L'aula della Corte d'assise, nel Palazzo di giustizia di Vicenza. Foto di Laura Fazzini
L'aula della Corte d'assise, nel Palazzo di giustizia di Vicenza. Foto di Laura Fazzini

Miteni, pesanti condanne a 11 ex manager per l'inquinamento da pfas nel Vicentino

La Corte d'assise di Vicenza ha inflitto condanne superiori alle richieste della procura al termine del primo grado del processo ad amministratori e dirigenti dello stabilimento Miteni di Trissino, ritenuti responsabili dell'inquinamento da pfas. Avvelenamento, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta i reati riconosciuti dai giudici

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

26 giugno 2025

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Sono pesanti, molto pesanti, le condanne inflitte dalla Corte d'assise di Vicenza al termine del processo a 15 ex manager della Miteni, l'industria chimica con sede a Trissino (Vicenza) che ha contaminato le acque e i terreni delle aree circostanti con i pfas. Le pene inflitte a 11 imputati – accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta – sono addirittura superiori alle richieste della pubblica accusa. 

La pena più alta, 17 anni, è andata a Luigi Guarracino, direttore operativo di Miteni dal 2009 al 2012 e poi amministratore delegato fino al 2015. A lui erano contestati i primi due reati. Stessa condanna anche Brian Anthony Mc Glynn, ex dirigente di Ausimont (che gestiva anche lo stabilimento di Spinetta Marengo, ad Alessandria) passato poi a Miteni. Assolti da ogni accusa tre imputati italiani e un dirigente giapponese. Gli avvocati difensori hanno lasciato il Palazzo di giustizia senza rilasciare dichiarazioni.

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Processo Miteni, una "sentenza storica"

Per i legali delle parti civili è "una sentenza storica": si tratta della prima sentenza nell'ambito di quello che è ritenuto il più grande processo in Europa per la contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche. Si tratta di composti chimici indistruttibili usati nell'industria per realizzare materiali resistenti al fuoco e all'acqua, ma che possono provocare gravi problemi di salute: disfunzioni ormonali e tiroidee, tumori e malattie nelle donne incinte e nei neonati.

Il Tribunale di Vicenza, dove si è svolto il processo ai manager della Miteni per l'inquinamento da pfas. In giallo, lo striscione degli attivisti che chiedono bonifiche dei territori (Foto di Laura Fazzini)
Il Tribunale di Vicenza, dove si è svolto il processo ai manager della Miteni per l'inquinamento da pfas. In giallo, lo striscione degli attivisti che chiedono bonifiche dei territori (Foto di Laura Fazzini)
Il 13 febbraio scorso, al termine di quattro ore di requisitoria, la procura di Vicenza, con il pm Hans Roderich Blattner, aveva chiesto in totale 121 anni di carcere e 6 mesi per nove imputati, tutti con ruoli apicali nella Miteni (nata come Ricerche Marzotto, Rimar, per la produzione di tessuti impermeabili) e delle società controllanti. La pubblica accusa aveva chiesto l'assoluzione per due dirigenti giapponesi della Mitsubishi (che aveva rilevato la Rimar insieme ad Enichem, da cui il nome Miteni) e quattro italiani, ritenuti privi di potere decisionale

Il ministero dell’Ambiente, che si è costituito parte civile nel processo attraverso l’Avvocatura dello Stato, aveva chiesto un risarcimento di 56 milioni di euro, ma i giudici hanno riconosciuto un indennizzo da 58 milioni. Con la sua sentenza, la Corte d'assise ha riconosciuto alla Regione Veneto sei milioni di euro di indennizzi. Di circa 844mila euro è l'indennizzo all'Agenzia regionale per l'ambiente del Veneto (Arpav). La curatela fallimentare – rappresentata dall'avvocato Enrico Ambrosetti – ha richiesto 15 milioni di euro di risarcimento al cui interno ci sono anche le richieste degli ex lavoratori della società, in attesa degli ultimi stipendi e del trattamento di fine rapporto. I giudici hanno stabilito che i condannati dovranno darne 4,8 milioni.

Per i trenta comuni della zona rossa, quella dove l'inquinamento da pfas è più forte, i giudici hanno riconosciuto in media 80mila euro ciascuno (e non 30mila, come scritto in una precedente versione, ndr). 50mila euro per organizzazioni come Legambiente, Medici per l'ambiente, Medicina democratica e altri, 25mila gli euro per i sindacati Cgil e Cisl. 

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Le accuse nei confronti degli ex manager di Miteni

Gli imputati in questo processo sono 15 ex manager di Miteni e delle società che, nel tempo, si sono succedute nel controllo, come la giapponese Mitsubishi Corporation fino al 2009 e poi l’europea International Chemical Investors, proprietaria della filiale italiana che controllava Miteni dal 2009 al fallimento.

Molte le accuse a loro rivolte dalla procura di Vicenza. La prima riguarda l'avvelenamento di acque aggravato in concorso perché – questa l'ipotesi accusatoria – “concorrevano a cagionare l'avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana”, in particolar modo della falda acquifera sotto l’area industriale e le “acque superficiali circostanti comunque destinate al consumo”. L’industria disperdeva nel suolo e nel sottosuolo “vari composti chimici”, interrando rifiuti e scarti, ma anche per la “carente tenuta degli impianti”. Alcune aziende consulenti di Miteni avevano rilevato l’inquinamento e l’impresa, anziché prendere provvedimenti per prevenire il propagarsi della contaminazione, risanare l’area e informare le autorità, nascondeva i dati e chiedeva agli esperti di rivedere le loro analisi.

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La seconda accusa è quella di disastro ambientale “dal quale derivava un pericolo per la pubblica incolumità”, la diffusione e l’accumulo di pfas e pfoa tra la popolazione esposta ai composti “con conseguente aumentata incidenza di effetti sanitari indesiderati quali l'aumento di livello del colesterolo nel siero umano”, e non solo.

Alcuni dirigenti, soprattutto quelli dell’ultimo periodo di attività di Miteni prima del fallimento, sono anche accusati di abbandono di rifiuti e di inquinamento ambientale perché provocavano o non prevenivano la diffusione di alcune sostanze, che poi si propogavano su una superficie molto vasta.

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Per alcuni, infine, c'è anche l'accusa di bancarotta fraudolenta, sia perché non avevano mai registrato nei bilanci un fondo per i rischi che l’azienda correva sul piano ambientale, sia perché avevano valutato a caro prezzo il valore degli immobili, che in realtà, visto l’inquinamento, era quasi nullo. Di fronte a questo dissesto finanziario, la società è stata dichiarata fallita il 9 novembre 2018. Alla Miteni, come responsabile civile (sarà cioè chiamata a risarcire, se riconosciuta colpevole) è contestato il non aver adottato un modello organizzativo adatto a prevenire l’inquinamento.

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