Al centro, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, promotore della riforma (Facebook)
Al centro, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, promotore della riforma (Facebook)

L'autonomia differenziata rischia di frantumare l'Italia. Per questo va fermata

L'autonomia differenziata stravolge i nostri princìpi solidaristici a favore di un regionalismo competitivo che determinerà la secessione dei territori più ricchi da quelli più poveri e fragili. Per questo va fermata

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

Aggiornato il giorno 24 giugno 2024

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Non perde tempo il governo, anzi procede a passi spediti per dare attuazione al progetto di autonomia differenziata, battaglia storica della Lega. Ogni giorno veniamo rassicurati che il Presidenzialismo si farà. A prescindere da come la si pensi sulle due riforme costituzionali, sorprende che tanta solerzia e tanta premura non siano riservate ai problemi che affliggono il Paese: il lavoro che non c’è e se c’è è precario e mal pagato; l’inflazione che colpisce i più poveri e fa aumentare ogni giorno le disuguaglianze; l’indebolimento della sanità e della scuola; la crescente corruzione. L’elenco è troppo lungo e forse vale la pena ricordare che il risultato delle ultime regionali ci ha mostrato  che la fiducia nella politica ha toccato il minimo (per ora) storico e che comunque le due riforme bandiera del governo non preoccupano più di tanto: la maggioranza della minoranza che è andata al voto ha riconfermato la fiducia alle forze politiche che guidano l’Italia. 

Povertà, serve un cambio di passo sulla legge di bilancio

Competizione contro solidarietà

Sono convinta che i tempi difficili che stiamo vivendo fanno percepire alla maggioranza dei nostri concittadini un lusso avere a cuore la Costituzione, e persino la democrazia, ma le riforme annunciate e già avviate da questo governo hanno la forza di stravolgerla. L’autonomia differenziata proposta dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli attribuisce alle regioni che ne faranno richiesta funzioni come istruzione, salute, lavoro, energia, beni culturali, giustizia e infrastrutture. Di conseguenza, viene completamente meno il principio costituzionale di autonomia cooperativa e solidaristica, a favore di un distorto regionalismo competitivo e corporativo. A ciascuna di queste funzioni è affidata la responsabilità di garantire diritti  imprescindibili per la dignità di ciascuna persona e per il rispetto dei principi di uguaglianza e di unità nazionale che sono a fondamento della nostra democrazia. 
La fatica di realizzare l’unità – non formale, ma sostanziale – del nostro Paese è evidente nella irrisolta differenza tra nord e sud, ma non ha registrato minori fallimenti nella gestione del servizio sanitario che in questi anni da nazionale, quale dovrebbe essere, si è trasformato in una sommatoria di servizi sanitari regionali, che hanno visto aumentare disuguaglianze e ingiustizie.

La Costituzione è patrimonio di tutti, non a disposizione di chi ha vinto le elezioni

Hanno provato a rassicurarci che il processo di autonomia differenziata non avrà inizio prima che vengano approvati i cosiddetti Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni per ciascuna materia. Peccato che la loro eventuale approvazione non preveda l’aumento della spesa pubblica e che nessuno sia riuscito a spiegare come sia possibile realizzare uniformità di servizi tra realtà regionali tanto disuguali senza ulteriori finanziamenti. 
La verità è un’altra: siamo alla vigilia di una vera e propria secessione delle regioni più ricche dai territori più poveri e più deboli. Non possiamo consentire che tutto questo avvenga in una diffusa inconsapevole ignoranza (intesa come non conoscenza) delle conseguenze che una tale riforma dell’assetto istituzionale provocherà per la soluzione sbagliata o la non soluzione di quei problemi che affliggono la nostra vita.

Il Presidenzialismo come bacchetta magica

Dicono che la Repubblica frantumata ritroverebbe la propria unità eleggendo direttamente il presidente della Repubblica. Conosciamo tutti la crisi della democrazia rappresentativa causata dal declino dei partiti, dal faticoso funzionamento del Parlamento, dalle cattive leggi elettorali degli ultimi vent’anni, dal vorticoso cambio degli esecutivi, e dalla qualità delle classi dirigenti. L’elezione diretta del presidente del Consiglio e la contrazione dei poteri in capo al presidente della Repubblica, modificando la fonte di legittimazione della massima istituzione di garanzia e di equilibrio dei poteri dello Stato, comporterebbero cambiamenti profondi di tutto il disegno istituzionale perché l’Italia si trasformerebbe da repubblica parlamentare in presidenziale. Vorrebbero farci credere che questa sarebbe la soluzione magica delle tante debolezze della nostra democrazia, e non la ricerca comune di una nuova legge elettorale, che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti al posto dei capibastone dei partiti; una buona legge elettorale che non trasformi in maggioranza una minoranza. La soluzione sarebbe il presidenzialismo e non una riforma del bicameralismo perfetto e nuovi regolamenti che rendano più efficiente il lavoro del Parlamento. 

Non nascondo il mio affetto profondo per quella che ritengo la Costituzione più bella del mondo, e pur non essendomi mai sottratta a modifiche che potessero, interpretando il mutare dei tempi, renderne possibile una attuazione più veritiera, penso che sia doveroso dar vita a un movimento di autentica partecipazione che aiuti a comprendere la posta in gioco in un momento così difficile per la vita dell’Italia e del mondo. Lo faranno i partiti politici? Lo spero. Si uniranno ancora una volta i sindacati? Lo ritengo importante. Ma non basteranno. Sarà necessario che associazioni, movimenti, intellettuali e mondo cattolico non si sottraggano a essere luogo di conoscenza e di motivazione per una partecipazione popolare. Quella Carta è il fondamento della nostra vita comune e non è a disposizione di chi ha vinto le elezioni. È patrimonio di tutti.

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