratori di adeguarsi.
"L'app dovrebbe limitare la localizzazione alle ore lavorative e bloccare la condivisione con piattaforme terze”, conclude lo studio, aggiungendo che “i rider devono essere correttamente informati sul ruolo svolto dall'app nel sistema di controllo algoritmico del lavoro messo in piedi dalla compagnia. Informazioni che devono includere il tipo di dati collezionati, condivisi ed elaborati dalla piattaforma, i parametri usati per valutare le performance dei rider e calcolarne il punteggio".
Non è la prima volta che Foodinho srl finisce nel mirino del Garante per la privacy. Nel giugno del 2021, è stata destinataria di un provvedimento per "gravi illeciti" riguardo agli algoritmi utilizzati. Secondo l’autorità, l’azienda spagnola non aveva adeguatamente informato i rider sul funzionamento degli algoritmi, non garantiva la correttezza e l'esattezza dei loro risultati, né tantomeno procedure adeguate per far valere il diritto del lavoratore di chiedere l’intervento di un essere umano e di contestare le decisioni prese in modo automatizzato, tra cui c’è anche il blocco dell’account e quindi in pratica il licenziamento.
I ricercatori: "L'app dovrebbe limitare la geolocalizzazione alle ore lavorative e bloccare la condivisione con piattaforme terze"
Per questo, il garante ordinava il pagamento di una sanzione da 2,6 milioni di euro e di "individuare misure per tutelare i diritti e le libertà dei rider a fronte di decisioni automatizzate, compresa la profilazione", "verificare la pertinenza e l’esattezza dei dati usati dal sistema", impedire "utilizzi impropri o discriminatori dei meccanismi reputazionali basati sul feedback dei clienti e dei partner commerciali". A fine settembre il provvedimento, annullato in primo grado dal tribunale di Milano dopo il ricorso della società, è stato confermato dalla Cassazione.
Questa ricerca aggiunge un nuovo tassello alla comprensione della raccolta dei dati, della gestione del lavoro da parte degli algoritmi, e dell'inquadramento contrattuale dei rider, su cui si gioca il futuro di tutti i lavoratori e non solo di quelli a servizio delle piattaforme digitali. Verso l'inquadramento dei rider come dipendenti va l’intesa trovata dai ministri del lavoro dei 27 Paesi dell’Unione europea sulla direttiva che andrà a regolare l’attività delle piattaforme. Una presa di posizione importante perché sblocca un tavolo fermo da mesi, ma troppo timida nel riconoscimento dei diritti: troppe le deroghe previste dalla versione della direttiva approvata dal Consiglio Ue, meno incisiva rispetto sia a quanto proposto in prima battuta dalla Commissione Ue a fine 2021, sia al testo emendato dal Parlamento a fine 2022, che aveva alzato l’asticella prevedendo misure più tutelanti.
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Ampi margini di manovra che rischiano di rendere disomogenea la situazione all’interno dell’Ue e rendono gli Stati soggetti al perenne ricatto delle piattaforme che, in questi anni, ha rallentato l'adozione di interventi incisivi in materia: se non abbiamo una legislazione favorevole, chiudiamo. Basti pensare alle dichiarazioni rilasciate nel 2018 al Corriere della Sera da Gianluca Cocco, l’ex amministratore delegato dell'impresa Foodora, dopo la diffusione delle prime bozze del decreto dignità che nella sua prima formulazione poneva regole anche per i rider, poi sparite: "Se fossero vere le anticipazioni del decreto dignità – diceva Cocco – dovrei concludere che il nuovo governo ha un solo obiettivo: fare in modo che le piattaforme digitali lascino l’Italia". In quei giorni Foodora, che per la cronaca lascerà comunque l’Italia poco più avanti, non è stata la sola piattaforma a opporsi al decreto: il rifiuto fu corale, e all’iniziale "no ai ricatti" l'allora ministro del Lavoro Luigi di Maio lasciò spazio a un più morbido "trattiamo".
Il negoziato tra Parlamento e Consiglio, che si avvia ora per poi approdare al testo definitivo, si prospetta difficile. Intervenendo sulla pubblicazione del rapporto, NIdiL Cgil parla di "gravissima violazione privacy che richiede immediato intervento del Garante, urgenti chiarimenti su trasparenza algoritmo, andremo avanti in tutte le sedi per tutelare diritti di chi lavora con le piattaforme digitali".
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