Luigi Massaro, dopo aver perso il lavoro a causa del Covid, non ha più potuto pagare l'affitto. Dopo poco tempo in un dormitorio per senza dimora, ha seguito un programma di rapid re-housing
Luigi Massaro, dopo aver perso il lavoro a causa del Covid, non ha più potuto pagare l'affitto. Dopo poco tempo in un dormitorio per senza dimora, ha seguito un programma di rapid re-housing

Una casa tutta per sé. A Torino, l'Housing first dà nuove chance ai senzatetto

Per aiutare le persone senza dimora, dal 2014 Torino ha introdotto nei suoi servizi progetti basati sul modello dell'housing first. A oggi sono circa 250 gli individui che stanno lasciando la strada per ricominciare una nuova vita. Abbiamo raccolto alcune loro storie

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

14 ottobre 2024

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C’è chi – come Francesco, Luigi o Giovanni – è finito per strada negli anni del Covid, che ha dato un colpo di grazia a vite già segnate dalle difficoltà, familiari o di salute. C’è chi – come Pino o Khadija – è stato per anni un senzatetto, vivendo nelle vie di Torino dopo aver perso la famiglia ed essere entrato in un tunnel, quello della depressione o dell’alcol. Tutti loro, però, hanno trovato una nuova opportunità di vita grazie ai progetti che la Città di Torino con alcune cooperative sociali attua da dieci anni. Si tratta di programmi in cui, a differenza dei più classici progetti di aiuto ai senzatetto, chi è senza dimora può subito ottenere un’abitazione per poi rimettere in sesto la sua vita. Secondo i dati forniti dal Servizio Adulti in difficoltà della Città di Torino, nel febbraio 2024 c’erano 249 persone inserite nei programmi di questo genere, e di queste quasi cento rientrano nei programmi housing first, in cui ottenere una casa è il punto di partenza di un percorso di reinserimento, senza precondizioni o limiti di tempo.

L'Europa vuole ridurre il numero di senzatetto. L'housing first può essere la soluzione (Articolo in inglese)

Certo, il numero dei senza dimora nel capoluogo del Piemonte è decisamente più alto, ma quelle inserite in questi percorsi sono pur sempre persone accompagnate ad uscire dalla marginalità. L’ultimo censimento dell’Istat ha calcolato a Torino circa 1.700 senzatetto. “Da allora i numeri sono aumentati – affermano Paola Trivilino e Massimo De Albertis, del servizio “Adulti in difficoltà” della Città di Torino –. Potrebbero essere tra i 2.500 e i 3.000”. “Le città grandi hanno una sorta di vocazione all’accoglienza delle persone senza dimora – afferma Jacopo Rosatelli, assessore alle Politiche sociali e abitative –. A Torino ci sono tantissime opportunità, pubbliche o private”. D’altronde qui, tra il XVII e il XX secolo, alcuni religiosi cattolici e laici hanno dato il via a iniziative di carità e soccorso ai poveri tuttora attive. In città, però, la crisi economica (legata soprattutto all'industria dell'automobile) è forte e si registra un numero di sfratti tra i più alti d'Italia: 2.362 nel 2023, più che a Milano. Eppure quasi il 18 per cento delle abitazioni è vuoto, ragione per cui è stata lanciata la campagna "Vuoti a rendere" (sostenuta anche dal Gruppo Abele) che vuole rendere disponibili alloggi inutilizzati per superare le emergenze.

Un’esperienza decennale nel dare una casa a chi l’ha persa

Dopo lo sfratto, Khadija ha vissuto per cinque anni sotto i portici di via Nizza, a Torino. Dal 2023 ha trovato un appartamento grazie alla cooperativa Frassati e ha potuto ricominciare a lavorare
Dopo lo sfratto, Khadija ha vissuto per cinque anni sotto i portici di via Nizza, a Torino. Dal 2023 ha trovato un appartamento grazie alla cooperativa Frassati e ha potuto ricominciare a lavorare

Torino è stata all'avanguardia nell’adottare nuovi strumenti a favore dei senza dimora. “Lo ha fatto sperimentando quasi da subito, dal 2014, il modello housing first – spiegano ancora Trivilino e De Angelis –. Oggi è la sola città in Italia che ha reso questo servizio, appaltato esternamente, strutturale”.

“In molte altre città spesso il servizio è portato avanti da iniziative private e l’amministrazione pubblica non è presente”, dettaglia Roberto Mosso, operatore sociale che segue il settore housing per la cooperativa Progetto Tenda. Sono quasi 40 gli ospiti a carico del Progetto Tenda, soprattutto italiani e pochissimi stranieri: “Due persone sono con noi sin dall’inizio del progetto”, aggiunge Mosso. Altre 42 persone sono ospiti seguiti dalla cooperativa Pier Giorgio Frassati: “Noi abbiamo il lotto a valenza sanitaria, quasi tutte persone o famiglie che hanno bisogno di cure particolari, alcuni a carattere psichiatrico”, spiega Pamela Cherchi, coordinatrice del programma.

In via Biella 20, in uno stabile adibito a co-housing dalla coop Frassati, incontriamo Pino L., 55 anni, originario della Sicilia. Ha lasciato il lavoro e l’isola negli anni Novanta, quando sono morti i suoi genitori e, arrivato a Torino, ha presto cominciato a vivere per strada: conosce tutti i luoghi della città in cui può dormire, lavarsi, avere dei vestiti o del cibo. Dal 15 marzo scorso, però, abita in un piccolo appartamento e presto andrà a vivere in un alloggio popolare: “Sono stato molto meglio. Mi riposo, cucino. In alternativa sarei rimasto in giro tutto il giorno e avrei dormito nei dormitori o nei vagoni dei treni”. Non è molto loquace. “All’inizio anche qui era strano. Tutto d’un colpo mi sono ritrovato qua. Ero solo, ma ero anche tranquillo”. Casa sua è accanto a un ufficio della cooperativa, dove c’è sempre qualcuno che può dare un aiuto. Da quando è in questa casa, Pino viene seguito da uno psichiatra. “Molti si trascurano, anche perché ora è difficile poter entrare in una casa di cura e il sistema sanitario non passa più alcuni farmaci, come Tavor e Xanax – prosegue –. Io so gestirmi da solo riesco (ad assumere le medicine, ndr), ma altri no”.

Disagio abitativo. I dati dell'emergenza

“Pago 200 euro al mese, tutto incluso. È abbastanza grande e mio figlio Giuseppe ha una cameretta tutta sua. Ogni settimana gli operatori vengono a incontrarci per vedere come ci troviamo. Da quando siamo qui ha potuto fare tutte le visite necessarie”Giovanni

Anche Giovanni, 52 anni, e la moglie sono arrivati per lavoro a Torino dalla Sicilia insieme al figlio, che sin dall’infanzia aveva bisogno di interventi e cure al colon. All’inizio, le cose funzionavano: avevano ottenuto una casa popolare e Giovanni aveva un buon lavoro. Poi la situazione è andata via via peggiorando: “Quando i genitori miei e di mia moglie si sono ammalati, siamo tornati in Sicilia. Allora ho lasciato il lavoro e poi abbiamo perso l'alloggio”, ricorda. Morti i genitori, tornano a Torino dove il figlio può ricevere cure migliori. “Avevamo affittato un appartamento e avevo ripreso a lavorare, ma con il Covid l’impresa ha lasciato a casa me e altri – continua l’uomo –. Però le disgrazie non arrivano mai sole”. Alla morte del proprietario del loro appartamento, “tutto lo stabile è stato comprato da un noto immobiliarista spregiudicato di Torino e ci ha sfrattato”. Era la fine del novembre 2021. Ha chiesto un alloggio attraverso il percorso dell’emergenza abitativa, ma non ha potuto ottenerlo perché aveva quasi 5mila euro di debito con l’Agenzia territoriale della casa (Atc), l’ente pubblico che gestisce le case popolari. “Per 5-6 mesi abbiamo dormito in una macchina. Non potevamo continuare così. Ci svegliavano nel mezzo della notte, avevo paura di essere rapinato”. La ex vicina di casa allora ha proposto loro di dormire in cantina: “Ci siamo stati per un anno”. Sotto terra, senza luce naturale, e con un tubo di scarico dell’acqua che perdeva.

Giovanni riflette su ciò che ha passato: “Quando in tv vedevo le scene delle mense dei poveri, pensavo che mai mi sarebbe capitato, perché sono uno che si dà da fare. Purtroppo la vita mi ha spiegato che non è così. Ci sono cose imprevedibili”. Giovanni ha chiesto aiuto ai servizi del comune. Per entrare in un dormitorio, però, avrebbero dovuto dividersi dalla moglie e dal figlio, ma la famiglia voleva restare unita. Alla fine, il Servizio adulti in difficoltà ha trovato una sistemazione con la Cooperativa Frassati. Da maggio abita in un appartamento con due camere. “Pago 200 euro al mese, tutto incluso. È abbastanza grande e mio figlio Giuseppe ha una cameretta tutta sua – dice –. Ogni settimana gli operatori vengono a incontrarci per vedere come ci troviamo. Da quando siamo qui ha potuto fare tutte le visite necessarie”. Nel frattempo, Giovanni ha ripreso a lavorare e ha ripagato il debito con Atc.

Khadija, 59enne originaria di Casablanca, residente in Italia dalla fine degli anni Novanta, ha potuto ricominciare la sua vita dopo una brutta caduta. Era sposata con un italiano, da cui ha divorziato. “Nel 2016 è stato arrestato e io nel 2017 sono stata sfrattata – racconta –. Allora ho cominciato a bere, sono diventata alcolizzata”. Ha vissuto per strada quasi cinque anni, dormendo sotto i portici di via Nizza, accanto alla stazione Porta Nuova. “Conoscevo tutti”, dice con un pizzico di orgoglio. Certo, ha passato momenti difficili, tra problemi di salute, notti insonni in dormitorio, rapine e un tentativo di violenza. “È stata dura. Una volta ero ubriaca e mi sono addormentata. Ho sentito gridare ‘Khadija, Khadija, sveglia!’. Qualcuno aveva dato fuoco al mio letto”. Un altro giorno si è svegliata: “Fanculo l’alcol, la birra, le sigarette”. E ha smesso di bere e fumare. È entrata in contatto con il servizio Adulti in difficoltà e la cooperativa Frassati che l’hanno aiutata a sistemare la sua situazione pregressa, a regolare i debiti con accumulati, a trovare un lavoro. Dal 2023 abita in un appartamento a San Salvario, non distante dai portici dove tutti la conoscono.

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Una risposta rapida a chi si trova all’improvviso senza casa

Sfrattato dopo aver perso il lavoro, Giovanni ha vissuto con la sua famiglia in una macchina e poi in una cantina. Da alcuni mesi ha ottenuto una casa grazie a un progetto della cooperativa Piergiorgio Frassati sviluppato sul modello dell'housing first
Sfrattato dopo aver perso il lavoro, Giovanni ha vissuto con la sua famiglia in una macchina e poi in una cantina. Da alcuni mesi ha ottenuto una casa grazie a un progetto della cooperativa Piergiorgio Frassati sviluppato sul modello dell'housing first

A Torino ci sono poi dei programmi di rapid re-housing, che permettono il reinserimento abitativo di chi ha perso una casa da poco. Il modello è molto simile all’housing first, ma ha una differenza sostanziale: i programmi sono a 'tempo determinato': “La durata massima dovrebbe essere di 18 mesi, ma in alcuni casi si va oltre. Per ogni caso, si stabiliscono degli obiettivi da raggiungere”, illustrano Emanuele Mosso e Manuela Rubino di Stranaidea, impresa sociale che propone progetti di inserimento al lavoro, orientamento e autonomia abitativa. Il target dei destinatari, d’altronde, è diverso: si tratta di persone che hanno già una buona capacità nel gestirsi, finite in strada da poco o a rischio di finirci. In questi anni 16 persone sono passate attraverso il loro percorso e ne sono uscite. “Da noi, soltanto una persona è tornata nei dormitori”, affermano. In due casi, hanno preso in carico persone che avevano perso la casa da molto poco e non erano mai entrate nei dormitori. Attualmente, seguono 15 inquilini divisi tra nove appartamenti. Ognuno paga una quota mensile di 100 euro: “40 sono un contributo alle spese, 60 invece vengono accantonati per essere restituiti alla fine del percorso”.

Una delle persone "intercettate" prima che finisse per strada è Francesco, nome fittizio di un 48enne torinese che vuole celare la sua identità. Fa l’accompagnatore turistico a partita Iva. “Col Covid ho avuto un tracollo – racconta nel piccolo salotto di un appartamento in periferia –. Con i lockdown ho finito di lavorare. Ho pagato l’affitto finché ho potuto, il proprietario mi aveva accordato anche di pagarlo a metà, però quando è scaduto il secondo contratto, non mi è stato rinnovato e sono stato sfrattato”. Senza casa, lavoro e soldi, andava a ricevere gli aiuti alimentari a Mirafiori, quartiere operaio di Torino: “Un operatore che aveva saputo del mio problema mi ha messo in contatto con Stranaidea”. Da due anni Francesco abita in un appartamento condiviso con un coinquilino, paga un affitto minimo e aspetta l’assegnazione di una casa popolare. “È stato positivo perché non sono finito in un dormitorio, si paga poco ed è un grosso aiuto – dice senza nascondere i problemi del vivere a stretto contatto con coinquilini sconosciuti, che magari hanno problemi –. Sono stati anni difficili. Di certo poteva essere peggio”.

Nei programmi basati sull'housing first, a ogni persona corrisponde una casa. Nel rapid re-housing è possibile finire in case condivise con altre persone. “Il grosso dei problemi nasce dalla convivenza con gli altri, anche perché a volte condividono la stessa camera da letto, ma di solito si riesce a mediare – dice Andrea Ganino, uno degli operatori sociali di Stranaidea –. C’è stato un caso di difficoltà tra due inquilini, allora uno è stato spostato. Non può essere la norma, altrimenti tutti chiederanno gli spostamenti”. In generale, “c’è un regolamento interno di buona convivenza e di rispetto degli spazi – continua l’operatore –. Lasciamo che si organizzino e noi interveniamo nel caso di divergenze, suggerendo maniere per gestire i disaccordi”. Come per l'housing first, se gli inquilini abusano di alcol o droghe, non sono obbligati a seguire dei percorsi riabilitativi, ma in questo tipo di programmi non possono introdurre alcolici e consumare sostanze in casa.

Inoltre, devono accogliere gli operatori una volta a settimana, per due ore, così che possano controllare la situazione e confrontarsi. “Quando sorgono problemi, si fa una riunione tra utenti ed educatori cercando di far emergere una soluzione – prosegue Ganino –. Il nodo centrale di tutto il progetto è favorire l’autonomia, quindi meno interveniamo, meglio è”. Infatti, oltre al regolamento interno, al momento dell’ingresso viene definito un percorso da seguire: “Se la persona sta seguendo un tirocinio, la si aiuta a trovare un lavoro. Se ha un lavoro, si cerca una casa. Se ha problemi di salute, si accompagna sul piano sanitario, o lo si aiuta coi documenti”. Un tipo di aiuto che viene fornito è una sorta di educazione finanziaria per ridurre eventuali debiti e far accumulare dei risparmi.

Luigi Massaro, 65 anni, dopo una vita di lavoro e guadagni, era finito in un dormitorio di periferia. “Nel 2006 mi sono separato. Prima ero ricco, poi la mia ex moglie mi ha tolto tutto. Mi è caduto il mondo addosso”. Aveva lavorato in polizia e poi fondato un’azienda, infine ha lavorato per uno studio legale che operava per conto di una banca svizzera: “Viaggiavo molto”, ricorda. Quando è arrivato il Covid con i lockdown, non ha più potuto viaggiare, così a perso il lavoro. “In quel periodo abitavo al mare, a Cogoleto (Genova). Non potevo più permettermi l’affitto e sono tornato a Torino”. Per un mese il suo letto era in un container del dormitorio in via Traves. “Non volevo finire in mezzo a una strada a far niente. Allora mi sono rimesso al lavoro, portavo delle auto da una città all’altra e dovevo star fuori”.

Un operatore capisce che quella non può essere la sua dimensione e viene indirizzato verso una struttura più stabile. Poi, tramite l’intervento di Stranaidea, è andato a vivere in un appartamento condiviso con un altro uomo. Per la sua autonomia e determinazione, Luigi Massaro sembra il destinatario ideale di questi programmi: “Tutti i giorni cercavo un lavoro. Quello che mi ha buttato giù è la burocrazia. Quando ho chiesto aiuto al Comune e me l’hanno dato, ho capito che dovevo rimettermi in riga: prendere la residenza, trovare un medico di base, ottenere il codice fiscale. Ero come un senzatetto, avevo rinunciato. Allora per prima cosa ho preso la residenza in via della casa comunale. Ho rifatto i miei documenti e tutto”.

Poi ha cominciato un tirocinio nella cooperativa Gruppo Arco: “Da quando sono arrivato lì sono rinato. Ho lavorato in cucina, mi sono fatto apprezzare. Ho fatto un tirocinio e ho trovato un lavoro come manutentore”. Secondo Massaro, “tutto parte dalla tua disponibilità. Conosco molti che stanno in dormitorio e aspettano la casa popolare. Io volevo una busta paga per pagarmi l’affitto”. Ed è così che ha trovato un appartamento da affittare e arredare a sue spese. “Sono uscito in anticipo dal progetto”.

Alloggi per studenti nelle case confiscate

Ancora molto da fare

“Nessun proprietario mi ha guardato in faccia e le agenzie mi hanno chiuso le porte"Francesco - Accompagnatore turistico

Due sono i problemi principali che chi opera in questo ambito sottolinea. Uno è legato al mercato immobiliare. “Mancano le case private – afferma Mosso del Progetto Tenda –. Abbiamo faticato a trovarne. A volte è successo che le agenzie e i proprietari, una volta conosciuto l’inquilino, si tirassero indietro. In quei casi, abbiamo deciso di diventare garanti”. Francesco, l’operatore turistico, conferma: “Nessun proprietario mi ha guardato in faccia e le agenzie mi hanno chiuso le porte, anche se il Comune di Torino poteva farmi da garante con il fondo ‘Locare’. Torino è piena di case vuote, possibile non ce ne siano?”. “Il mercato dell’affitto è peggiorato – dice Ganino, l’operatore sociale di Stranaidea –. Stiamo seguendo un 43enne, cresciuto in una famiglia difficile, ma gran lavoratore. Non ha ancora risolto i suoi problemi con l’alcool, che tiene sotto controllo, ma lavora bene, è molto preciso e intelligente. Coi contratti che ha, tuttavia, se cerca un appartamento in affitto in maniera autonoma non lo guardano neanche in faccia. Anche noi come cooperativa fatichiamo a reperire degli alloggi, forse per via degli affitti a breve termine che hanno spinto ad aumentare le tariffe”. 

Per tamponare il problema, il Comune ha richiesto all’Agenzia territoriale della casa alcuni alloggi pubblici. Nel 2020 sono state trovate 25 case popolari che non erano state assegnate ad altre persone. “La ‘bibbia’ dell’Housing First afferma però che la casa deve essere trovata insieme alla persona – aggiunge Mosso –, ma le condizioni sono queste”. “L’edilizia popolare è una delle risorse per l’housing first, ma c’è un problema abitativo più generale – afferma l’assessore Rosatelli –. Ursula Von Der Leyen ha annunciato un impegno dell’Unione europea con politiche più forti a favore della casa. Mi auguro che vada in questa direzione”. 

"In Italia non è riconosciuto il diritto all'abitare – spiega Agnese Ciulla che per la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.psd) si occupa dei rapporti con gli enti locali –. C'è un problema di politiche pubbliche sulle case, con una difficoltà nell'integrare le strategie dell'housing first con il patrimonio pubblico, mentre il privato va sensibilizzato". Intanto con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sostenuto con il Recovery fund europeo, saranno investiti 450 milioni di euro nell’housing hirst per dare un alloggio a 25mila senzatetto di 24 mesi ciascuno. "Il Pnrr mira a creare infrastrutture da destinare all'housing first e ai centri di servizi per il contrasto della povertà estrema – continua Agnese Ciulla –. Il grosso del budget serve alle ristrutturazioni. Il punto centrale è quanti immobili si restaureranno entro il marzo 2026 e come si programmerà il loro utilizzo dopo. Molte amministrazioni stanno partendo soltanto adesso con i lavori".

C’è poi un problema legato all’assistenza sanitaria. “I beneficiari erano seguiti da un’équipe composta da operatori sociali e sanitari. Poi nel 2019 l’Azienda sanitaria locale (Asl) ha interrotto la collaborazione”, spiegano De Albertis e Trivilino del servizio Adulti in difficoltà della Città di Torino. Per Sam Tsemberis, ideatore dell’Housing First, la presenza di personale specializzato nell’ambito sanitario era fondamentale. Per seguire i beneficiari del programma la Cooperativa Frassati ha dovuto rimediare: "All'équipe dell'area educativa abbiamo affiancato uno psichiatra e personale infermieristico. Prima, quando c'era l'accordo tra Comune e Regione, queste figure erano integrate nell'équipe e garantivano una presenza maggiore", spiega Cherchi. L'amministrazione cittadina vorrebbe rimediare: “Abbiamo interloquito con l’Asl e lo faremo con la nuova giunta regionale per avere medici e infermieri nelle équipe”, conclude Rosatelli.

Casa nuova, vita nuova

“In due anni sono finito in basso e sono risalito. Ringrazio ancora oggi chi mi ha aiutato"Luigi Massaro

Dopo lo sfratto e alcuni anni di convivenza forzata, Francesco sogna un alloggio più grande, tutto per sé: “Vorrei un trilocale dove poter mettere tutto. Mi manca ospitare gli amici”.

Khadija racconta con fierezza come ha personalizzato casa sua: “Ho comprato molte cose, gli utensili da cucina, un televisore, il letto e il materasso buono da una piazza e mezza. Mi hanno regalato una lavatrice. Ho sistemato l’appartamento per bene, è tutto pulito. Ora cucino perché a me piace. Ho un buon vicino. Nessuno mi disturba e non disturbo nessuno”. Ha un buon lavoro che le permette di pagare la sua quota di affitto. Fa le pulizie al Museo del Risorgimento e da poco ha anche un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Presto, inoltre, andrà a vivere in una casa popolare: “Mi farò un salotto alla maniera marocchina”.

Luigi Massaro, da buon manutentore, ha sistemato il suo appartamento: “È venuta che è un amore. È importante tornare a casa e sentirsi bene”. L’uomo ripensa al passato: “In due anni sono finito in basso e sono risalito. Ringrazio ancora oggi chi mi ha aiutato. Sono riconoscente”. Ora tiene gli occhi puntati al futuro con la donna che ha conosciuto e vuole portare nella sua nuova casa. Giovanni ha ripreso a lavorare e, col tempo, ha ripagato il debito con Atc. Si è dato molto da fare, ma dalle sue parole emerge una grande riconoscenza: “Devo dire grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato. Spero che il progetto possa proseguire anche per chi arriva dopo”.


Questo articolo è stato realizzato nell'ambito di un'indagine cross-border realizzata da lavialibera con FM99 (Lituania) con il supporto di Journalism Fund Europe nell'ambito del programma Sojo Europe per la diffusione del giornalismo costruttivo (solution journalism)

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