28 febbraio 2023
Anche i potenti delinquono, eppure a loro si perdona più facilmente. Alcuni di loro truffano, sfruttano, inquinano, rubano, uccidono: provocano danni gravi e diffusi, ma non ne pagano le conseguenze. Era il 1949 quando lo studioso statunitense Edwin H. Sutherland dava alle stampe Il crimine dei colletti bianchi, un libro destinato a cambiare la storia della criminologia. Sutherland descriveva con dovizia di particolari i reati commessi da "persone rispettabili" nel corso delle loro attività: illeciti economici, politici e professionali nocivi per i cittadini più dei delitti comuni, e ciò nonostante trattati con maggiore indulgenza e comprensione. Per lo studioso, il motivo del diverso trattamento si nasconde nella comune estrazione sociale dei potenti e di chi è chiamato a giudicarli.
Chi ha soldi e prestigio è in grado di imporre la sua lettura della realtà, presentandosi agli altri persino come un modello da seguire
Chi ha soldi e prestigio è in grado di imporre la sua lettura della realtà, presentandosi agli altri persino come un modello da seguire. I potenti "hanno bisogno di suscitare ammirazione e imitazione", scrive Vincenzo Ruggiero. Per questo i ricchi nascondono gli abusi, ma se scoperti ne ostentano le motivazioni: i danni all’ambiente sono la contropartita della necessità di produrre, lo sfruttamento dei lavoratori un bisogno del mercato, i disastri idrogeologici solo tristi fatalità.
Il libro di Sutherland venne pubblicato con la censura dei nomi delle società studiate perché l’editore temeva di essere citato per diffamazione: sono dovuti passare più di 35 anni prima che, nel 1983, il libro fosse stampato nella versione integrale, quando l’autore era già morto.
Tuttavia quella riflessione non ha mai smesso di essere valida. Oggi che la ricchezza finisce nelle tasche del dieci per cento della popolazione mondiale, ancora più che in passato, chi trae profitto da pratiche predatorie è in grado di sfuggire alle proprie responsabilità. Sono delitti senza castigo e senza ammissione di colpa. Mai, neppure quando la verità viene a galla, depositata in sentenze di patteggiamento o prescritta, i protagonisti ammettono alcunché.
I potenti non pagano conseguenze neppure sul piano sociale: non sono loro a patire, come i più poveri, gli effetti del cambiamento climatico, dell’incuria o della spregiudicatezza
In Italia, ricordano Anna Sergi e Alberto Vannucci, gli scambi tra le élite al potere coinvolgono pezzi della classe dirigente, della massoneria e delle mafie. Tutti in cerca di "spazi protetti e riservati di incontro, trattativa e scambio". Secondo le statistiche 2021 del Consiglio d’Europa, solo lo 0,9 per cento dei detenuti nel nostro Paese, con sentenza definitiva, sono imprigionati per reati economici e finanziari, a fronte di una media europea del 4,3 per cento. In Francia sono il 7,1, in Germania il 9,8, in Spagna il 5,2.
Del resto, i potenti non pagano conseguenze neppure sul piano sociale: non sono loro a patire, come i più poveri, gli effetti del cambiamento climatico, dell’incuria o della spregiudicatezza. Vivono in un altrove che li protegge dai contraccolpi del presente e persino dalle preoccupazioni sul futuro. "Il senso d’impotenza delle vittime verso gli abusi del potere, e il senso d’impunità dei potenti nei confronti della comunità, sono due facce della stessa medaglia", scrive Ciotti nel suo editoriale. Ma se il potere è cieco di fronte ai danni che provoca, noi invece ci vediamo benissimo.
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