Abuso d'ufficio, per la Corte costituzionale l'abrogazione non viola la convenzione Onu contro la corruzione

Alla Consulta i giudici hanno stabilito che l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, voluta dal governo di Giorgia Meloni, non viola la convenzione Onu contro la corruzione. Tredici tribunali e la Corte di Cassazione avevano sollevato dei dubbi sulla legittimità. Per la Suprema Corte la riforma del ministro Nordio priva i cittadini di una tutela dagli abusi e dai conflitti di interesse

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

Aggiornato il giorno 8 maggio 2025

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La Corte costituzionale ha stabilito: l’abrogazione dell’abuso d’ufficio – una delle misure più importanti della riforma firmata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio – è conforme alla Costituzione e non viola la Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione (Convenzione di Merida). La scorsa estate la riforma aveva cancellato il reato con cui si puniva il pubblico ufficiale che, violando delle regole oppure in conflitto di interessi, “intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arreca ad altri un danno ingiusto”. In seguito, tredici tribunali e la Corte di cassazione avevano ritenuto legittimi i dubbi circa l'incostituzionalità dell'abrogazione e avevano stabilito di inviare al Palazzo della Consulta la questione. 

Nel merito, al termine dell'udienza di mercoledì 7 maggio, la Corte ha dichiarato infondate le questioni: i giudici ritengono che dalla Convenzione di Merida non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale. Il ministro Nordio, esprimendo “la massima soddisfazione" per la decisione, si "rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida. Auspico che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni”.

Per molti, l'abuso d'ufficio era un’arma basilare per le inchieste contro il malaffare nelle amministrazioni pubbliche. Una volta eliminata con un colpo di penna dal codice penale, però, molti comportamenti prima ritenuti illeciti, non erano più punibili.

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I dubbi dei tribunali e della Cassazione sull'abrogazione dell'abuso d'ufficio

“L’abrogazione del reato di abuso di ufficio (...) non è stata ‘compensata’ dall’adozione di meccanismi, preventivi o repressivi, penali o amministrativi volti a mantenere il medesimo standard di efficacia ed effettività nella prevenzione degli abusi (...) ai danni dei cittadini”Corte di Cassazione

Se, da una parte, dopo l’approvazione del decreto firmato da Carlo Nordio, molti magistrati hanno preso atto che l’abuso d’ufficio non è più reato, hanno prosciolto gli imputati o archiviato le ipotesi investigative, dall’altra alcuni magistrati, giuristi e avvocati hanno messo in dubbio l’abrogazione. In tutta Italia, nel corso di alcuni processi, più di tredici tribunali hanno sollevato delle questioni di legittimità costituzionale, la decisione con cui si chiede ai giudici della Consulta di valutare se la decisione rispetta la Carta e le convenzioni internazionali sottoscritte da Roma. A questi si è unita il 7 marzo scorso anche dalla Sesta sezione penale della Corte di cassazione. I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto fondati i dubbi, spiegando le loro ragioni secondo le quali la Corte costituzionale dovrebbe esaminare la riforma firmata Nordio.

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Secondo loro, la convenzione della Nazioni unite contro la corruzione (Uncac), anche chiamata convenzione di Merida, impone il “mantenimento degli standard di efficacia stabiliti nella prevenzione della corruzione” e quindi bisogna anche “astenersi dall’adottare misure, legislative o amministrative, che comportino il regresso”. Insomma, non si possono fare passi indietro e non si può eliminare quel reato senza introdurre dei contrappesi. “L’abrogazione del reato di abuso di ufficio ha, dunque, violato questo specifico obbligo, in quanto non è stata ‘compensata’ dall’adozione di meccanismi, preventivi o repressivi, penali o amministrativi volti a mantenere il medesimo standard di efficacia ed effettività nella prevenzione degli abusi funzionali intenzionalmente posti in essere dagli agenti pubblici ai danni dei cittadini”, spiegano i giudici in un passaggio.

L’abuso d’ufficio non è stato “sostituito” da un intervento appropriato, che fosse un nuovo reato oppure uno strumento amministrativo altrettanto efficace contro gli abusi di potere. Il peculato per distrazione, introdotto subito dopo, non si adatta a quei comportamenti puniti prima e gli strumenti che prevengono la corruzione non basterebbero. “I rimedi giurisdizionali (come le segnalazioni agli organi disciplinari o i ricorsi alla giustizia amministrativa, ndr), peraltro onerosi, non sempre non attivabili, in quanto, non di rado, le prevaricazioni dei pubblici agenti si traducono non in atti amministrativi, ma in meri comportamenti, come tali non impugnabili”. E ancora, “i procedimenti disciplinari sono dotati di poteri di istruttoria meno incisivi”, mentre “la responsabilità contabile ed erariale non assicura una prevenzione efficace e adeguata degli abusi funzionali”. Su quest’ultimo aspetto, va poi ricordato che la maggioranza di destra sta portando avanti una riforma della Corte dei conti, firmata dall’attuale ministro agli Affari europei Tommaso Foti, che mira a depotenziare il ruolo delle procure.

In un passaggio, i giudici della Suprema corte sottolineano che il legislatore non ha considerato l’interesse dei cittadini “a non essere danneggiati dagli abusi funzionali o dalla mancata astensione dei pubblici agenti che agiscono in conflitto di interesse”.

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I dubbi degli avvocati penalisti

"Bisogna stare attenti, l’accesso dei controlli porta alla paralisi dell’economia”Francesco Paolo Sisto

Oltre agli avvocati dei processi in corso e all’Avvocatura dello Stato, che rappresenta gli interessi del governo, nell’udienza alla Corte costituzionale entra in gioco anche l’Unione delle camere penali italiane, cioè la principale associazione che raggruppa gli avvocati esperti di diritto penale, che ha consegnato al Palazzo della Consulta documenti in cui fornisce le opinioni a favore dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio. In sostanza:

  • La convenzione di Merida non obbliga ad avere un reato nel proprio corpo legislativo;

  • Ripristinare il reato abrogato da Nordio potrebbe avere effetti in malam partem, cioè a sfavore del reo, e questo non è possibile nel nostro ordinamento.

Le Camere penali ritengono inoltre che l’introduzione del reato, il peculato per distrazione, “funge da contrappeso all’abrogazione”. Di fronte all’osservazione della Corte di cassazione, secondo cui i cittadini verrebbero privati di uno strumento non oneroso per difendersi da abusi di potere e conflitti di interessi, l’Ucpi si schiera dalla parte del legislatore e sottolinea che esistono altri metodi e altre tutele, legati ai regolamenti disciplinari, alla giustizia amministrativa e contabile. Insomma, per dirla con il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto (Forza Italia): “Dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio i Tar sono diventati i controllori delle patologie, anche di quelle gravi, della pubblica amministrazione. Saranno in condizioni di garantire questa capacità d’intervento? Penso di sì, questa è la nuova scommessa, il giudice amministrativo capace di intervenire con decisione e anche con saggezza. Perché bisogna stare attenti, l’accesso dei controlli porta alla paralisi dell’economia”.

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L’interpretazione del costituzionalista

“Anche se accerta un contrasto con la Convenzione di Merida, è difficile che si giunga ad una sentenza di mera dichiarazione di illegittimità costituzionale perché questo produrrebbe una situazione di peggioramento in malam partem in materia penale” – aveva spiegato il costituzionalista Gaetano Azzariti a Il Fatto Quotidiano di lunedì 5 maggio –. Ma ciò non esclude affatto una sentenza di natura interpretativa in cui la Corte, in motivazione, evidenzi la necessità di adottare misure idonee a impedire che restino sacche di impunità. L’obbligo internazionale non comporta la riviviscenza del reato abrogato, ma imporrebbe la conservazione di un sistema efficace di prevenzione e divieto degli abusi delle proprie funzioni da parte della pubblica amministrazione”.

In attesa dell'udienza e della decisione, altri tribunali hanno sollevato le questioni di illegittimità costituzionale. Ultimi in ordine di tempo, i giudici del Tribunale di Torino e, poco prima, quelli del Tribunale di Campobasso, nel processo al sindaco di un piccolo comune e a un funzionario che avevano assunto il figlio del politico.

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