29 febbraio 2024
In Italia un milione e mezzo di famiglie vive in abitazioni sovraffollate, poco luminose e senza servizi come l’acqua corrente in bagno. Il 5 per cento dei nuclei fa fatica a pagare le rate del mutuo o l’affitto e le bollette. Di questi, la maggior parte non ha una casa di proprietà.
Del quadro complessivo non si conoscono i numeri reali: la competenza resta materia regionale e non è mai stata attivata una cabina di regia nazionale che potesse dare una fotografia globale, né risposte al disagio abitativo. Così per tante persone l’unica risposta plausibile diventa occupare: in questo caso i dati sono forniti anno per anno dal ministero dell’Interno.
Mentre le associazioni che si occupano del tema denunciano l’immobilismo, nell’ultima legge di bilancio il governo ha azzerato i fondi per il contributo affitto e quello per la morosità incolpevole, cioè per chi non è riuscito a pagare il canone di locazione. "Era una misura insufficiente – afferma Silvia Paoluzzi di Unione inquilini –, ma un piccolo aiuto che permetteva di resistere per qualche mese".
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"Il processo di disinvestimento sull’abitare è iniziato negli anni Novanta", sottolinea Francesco Chiodelli, professore di geografia economica e politica all’università di Torino. Nel suo ultimo libroCemento armato. La politica dell’illegalità nelle città italiane (Bollati Boringhieri, 2023) fa il punto sulla concomitanza esplosiva tra diminuzione delle risorse, assenza di dibattito e di interesse politico. Così "del milione di abitazioni di edilizia pubblica gestite dalle regioni per popolazioni a bassissimo reddito, molte si trovano in una situazione di sottodotazione strutturale". Non solo. "Spesso chi ha il diritto di stare in una casa popolare, per anni confinato alle liste d’attesa, è costretto a occupare". Secondo Chiodelli, inoltre, "non avere dati è comodo per molti".
"Non sapere è una scelta politica", avvalora Paoluzzi. Controllando le mosse dei governi, il quadro è sconfortante. L’Osservatorio nazionale sulla condizione abitativa, istituito nel 1998, aveva l’obiettivo di sviluppare strategie per idee, progetti e politiche che rispondessero alle reali esigenze dei cittadini e delle comunità, ma non è mai entrato in funzione. L’intenzione era quella di aggregare i dati per valutare la coerenza e l’adeguatezza delle risorse finanziarie. Dimenticato per quasi 15 anni, l’organo è stato riattivato nel 2022, ma senza produrre alcun documento. Dal ministero delle Infrastrutture confermano di "non avere riscontri".
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Un tentativo di coinvolgere le parti sociali e i sindacati in realtà c’è stato. Carlo Cellamare, docente di urbanistica all’università La Sapienza di Roma, faceva parte del tavolo convocato dall’allora ministro delle politiche sociali Andrea Orlando. "Abbiamo lavorato alcuni mesi con due ministeri, Politiche sociali e Infrastrutture – spiega il professore –. Poi, a settembre, è caduto il governo Draghi. Con il nuovo esecutivo andavano ridiscussi anche priorità e impegni. Alla fine è stato prodotto un documento del percorso fatto e, soprattutto, alcune linee che davano una lettura più analitica, senza indicazioni sul futuro". Nessuna linea di indirizzo su cui lavorare.
L’Osservatorio nazionale sulla condizione abitativa, istituito nel 1998, aveva l’obiettivo di sviluppare strategie per idee, progetti e politiche che rispondessero alle reali esigenze dei cittadini e delle comunità, ma non è mai entrato in funzione
Due anni dopo, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini ha dichiarato di voler "avviare un imponente Piano casa a partire dal 2025", insieme a una "pace edilizia sulle piccole irregolarità". Al tavolo tecnico hanno partecipato 34 soggetti, tra banche, enti locali e agenzie pubbliche. Lo stanziamento è pari a 100 milioni, ma nella legge di bilancio i fondi sono ripartiti per il 2027 e il 2028. Intanto, entro aprile, il ministero dovrà comunicare le linee guida per la sperimentazione di modelli innovativi di edilizia residenziale pubblica. Ma non basta. "Il punto di forza deve essere l’approccio integrato di tutti gli attori, non solo quelli che si occupano di costruzioni: serve organizzare l’abitare", dice Cellamare.
Una questione di dignità e di lotta alle disuguaglianze, di spazi in cui vivere. "In gioco c’è una domanda: che tipo di città vogliamo per il futuro?", conclude Paoluzzi.
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