L'ingresso dello stabilimento della Solvay Solexis a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria (Foto da Google Street View)
L'ingresso dello stabilimento della Solvay Solexis a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria (Foto da Google Street View)

Pfas, il ministero dell'Ambiente e la Solvay trattano per le bonifiche a Spinetta Marengo

Dietro il rinvio di otto mesi dell'udienza preliminare in corso ad Alessandria, gli incontri tra legali ed esperti per definire un accordo prima del dibattimento. Al termine del primo processo contro la Solvay, il ministero ora retto da Pichetto Fratin non ha mai chiesto la bonifica dell'area contaminata

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

11 luglio 2025

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A seguito della pubblicazione di questo articolo, il 21 luglio 2025, Syensqo ha chiesto di inserire alcune precisazioni in merito alle informazioni riportate. Qui il testo integrale della richiesta di rettifica, pubblicata come previsto dalle normative vigenti.

Il 2 settembre i rappresentanti della Syensqo (ex Solvay), l’azienda considerata responsabile dell’inquinamento da pfas nell’area di Spinetta Marengo (Alessandria), e quelli del ministero dell’Ambiente si incontreranno a porte chiuse per discutere su bonifiche e risarcimenti nell’ambito del processo in corso ad Alessandria. È questo il motivo per il quale l’udienza preliminare, fissata il 27 giugno (il giorno dopo la sentenza di Vicenza per il caso Miteni), non è stata celebrata ed è stata rinviata al 12 marzo 2026. Più di otto mesi di stop. Lo si apprende dal verbale stilato “fuori udienza” che lavialibera ha potuto visionare: “I difensori hanno rappresentato che pendono trattative con il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energica (Mase), il quale ha fissato per il 2 settembre 2025 un incontro appositamente creato”. Lo slittamento, deciso dal giudice per l’udienza preliminare Andrea Perelli è stato chiesto il 16 giugno scorso dagli avvocati Guido Carlo Alleva e Riccardo Lucev, che assistono Andrea Diotto e Stefano Bigini, ex dirigenti della multinazionale Syensqo, dal 2021 accusati di aver contaminato i suoli e l’acqua di falda sotto lo stabilimento di Spinetta Marengo con le sostanze pfas, composti chimici prodotti e utilizzati nel sito dagli anni Ottanta.

E così, mentre a Vicenza, al termine del processo per l’inquinamento dei pfas della Miteni, il 26 giugno la Corte d’assise ha riconosciuto al ministero dell’Ambiente un risarcimento da 58 milioni per i costi sostenuti dal 2013, per il caso piemontese potrebbe esserci un accordo con la multinazionale Syensqo, unica produttrice italiana di queste sostanze. E di solito, dopo un accordo in questa fase, le parti civili lasciano il processo.

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L’inerzia del ministero dopo il primo processo

“Il danno ambientale dev’essere risarcito mediante l’adozione di misure di ripristino delle risorse naturali danneggiate"Corte d'assise di Alessandria - Sentenza Solvay del 2015

La decisione di aprire al dialogo con i nuovi avvocati di Syensqo Solvay richiede una ricostruzione temporale sulla presenza del ministero nel procedimento penale in corso. Quando nel dicembre 2023 sono state chiuse le indagini per disastro ambientale da pfas nell’area di Spinetta Marengo, il Mase è stato riconosciuto come parte offesa e ha avviato la costituzione di parte civile nel processo, che in generale dà la possibilità di chiedere ai giudici un risarcimento per i danni subiti o per i costi sostenuti.

La costituzione di parte civile è stata depositata anche alla luce del primo processo penale contro la multinazionale Solvay, concluso in Cassazione nel dicembre 2019 con la condanna per disastro colposo innominato per sostanze storiche come il cromo esavalente. In quel processo il ministero dell’Ambiente era stato ammesso tra le parti civili. Tuttavia, nonostante i giudici avessero riconosciuto in tutte le fasi il suo ruolo, ha ottenuto poco nulla per una sua certa inazione.

Pfas, l'altro fronte: Solvay ad Alessandria

Nel primo grado di giudizio, finito nel 2015, il ministero aveva chiesto un risarcimento economico di 100 milioni “da liquidarsi in separata sede”, quando invece avrebbe dovuto esigere innanzitutto – come previsto dal Codice dell’ambiente del 2006 – la “riparazione” a spese della condannata Solvay, e soltanto dopo, in caso di mancata bonifica, il pagamento dei costi. “Il danno ambientale dev’essere risarcito mediante l’adozione di misure di ripristino delle risorse naturali danneggiate, attraverso la strada della riparazione ‘primaria’, ‘secondaria’ e ‘compensativa’”, si legge nelle motivazioni della Corte d’assise di Alessandria. “Solo quando il responsabile dell’inquinamento abbia omesso o realizzato in modo incompleto o difforme le misure di riparazione alle quali era obbligato, il pagamento pecuniario potrà fare ingresso, ma non quale forma di risarcimento del danno, bensì quale forma di ristoro dei costi sostenuti dallo Stato per le attività necessarie a realizzare le misure di riparazione omesse ovvero incomplete o difformi”. Siccome il ministero dell’Ambiente non aveva fatto quantificare il danno e non aveva predisposto, la Corte d’assise rimetteva “le parti innanzi al giudice civile”.

Quando al terzo grado di giudizio, in Cassazione, ha confermato questa impostazione, l’Avvocatura di Stato avrebbe dovuto chiederne la modifica della sua richiesta risarcitoria al tribunale civile, ma non l’ha fatto e così Solvay non ha provveduto alla bonifica né ha il ministero ha chiesto il pagamento delle spese per la riparazione.

Per via di questa mancata conversione, nel nuovo procedimento, quello per la contaminazione da pfas, Syensqo Solvay ha chiesto l’esclusione del Ministero. I difensori hanno motivato questa loro richiesta sulla base dell’inazione del ministero, che avrebbe dovuto richiedere appunto la bonifica prima.

Ma nel luglio 2024 le cose sono cambiate. Il 24 luglio 2024 Syensqo Solvay ha delineato una nuova strategia difensiva, tolto il mandato ai suoi storici avvocati, Luca Santa Maria e Giovanni Bolognesi, quelli che avevano chiesto l’esclusione del Mase come parte civile. Il nuovo legale è Guido Carlo Alleva, penalista esperto, a lungo impegnato quale difensore della famiglia Schmidheiny nel processo Eternit. Il nuovo avvocato ha aperto la strada ai risarcimenti e ha fatto contattare le oltre 200 parti civili già costituite. E adesso cerca un accordo con il ministero.

Le proposte di patteggiamento alle parti civili

I risarcimenti offerti finora, però, non si avvicinano alle cifre richieste alla multinazionale dall’altra parte dell’oceano. Nel sito che produce pfas nello Stato del New Jersey, Stati Uniti, infatti la Solvay, dopo un processo civile iniziato nel 2020, aveva dovuto risarcire lo Stato con 393 milioni di dollari. Parte della somma era destinata alle analisi dei pozzi privati utilizzati dai residenti limitrofi il sito. Il resto è destinato alla bonifica dell’intera zona, con la ricerca di quei Pfas prodotti nel sito di Spinetta Marengo (cC6O4 e Adv) e poi utilizzati nel sito statunitense.

Ad Alessandria invece la difesa dei manager ha proposto alle singole parti civili somme inferiori ai 10mila euro ciascuno, alle associazioni ambientaliste meno di 50mila euro e al Comune di Montecastello, colpito dalla contaminazione da pfas nell’acquedotto, 100mila euro. Stessa cifra al Comune di Alessandria per il danno d’immagine. Nessuna spesa è stata prevista per la rimozione degli inquinanti dai pozzi privati vicini al sito chimico, che la stessa Agenzia per la protezione ambientale (Arpa) indica contaminati da cC6O4.

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Trattative riservate in corso

A maggio il ministero ha fatto all’Ispra una richiesta inusuale, di solito riguardante i Siti di interesse nazionale, zone contaminate da sanare sotto la supervisione del ministero. Tra queste aree Spinetta Marengo non figura

Non è stato possibile conoscere quali siano gli argomenti al centro della trattativa tra ministero e Syensqo (Solvay). lavialibera ha chiesto un’intervista al ministero retto dal piemontese Gilberto Pichetto Fratin, ma non è stata concessa: “Al momento sono in corso delle trattative riservate”, ha risposto l’ufficio stampa.

A partire dal 2001 al 2021 (dopo la condanna del 2019), la multinazionale ha fatto alcuni piani di caratterizzazione, ha cioè predisposto dei documenti per spiegare quali sostanze vengono prodotte e utilizzate nello stabilimento di Spinetta Marengo e come avrebbe tutelato l’ambiente circostante da eventuali contaminazioni. Questi piani non hanno mai portato alla bonifica, né del sito interno, né soprattutto dei terreni esterni inquinati dalla fuoriuscita dei composti chimici. Nessuno di questi piani riguardava la famiglia dei pfas, prodotti e utilizzati dagli anni Ottanta, ma riguardano le altre sostanze “storiche” (prodotte dagli anni Sessanta) come cromo, cloroformio e altre.

A maggio il ministero ha fatto all’Ispra una richiesta inusuale, di solito riguardante i Siti di interesse nazionale, zone contaminate da sanare sotto la supervisione del ministero. Tra queste aree Spinetta Marengo non figura. Ha chiesto agli esperti dell’istituto informazioni su come bonificare l’area della Solvay, anche dai pfas. Lo ha fatto a quasi dieci anni di distanza dalla prima sentenza in base alla quale il ministero avrebbe dovuto pianificare le bonifiche da imporre alla Solvay. L’ufficio stampa del ministero non ha voluto fornire informazioni a riguardo.


La replica di Syensqo

Riceviamo a pubblichiamo la seguente rettifica ad alcune affermazioni contenute nell'articolo.

In riferimento all’articolo “ Il ministero dell'Ambiente e la Solvay trattano per le bonifiche a Spinetta Marengo”, pubblicato in data  11 luglio 2025 a firma di Laura Fazzini, ci rincresce dover leggere informazioni imprecise o parziali su Syensqo che forniscono una descrizione non adeguata dell’impegno e degli investimenti in sostenibilità effettuati dalla nostra società a Spinetta Marengo per far fronte alle attività di bonifica. Tale impegno è dimostrato anche dal recente raggiungimento di un nuovo importante traguardo nella rimozione dei solventi clorurati dalla contaminazione storica.

Riteniamo, pertanto, importante precisare quanto segue:

  1. Non è corretto affermare che Solvay non abbia intrapreso attività di bonifica. Nel 2012 Solvay, oggi Syensqo, in ottemperanza alla normativa vigente in ambito bonifiche , ha presentato il Piano di messa in sicurezza e primi interventi di bonifica, approvato dalla conferenza dei servizi; le attività previste sono state realizzate o sono in corso nel rispetto delle tempistiche concordate con il Comune, l'autorità competente;
  2. si ricorda che, nonostante la legge per i siti operativi preveda l'obbligo di messa in sicurezza e non di bonifica, Solvay prima e Syensqo successivamente hanno presentato volontariamente, laddove tecnicamente possibile, interventi di bonifica oltre alla messa in sicurezza;
  3. non è corretto affermare che non sia stata intrapresa alcuna azione riguardo alla rimozione degli inquinanti dai pozzi privati nelle vicinanze del sito. Solvay prima e Syensqo dopo ha aderito volontariamente al progetto di bonifica avviato dal Comune delle aree esterne al sito, sia per i contaminanti storici che per i Pfas, presentando il piano di caratterizzazione utile a verificare lo stato qualitativo della falda acquifera e dei terreni per un’area che si estende per circa 6 Km quadrati. La fase di caratterizzazione è stata completata ed è in corso l’analisi del rischio, in coordinamento con le autorità
  4. Contrariamente a quanto riportato, i Pfas sono monitorati nella falda acquifera dal 2019, sia all’interno che all’esterno dello stabilimento, anche per verificare l’efficacia delle misure di bonifica adottate e l’efficienza  della barriera idraulica.

La risposta dell'autrice

L’articolo pubblicato intende evidenziare la mancata azione del ministero dell'Ambiente sulla richiesta di rimediare al danno ambientale causato dalla produzione chimica del sito Solvay. Danno ambientale che è stato acclarato nella prima causa Solvay nella quale il ministero era parte civile, arrivata in Cassazione a dicembre 2019. Questa pronuncia, definitiva da quasi sei anni, ha confermato come i sistemi di contenimento posti per trattenere le sostanze dentro il perimetro dell’azienda fossero insufficienti. La sentenza del 2019 quindi ha acclarato la contaminazione per alcune sostanze, considerate storiche, condannando dirigenti sia della passata gestione Edison sia dell’ultima e attuale proprietaria, Solvay ora Syensqo. 
Questi sono dati di fatto e atti processuali che attestano incontrovertibilmente sia la riconosciuta responsabilità di una contaminazione pregressa, sia il correlato obbligo di provvedere al ripristino dei danni cagionati. 

  1. Se è vero che nel 2012 è iniziata la procedura della messa in sicurezza, questa rappresenta attività finalizzate ad intercettare, contenere ed impedire il rilascio di sostanze inquinanti dalle fonti di contaminazioni, contrastando una situazione in atto (salvo l’ipotesi della messa in sicurezza permanente, non oggetto di questi casi). Ma già la Cassazione con la sentenza del 2019 ha indicato come le misure di contenimento, la barriera idraulica, fossero insufficienti. Dopo sette anni dalla prima procedura di messa in sicurezza quindi una sentenza dimostra che la barriera non è in grado di contenere le sostanze e ha stabilito l’obbligo di riparare i danni ambientali. A luglio 2024 in Commissione parlamentare sui rifiuti e Pfas il direttore generale di Arpa Piemonte, Secondo Barbero, testimonia come le sostanze anche storiche come il cromo esavalente siano oltre la soglia sia internamente il sito sia nei punti monitorati esternamente. 12 anni dopo la procedura di messa in sicurezza. 
    Inoltre se è vero che è stata intrapresa la procedura di bonifica e sono stati presentati i primi interventi è pur vero che ad oggi non sono conclusi, quindi la bonifica ad oggi non è stata completata per le vecchie sostanze. Anche in questo caso stiamo parlando di riscontri oggettivi, attestati da report, analisi e dichiarazioni da parte delle Autorità competenti. Anzi, ci sono elementi aggiuntivi che si prestano ad attestare come la situazione della zona attorno allo stabilimento ex Solvay ora Syensqo sia assai critica e attenda interventi risolutivi. È iniziato infatti un secondo processo penale per nuovi composti, i Pfas, di cui, va ricordato, Syensqo-Solvay è l’unica produttrice in Italia. Ad una situazione pregressa non risolta si è pertanto aggiunta un’ulteriore contaminazione, attualmente oggetto di accertamento giudiziario. La procura della Repubblica di Alessandria, nell’avviso di conclusione indagini a dicembre 2023, ha richiesto il rinvio a giudizio per due dirigenti, Stefano Bigini e Andrea Diotto, per una bonifica ritenuta non ancora efficace e una contaminazione in atto. Indipendentemente dall’eventuale responsabilità del Comune e dei vari enti partecipanti sulle tappe del cronoprogramma per la messa in sicurezza concordata nel 2012, è dato di fatto che la contaminazione non sia stata integralmente rimossa, sia nelle aree del sito industriale che in quelle limitrofe. 
  2. Il sito operativo Syensqo attualmente sta rilasciando i nuovi composti, oggetto di specifico intervento della Provincia che ha fermato la produzione due volte tra aprile e luglio 2024. È esistente una situazione di vulnerabilità che richiede una pronta ed efficace messa in sicurezza. La messa in sicurezza è obbligatoriamente prevista come misura dal decreto legislativo n. 152/2006. In altri termini, quando emerge il superamento di CSC o di valori anomali per sostanze anche non normate ma prodotte in un sito chimico – tra l’altro sotto Direttiva Seveso – è un atto dovuto provvedere alla messa in sicurezza da parte del gestore dell’impianto. La messa in sicurezza compete anche al proprietario del sito per circoscrivere un evento dannoso ed impedire l’aggravamento delle sue conseguenze dannose. 
  3. Il piano di caratterizzazione, l’analisi di rischio e il seguente piano di bonifica dei terreni esterni, discusso con gli enti pubblici, è durato oltre tre anni e portato al Tar di Torino dalla stessa Syensqo Solvay. I pozzi esterni tutt’ora evidenziano valori costanti di Pfas, come da pubblicazione sul sito pubblico di Arpa Piemonte. Si raggiungono picchi di 800 nanogrammi di cC6o4 nel pozzo di cascina Grilla, a valle del sito. La bonifica dei terreni esterni è gestita dal dipartimento ambiente del comune di Alessandria che, audito a marzo 2025 in commissione ambiente in Comune, ha commentato come faticoso il rapporto con l’aziende, sia Edison sia Solvay. 
    Nessun privato cittadino che offre volontariamente il proprio pozzo per il monitoraggio di Arpa per la ricerca di Pfas è mai stato contattato dalla Syensqo Solvay per un’eventuale bonifica.  
  4. I dati dei Pfas in falda, prodotti dall’azienda, risalgono al 2009 come da dossier depositato in Procura durante il primo processo. ll primo campionamento di Pfoa in atmosfera interna al sito risale al 2001, voluto dal dirigente d’allora Giuseppe Malinverno e realizzato dal laboratorio Theolab di Volpiano, Torino. 
    Lo scarico nel Bormida, dopo il trattamento nelle vasche interne e attraverso il CTE, ha evidenziato ad aprile 2024 un superamento di cC6O4 nelle schiume. Il direttore d’allora, Stefano Colosio, aveva escluso ci fosse un superamento, dicendo che i dati dell’azienda erano concordi con quelli di Arpa Alessandria. Una dichiarazione smentita dai dati Arpa alcuni giorni dopo, che invece indicavano un superamento della legge regionale del 2021. 
    La stessa Arpa, audita in commissione ambiente nell’aprile 2025, presenta i dati sul Pfoa nei pozzi esterni al sito, posti sull’andamento di falda e utili per evidenziare possibili fuoriuscite malgrado l’azione della barriera idraulica. Il Pfoa è sempre presente e raggiunge un microgrammo per litro nel pozzo più vicino. 
    I Pfas sotto brevetto esclusivo di Solvay, cC6O4 e la miscela ADV, sono inoltre tutt’ora presenti nei monitoraggi in atmosfera eseguiti da Arpa e nei pozzi esterni, analizzati da un laboratorio indipendente e pubblicati da Lavialibera a marzo 2025.
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