Roma, 26 settembre 2024. I promotori del referendum contro l'autonomia differenziata consegnano in Corte di Cassazione le firme raccolte per il quesito referendario contro la legge Calderoli
Roma, 26 settembre 2024. I promotori del referendum contro l'autonomia differenziata consegnano in Corte di Cassazione le firme raccolte per il quesito referendario contro la legge Calderoli

Referendum contro l'autonomia differenziata, grande chance per ripensare ciò che non va

Le organizzazioni che hanno promosso la raccolta di firma per un referendum contro l'autonomia differenziata hanno consegnato alla Corte di Cassazione più di un milione di sottoscrizioni. Un segnale incoraggiante, ma bisognerà impegnarsi ancora molto in vista del possibile voto nella primavera del 2025. Serve il protagonismo delle realtà sociali

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De MarzoCoordinatore della Rete dei Numeri Pari

26 settembre 2024

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Ci siamo riusciti tutti e tutte insieme. Sembrava impossibile raccogliere, in poco tempo e sotto la calura, più di mezzo milioni di firme per istituire un referendum contro l'autonomia differenziata. Ed invece il 26 settembre ne abbiamo consegnato in Corte di cassazione più di un milione. In pochi ci avrebbero scommesso, specie in un momento di crisi della partecipazione. E invece ci siamo riusciti. Hanno pagato l’impegno, il coraggio, la passione, la cooperazione e la disponibilità a costruire relazioni sui territori. Un segnale di grande speranza che rafforza il ruolo della cittadinanza attiva nella difesa dei principi fondamentali della democrazia, in un momento storico in cui la nostra democrazia è a rischio. Perché questa è la posta in gioco, se qualcuno non l’avesse ancora capito o finge di non capire.

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Una firma contro chi vuole cambiare la Repubblica

Al centro, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, promotore della riforma (Facebook)
Al centro, il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, promotore della riforma (Facebook)

L’autonomia differenziata – voluta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli – ha come obiettivo cambiare radicalmente il volto della Repubblica, stravolgendone i principi, cancellando il regionalismo solidale in nome di un regionalismo asimmetrico e competitivo che nasconde la secessione dei ricchi, spacca l’unità nazionale, fa esplodere le disuguaglianze, aggravando la drammatica crisi sociale ed istituzionale.

Ma ve lo immaginate un paese come il nostro, con i problemi e le differenze che già ci sono, che decide di devolvere sino a 23 materie di esclusiva competenza dello Stato alle Regioni? Senza fondi perequativi e senza nemmeno aver definito i livelli essenziali di prestazione! Saremmo di fronte a un sistema ingestibile, inefficace, antieconomico, incomprensibile. Immaginate le diverse legislazioni e quanto verrebbe complicata la vita degli enti locali con regimi giuridici differenziati. Con effetti catastrofici sulla politica di bilancio e sul sistema fiscale complessivo come ha denunciato Visco, il governatore della Banca d’Italia e come hanno confermato la Corte dei conti, la Conferenza episcopale italiana, la Commissione europea e tanti altri. Inascoltati.

La domanda a cui le destre al governo non vogliono rispondere è questa: come potranno essere finanziate le politiche e i servizi pubblici nei territori con minore capacità fiscale se le regioni con maggior gettito tratterranno sui rispettivi territori quote crescenti di compartecipazione? La legge 86 viola i due principi sacri della nostra Costituzione: l’uguaglianza dei diritti su tutto il territorio nazionale e l’obbligo della Repubblica alla solidarietà. Per questo da anni come Rete dei Numeri Pari denunciamo come l’autonomia differenziata sia un progetto eversivo. Perché porta avanti trasformazioni radicali negli assetti di potere e negli equilibri della Repubblica.

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Ora la sfida più grande

"Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di abrogare la legge dovremo parlare a tutti e tutte, a partire da quanti non votano più e vivono in quelle zone o aree del paese dove la politica è stata assente. Evitando di contrapporre il nord al sud"

Dopo aver raccolto le firme necessarie, si apre adesso la sfida più grande. Se il quesito, come ci auguriamo, sarà ammesso dalla Corte costituzionale, verremo chiamati in primavera a votare. E avremo bisogno della maggioranza dei cittadini, non di una parte minoritaria del paese. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di abrogare la legge dovremo parlare a tutti e tutte, a partire da quanti non votano più e vivono in quelle zone o aree del paese dove la politica è stata assente. Evitando di contrapporre il nord al sud. Sarebbe un errore perché sebbene il sud venga più colpito dalla legge 86, anche i cittadini del nord subiranno conseguenze pesanti. Così come sarebbe sbagliato ridurre l’impegno per l’unità della Repubblica e per la difesa della dignità di milioni di cittadini, ad una partita tra opposizione e governo. Avremmo già perso, come auspica proprio la Meloni, oltre ad offendere l’intelligenza di molti.

I danni dell'autonomia differenziata

La nostra campagna referendaria deve essere sul merito delle questioni. Dobbiamo spiegare che è necessario abrogare la legge 86 perché:

  • l’autonomia differenziata aumenta i divari territoriali e spacca l’Italia in 20 piccole patrie;
  • smantella l’istruzione pubblica e il diritto allo studio;
  • cancella il diritto alle cure ed alla salute, già oggi negato a milioni di persone; distrugge il welfare universalistico, cancellando le risorse necessarie a garantire i diritti sociali che già oggi mancano a milioni di cittadini;
  • devasta l’ambiente attribuendo competenze che devono essere coordinate a livello nazionale e internazionale, aumentando i ritardi per affrontare la crisi ecologica, esponendoci ai rischi causati dal collasso climatico e dagli eventi metereologici estremi;
  • peggiora le leggi sulla sicurezza sul lavoro, fomentando una competizione territoriale al ribasso sulla pelle di lavoratori e cittadini;
  • impoverisce il lavoro, attaccando il contratto collettivo nazionale; impedisce la possibilità di cambiare modello di sviluppo perché devolve materie strategiche alle Regioni, pregiudicando le prospettive unitarie del sistema produttivo nazionale;
  • espropria il Parlamento di poteri e competenze fondamentali assegnate dalla Costituzione, inibendogli la possibilità di governare cambiamenti istituzionali che impatteranno su principi e diritti fondamentali, potenzialmente irreversibili.

E tutto questo avviene in un contesto internazionale drammatico, segnato da guerra, collasso climatico e disuguaglianze.

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Un confronto diretto contro il silenzio dei media

"Solitudine e rabbia si possono trasformare in impegno comune per la giustizia"

Possiamo fare una considerazione dopo due mesi ai banchetti. Sino a quando l’opinione pubblica è stata tenuta allo scuro era più facile continuare a mentire, spostando l’attenzione altrove. Quando invece ci si torna a parlare direttamente nelle strade e nelle piazze, guardandosi negli occhi, entrando nel merito dei problemi, scambiando punti di vista, le cose sono molto più semplici. Solitudine e rabbia si possono trasformare in impegno comune per la giustizia. Lo dimostra la velocità della raccolta delle firme. Così come i tanti cittadini di destra che hanno firmato perché contrari allo Spacca Italia. Perché, quando i cittadini vengono informati e possono esprimersi e partecipare, a partire dai propri bisogni, la politica torna ad essere strumento di cambiamento.

Chi è al governo scommette invece su due prospettive: “si salvi chi può” e “vinca il più forte”. L’autonomia differenziata è la risposta cinica ai problemi della nostra società: non potendoli risolvere preferiscono affidarsi alla legge del più forte. Un progetto chiaro da anni. Che va sfidato e sconfitto con una visione all’altezza della complessità dei tempi: se vogliamo vivere bene nessuno deve essere lasciato indietro, perché ci si salva solo tutte e tutti insieme.

Il referendum è un’occasione grandissima per ripensare quello che non va, tornare a parlare con le persone, restituire forza e visione alla politica, rimettere al centro le nostre priorità, ridare voce ai cittadini lasciati indietro in questi 15 anni di crisi. Per questo serve il protagonismo delle realtà sociali. Che in questi anni non si sono arrese, costruendo risposte e alternative attraverso solidarietà, passione, competenze, innovazione sociale. Insistendo proprio nei luoghi abbandonati dalla politica. Gli stessi in cui la maggioranza non vota più. È da lì che viene il consenso per abrogare la legge 86.

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