2 gennaio 2025
La partita per la Corte costituzionale è cruciale. Dal Palazzo della Consulta passano scelte fondamentali per il governo: lì si valutano se le leggi sono conformi alla Carta (controllo di costituzionalità) e se ammettere i quesiti dei referendum. Ad esempio, giovedì 14 novembre i giudici hanno bocciato una parte della riforma sull’autonomia differenziata per sette questioni ritenute non conformi alla Costituzione. Altri nodi importanti emergeranno quando i giudici dovranno stabilire – a seguito dei ricorsi di alcuni tribunali – se l’abolizione del reato di abuso d’ufficio viola la Convenzione Onu contro la corruzione, firmata anche dall’Italia. La Corte sarà inoltre chiamata a decidere sull’ammissibilità di due quesiti referendari: uno sulla riforma dell’autonomia e l’altro sulla legge sulla cittadinanza. E in futuro potrebbero vagliare altri temi divisivi, come eventuali ricorsi contro l’introduzione del reato universale di gestazione per altri o contro la riforma del premierato, progetto a cui Giorgia Meloni e la sua maggioranza danno grande importanza. Per questo motivo l’elezione dei membri della Corte costituzionale, i “giudici delle leggi”, riveste una valenza strategica.
Il governo mette i bastoni tra le ruote della giustizia
"La storia della Corte costituzionale dimostra che le persone investite di questa funzione hanno sempre saputo distinguere tra la provenienza e il loro ruolo. Si è sempre cercato un bilanciamento. Non ci sono stati precedenti di maggioranze 'pigliatutto'"Renato Balduzzi - Presidente dell'Associazione italiana costituzionalisti
La corte ha 15 componenti, di cui cinque nominati dal presidente della Repubblica, cinque dalle “alte magistrature” (cioè la Cassazione, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato) e gli altri cinque dal parlamento "in seduta comune", per prassi divisi tra maggioranza e opposizione. Restano in carica nove anni, tempo più lungo della durata di parlamenti e governi, ma anche della presidenza della Repubblica. "La durata lunga garantisce indipendenza e serenità nel giudizio", spiega Renato Balduzzi, professore di diritto, presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, ex ministro ed ex componente del Csm.
La Costituzione impone che siano scelti "tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio". Tra di loro le forze parlamentari possono scegliere le persone che reputano più indicate, "portatori di esperienze e di sensibilità presenti nelle assemblee rappresentative, ma l’elevato numero di voti richiesto per l’elezione fa sì che non sia la sola maggioranza a sceglierli", si legge sul sito della Corte, dove si precisa che non vanno ritenuti "rappresentanti o mandatari delle forze che li hanno indicati".
"La storia della Corte costituzionale dimostra che le persone investite di questa funzione hanno sempre saputo distinguere tra la provenienza e il loro ruolo – spiega ancora Balduzzi –. Si è sempre cercato un bilanciamento. Non ci sono stati precedenti di maggioranze 'pigliatutto'". La ripartizione dei giudici a nomina parlamentare è una prassi "indirizzata dalla Costituzione, che prevede maggioranze qualificate" e quindi deve esserci una scelta "il più possibile condivisa", prosegue il professore.
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A ottobre, per il posto liberato un anno prima dalla giudice Silvana Sciarra, la destra ha proposto Francesco Saverio Marini, avvocato e professore di diritto pubblico, consigliere giuridico di Meloni e autore della riforma del premierato. Se fosse eletto e se la proposta dovesse passare, dovrà esprimersi su una legge scritta da lui. Per questo l’opposizione è contraria e per dieci volte il voto è fallito: per eleggere un giudice servono i tre quinti del parlamento e alla maggioranza meloniana ne mancano pochi.
Nel frattempo a fine anno sono scaduti gli incarichi di altri tre giudici – il presidente Augusto Barbera (proposto dal Pd), Giulio Prosperetti (sostenuto dall’area centrista) e Franco Modugno (indicato dal M5s) – eletti il 16 dicembre 2015 alla 32esima tornata, dopo un anno e mezzo di trattative che, alla fine, esclusero il centrodestra. Il quinto giudice di nomina parlamentare, Luca Antonino, è stato eletto nel 2018 (dalla maggioranza giallo-verde con M5s e Lega), è ritenuto vicino al Carroccio e rimarrà fino al 2027. Di fronte alla scopertura di quattro posti, le forze politiche hanno trovato un accordo: due giudici rappresentanti della maggioranza, uno all’opposizione e un tecnico, ma a dicembre il parlamento non ha eletto nessuno.
Alfredo Bazoli, senatore del Pd e avvocato, teme però che possa accadere "come hanno fatto con il Consiglio superiore della magistratura, dove hanno mandato persone non qualificate, ma fedelissime". Con una maggioranza di toghe indicate dalla destra muterebbero gli equilibri. La Corte opera in modo collegiale e per deliberare servono almeno 11 voti, ma quei tre-quattro giudici potrebbero influire
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