Il termine crimini dei potenti identifica i reati commessi da individui e gruppi che posseggono risorse economiche e di status di molto superiori rispetto a quelle possedute dalle loro vittime. Sono reati che provocano danni gravi e diffusi, ma che vengono perdonati con più facilità. Esempi sono i danni alla salute provocati dalle produzioni industriali, le grandi corruzioni, i reati economici e della politica: delitti di cui spesso le vittime non sono neppure consapevoli, e che difficilmente vengono a galla. Anche per questa ragione i ricchi e le élite non subiscono quasi mai conseguenze giudiziarie o sociali per i loro gesti. Il primo a parlarne è stato, nel 1949, il criminologo Edward Sutherland, che per la prima volta ha associato i concetti di devianza e crimine a persone di classe sociale elevata, i potenti, parlando di crimine dei colletti bianchi Questo ha creato una rottura con il luogo comune secondo cui i comportamenti criminali sono sempre e necessariamente una conseguenza dell'emarginazione e della povertà. Ancora oggi, gli autori di questi crimini sono apparati dello stato, pezzi della classe dirigente, grandi imprese e istituzioni finanziarie, che oltre alla capacità di decidere del destino dei meno abbienti, godono spesso di consenso e ammirazione.