Pfas

Materiali impermeabili, ignifughi, ma anche idrorepellenti e antiaderenti. Indistruttibili. Da decenni i pfas, sostanze realizzate dalle industrie chimiche, sono stati prodotti per essere utilizzati negli ambiti più disparati: nella conservazione di alimenti, ad esempio per le confezioni dei fast food o certi cartoni per le pizze, o per le padelle, nelle schiume antincendio o nei prodotti di pulizia per la casa, ma anche nell’abbigliamento tecnico da lavoro o per la montagna. Lo smaltimento di questi prodotti, però, è causa di inquinamento dei terreni e delle acque e di danni alla salute, poiché può accumularsi nel sangue e provocare tumori o disfunzioni ormonali. In Italia, le industrie che producono o producevano Pfas sono due: la Miteni a Trissino (Vicenza, in Veneto), non più in attività; e la Solvay a Spinetta Marengo (ad Alessandria, in Piemonte), ancora in funzione.

Cosa sono i pfas?

Con il termine pfas (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche) si intende un insieme di composti chimici – non presenti in natura – dotati di legami carbonio-fluoro, tra i legami chimici più forti, che li rendono particolarmente resistenti sia al calore, sia all’acqua. L’unica maniera per rompere il legame carbonio-fluoro è l’incenerimento a una temperatura superiore a 800 gradi.

Dove si trovano i pfas?

Sin dagli anni Cinquanta i pfas sono stati utilizzati in vari ambiti:

  • Tessuti: rendono i tessuti impermeabili, idrorepellenti e oleorepellenti.

  • Rivestimenti: proteggono le superfici da acqua, olio e altri agenti chimici.

  • Carta: rendono la carta più resistente all'acqua e all'olio.

  • Prodotti antincendio: rendono le schiume antincendio più efficaci.

  • Prodotti per la cura personale: rendono i prodotti come i cosmetici, più duraturi e resistenti all'acqua;

  • Detergenti per la casa.

Il materiale più famoso è il Teflon, creato dall’azienda statunitense DuPont per rendere antiaderenti le padelle. Alcuni tipi di pfas sono anche alla base del Gore-Tex, tessuti tecnici impermeabili e traspiranti.

Quali conseguenze hanno i pfas?

Siccome sono resistenti all’acqua e l’acqua li trasporta molto facilmente, i pfas smaltiti in maniera irregolare dalle aziende produttrici si sono diffusi nelle falde acquifere e superficiali, e nel terreno. Attraverso l’acqua utilizzata per bere o per produrre cibo, i pfas sono quindi entrati nell’organismo umano, dove possono accumularsi. I pfas possono avere delle conseguenze gravi sull’ambiente e sulla salute umana, perché non possono essere metabolizzati dai mammiferi.

All’interno del corpo umano, queste sostanze si accumulano, si legano alle proteine e circolano nel sangue finendo agli organi come i reni o il fegato. C’è poi un altro rischio: possono attraversare la barriera placentare e quindi essere “trasmessi” dalla madre al feto. I bambini possono assumere questi composti anche attraverso l’allattamento.

I pfas possono:

  • modificare il funzionamento del sistema endocrino, ad esempio influenzare il cambiamento degli ormoni responsabili dello sviluppo, della fertilità, del comportamento o di altre funzioni;

  • aumentare la probabilità di crescite cellulari anomale e quindi la formazione di tumori, specie in caso di esposizione cronica ai reni o ai testicoli;

  • provocare malattie della tiroide, ipertensione in gravidanza; colite ulcerosa; aumento del colesterolo e altro ancora;

  • provocare malattie nelle donne incinte e nei neonati come il diabete gestazionale. I neonati possono essere più piccoli e sottopeso rispetto alla media o avere malformazioni maggiori tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche.

Perché si parla di pfas e del caso Miteni?

Il caso Miteni riguarda l’inquinamento provocato dalla stabilimento di questa azienda chimica fondata dalla Mitsubishi e dall’Eni (da cui il nome Miteni) a Trissino, in provincia di Vicenza. Nel marzo 2013 l’Istituto di ricerca sulle acque del Centro nazionale di ricerche prima e l’Agenzia regionale della protezione ambientale del Veneto dopo hanno scoperto che gli scarichi avevano inquinato le acque sotterranee e i pozzi da cui attingevano alcuni acquedotti delle province di Vicenza, Verona e Padova. All’interno di un’“area rossa”, che conta 21 comuni e circa 127mila abitanti, è stata rilevata una maggiore frequenza di questi disturbi provocati dai pfas. In particolare, a essere più danneggiati sono stati i lavoratori.

Secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso, la Mitsubishi – che ha controllato a lungo la Miteni – era al corrente sin dagli anni Novanta della contaminazione dei terreni. Dall’indagine dei carabinieri è nato il principale processo penale sui pfas in Europa.

Miteni di Trissino. Foto: Marco Carmignan

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