Foto di Olha Ruskykh/Pexels
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Call center, il contratto che cancella diritti e tutele. Una dipendente: "Trattati come invisibili"

A inizio dicembre Assocontact e il sindacato Cisal hanno siglato un nuovo accordo che cancella diritti e tutele per i lavoratori: dal compenso ridotto per chi si ammala, al taglio dei permessi retribuiti. Cgil, Cisl e Uil si sono rivolti all'Anac e diffidato le aziende che ne stanno approfittando. Il 31 marzo, intanto, è in programma uno sciopero generale

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

5 marzo 2025

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Il contratto collettivo nazionale telecomunicazioni, che si applica anche ai lavoratori dei call center, è scaduto da due anni e non è ancora stato rinnovato. Le trattative sono in corso, ma c’è chi ha spiazzato tutti e il 6 dicembre scorso ha firmato un nuovo accordo (con validità fino al 2027) che offre alle aziende più potere e controllo su migliaia di lavoratori, costretti a rinunciare a diritti e tutele acquisiti negli anni.

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Protagonisti del coup de théâtre all’italiana sono l’associazione dei datori di lavoro Assocontact e il sindacato Cisal, che rappresenta una percentuale esigua dei lavoratori del settore. Il 13 dicembre il suo segretario, Francesco Cavallaro, è stato condannato dal tribunale di Napoli a cinque anni di reclusione per un caso di corruzione al ministero del Lavoro. Ma quella è un’altra storia.

Indispensabili e invisibili

Emanuela lavora dal 2023 per una società di call center che ha sede legale in provincia di Milano. Il suo compito è fornire assistenza ai clienti di una grande catena di elettronica ed elettrodomestici. Ha un contratto a tempo determinato già prorogato quattro volte, il che significa che alla prossima scadenza o la assumono a tempo indeterminato oppure la mandano via.

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“La gestione riguarda sia il front office sia la parte di back office – racconta a lavialibera –, solo le lavorazioni più complesse sono svolte dall’azienda. Non siamo un semplice centralino, ma gestiamo un servizio fondamentale per l’attività dell’azienda, che senza il nostro lavoro non riuscirebbe ad andare avanti”. Il datore di lavoro ha comunicato a Emanuela e agli altri dipendenti che a marzo passeranno al nuovo contratto, illustrato durante un incontro online e l’invio di alcune slide.

"Non siamo un semplice centralino, gestiamo un servizio fondamentale per l’attività dell’azienda, che senza il nostro lavoro non andrebbe avanti”, racconta una dipendente

“Il nuovo accordo – spiega Emanuela – cancella una serie di diritti previsti nel contratto telecomunicazioni. Ad esempio, i permessi di lavoro retribuiti (Rol) vengono dimezzati; il lavoro supplementare non è più facoltativo e se l’azienda chiede di fare qualche ora in più, con un preavviso di 48 ore, non posso tirarmi indietro. E ancora, in caso di malattia l’azienda copre il 100 per cento solo i primi tre giorni. Il datore di lavoro può anche decidere, nella misura del 50 percento, quando devo andare in ferie e chiedermi fino a quattro cambi turno al mese, sempre con un preavviso di due giorni”. A ciò si aggiunge un nuovo sistema per accedere agli scatti d’anzianità, che non dipendono più dal tempo “trascorso” in azienda, ma dal superamento di un esame da sostenere dopo aver frequentato un corso di formazione in orario extra lavoro.

Le rinunce sono così evidenti che a inizio febbraio, in più piazze d’Italia, i lavoratori hanno scioperato e invocato il rinnovo del “vecchio” contratto telecomunicazioni. I sindacati hanno incontrato le amministrazioni comunali e inoltrato richiesta per un tavolo tecnico al ministero del Lavoro, fissando un prossimo sciopero il 31 marzo. Nel frattempo, però, alcune aziende hanno recepito il contratto Assocontact/Cisal e altre sono in procinto di farlo.

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“Il ccnl sottoscritto con una organizzazione sindacale non rappresentativa del settore – si legge in una nota della Uil – riconosce aumenti salariali irrisori per i prossimi tre anni, dimenticandosi che le lavoratrici ed i lavoratori hanno un contratto scaduto da due anni, dopo un periodo in cui l’inflazione ha galoppato con percentuali a doppia cifra. Il contratto Assocontact/Cisal comporterebbe a regime una riduzione di oltre il 15 percento sul costo orario del lavoro, smantellando completamente la ‘clausola sociale’ che ha garantito piena continuità occupazionale a circa 30mila addetti in sei anni di cambi di appalto. È tempo che ognuno faccia la sua parte per salvaguardare un intero settore che rappresenta circa 40mila addetti in Italia”.

Se ti ammali guadagni meno

Alla Cgil, il referente del Sindacato lavoratori della comunicazione (Slc) Daniele Carchidi ha seguito la vicenda fin dall’inizio. “Cgil, Cisl e Uil rappresentano l’80 per cento dei lavoratori, l’altro 10 per cento è dell’Ugl e poi ci sono i sindacati autonomi. La Cisal ha lo 0,75 per cento di rappresentatività eppure è riuscita a firmare un contratto. Non è un paese civile quello in cui un manipolo di imprese, assistito da qualche azzeccagarbugli, forma un’associazione datoriale, ricerca sul ‘mercato’ una organizzazione sindacale che rappresenta meno dell'1 per cento di un settore e sottoscrive accordi o contratti, che riducono diritti e salario, con validità erga omnes. Non è una repubblica fondata sul lavoro, quella che permette che le gare di appalto si concentrino sull'abbattimento del costo del lavoro, piuttosto che sulla qualità del servizio erogato”.

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Nella proposta di rinnovo del ccnl telecomunicazioni, i sindacati hanno chiesto per i lavoratori dei call center un aumento salariale di 260 euro al mese, coerente con l’aumento del costo della vita, oltre a due anni di arretrati a decorrere dalla scadenza del contratto. “Rispetto al ccnl Assocontact/Cisal – aggiunge Carchidi – c’è una differenza superiore al 20 per cento, ma retribuzione a parte ciò che preoccupa è che hanno cancellato alcuni diritti fondamentali. In caso di malattia, i primi tre giorni sono a carico datore lavoro, che garantisce il 100 per cento della paga, poi dal quarto giorno il lavoratore passa a carico dell’Inps che copre soltanto l’80 per cento della retribuzione. Pagare meno chi si ammala è una forma di discriminazione”.

In caso di malattia, nel nuovo contratto i primi tre giorni il datore lavoro garantisce il 100 per cento della paga, poi dal quarto giorno il lavoratore passa a carico dell’Inps che copre soltanto l’80 per cento della retribuzione

Altra caratteristica del nuovo contratto, che in un certo senso ne svela la natura, riguarda il sistema premiale legato alla produttività. “L’accordo premia i risultati individuali e non quelli raggiunti dal gruppo – fa notare Carchidi – ma non stiamo parlando di lavoratori a progetto o partita iva, qui si tratta di dipendenti”.

Oltre a manifestazioni e scioperi, i sindacati hanno scritto all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che ha stabilito delle linee guida sull’applicazione dei contratti, e inviato lettere individuali di diffida alle aziende che hanno già applicato il contratto, intimando loro una condotta antisindacale.

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Nelle parole di Emanuela c’è molto sconforto. Con il lavoro al call center – un part time da 4 ore al giorno su cinque giorni, da lunedì a domenica – riesce a guadagnare 800 euro al mese, cifra insufficiente per condurre una vita dignitosa. E così, come tanti altri suoi colleghi, serve integrare con un altro impiego. “Con il nuovo contratto l’azienda può richiamarci per fare straordinario o coprire turni vacanti, e questo rende complicato pianificare altre attività. Ci trattano come invisibili, ma la cosa che più mi ferisce è che soltanto in pochi s’indignano, ormai ingiustizie simili non fanno più notizia”.

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