Lo stabilimento Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza (Foto Federico Bevilacqua)
Lo stabilimento Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza (Foto Federico Bevilacqua)

Pfas in Europa: 40 anni di inquinamento, ma il profitto vince su tutto

I composti chimici servono per molteplici usi, ma sono tossici per l'ambiente e dannosi per la salute umana. Un rischio concreto che le lobby internazionali hanno messo a tacere. Come è andata lo racconta quest'inchiesta cross-border realizzata da lavialibera nell'ambito del progetto Forever Lobbying Project coordinato da Le Monde

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

15 gennaio 2025

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I pfas sono dei composti chimici che hanno rivoluzionato il vivere quotidiano: rendono impermeabili i vestiti, resistono alle temperature più estreme e consentono perfino di produrre energia verde. Ne sono dipendenti i consumatori ma anche le istituzioni pubbliche, che li reputano essenziali. Peccato che queste sostanze siano tossiche per l’ambiente e dannose per l’essere umano, in quanto interferenti endocrini, causa di tumori e altre patologie.

Cosa sono i pfas?

Lavialibera ha partecipato al gruppo di lavoro Forever Lobbying Project coordinato da Le Monde e composto da 46 giornalisti di 30 testate, che ha coinvolto 16 paesi. L’obiettivo è stato raccontare quali azioni di lobby siano state messe in atto in Europa affinché le aziende produttrici di pfas potessero continuare a operare sul mercato. La redazione ha consultato documenti inediti e datati tra il 1996 e il 2011 per capire, ad esempio, cosa ci sia dietro alle dichiarazioni rilasciate nel settembre 2024 dall’ex premier italiano Mario Draghi, che ha annunciato all’Europa come rinunciando ai pfas il Vecchio continente sarebbe rimasto indietro ai paesi asiatici, che continuano con la loro aggressiva politica di espansione commerciale.

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Che si tratti di un business notevole lo conferma anche la visita del commissario europeo all’industria Stephane Séjourné, che durante la prima missione ufficiale del nuovo mandato ha scelto di visitare l’unica azienda che oggi in Italia produce pfas, ossia la Syensqo Solvay, che ha sede vicino a Milano.

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Pfas, un rischio noto da almeno trent’anni

Anaheim è una piccola città della California, a sud di Los Angeles, e qui ha sede la multinazionale della chimica 3M (doc 1). Nel marzo del 1996, nella sala riunioni della fabbrica, per la prima volta dieci uomini stendono un piano condiviso di analisi sanitarie per cercare delle sostanze che il mondo ancora non conosce: i pfas. Si tratta di composti inventati negli Stati Uniti dalla Dupont negli anni Trenta, nell’ambito di un esperimento condotto dell'ingegnere chimico Roy Plunckett.

Nel marzo del 1996, negli Usa, per la prima volta dieci uomini stendono un piano condiviso di analisi sanitarie per cercare i pfas

Sostanze utilizzate per fabbricare la bomba atomica nel piano Marshall, poi brevettate dalle grandi industrie chimiche per applicazioni destinate al commercio internazionale. Molecole chimiche perfette, che si prestano a molteplici utilizzi: rendono antiaderenti le padelle, lavabili i rivestimenti dei divani, ignifughe le tute dei vigili del fuoco, scivolosi gli sci con la sciolina, ecc.

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Dupont e 3M cominciano a commercializzare i pfas negli anni Cinquanta, mentre l’Europa li scoprirà un decennio dopo. In Inghilterra a produrli è la Ici, in Germania la Hoechst, in Italia la Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. Sono queste le cinque aziende che nel marzo del 1996 decidono di condividere alcuni grafici che riportano valori anomali di pfas trovati nel sangue dei lavoratori della 3M, persone che lavorano nella catena produttiva, in molti casi otto ore al giorno.

Le aziende statunitensi Dupont e 3M cominciano a commercializzare pfas negli anni Cinquanta, mentre l’Europa li scoprirà un decennio dopo

I dati sono allarmanti: fino a 80 microgrammi per litro. A illustrare i grafici sono due tossicologi di spicco dell’azienda statunitense: John Butenhoff e Geary Olsen. Al loro fianco vi sono altri tossicologi inglesi e tedeschi e un solo dirigente del reparto sicurezza sul lavoro e ambiente della Miteni: Mario Mistrorigo. La piccola industria italiana impiega poco meno di 100 operai ed è stata costruita negli anni Sessanta dalla famiglia Marzotto, molto nota nel campo della moda.

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La fabbrica, che si trova nei pressi del piccolo torrente Poscola, a ridosso di una collina e nascosta tra gli alberi della provincia vicentina, vende ogni anno in quasi tutta Europa tonnellate di pfoa, il principale composto della famiglia di oltre 10mila sostanze pfas. Secondo le informazioni raccolte da lavialibera, Mistrorigo torna a casa e consegna i grafici al medico interno dell’azienda, Giovanni Costa, che dagli anni Ottanta analizza i fluoruri nelle urine degli operai, trovandone quantità esorbitanti.

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Quando il dirigente comunica a Costa che gli operai della concorrente 3M hanno valori anomali di pfas nel sangue, il medico chiede di poter partecipare ai futuri incontri trimestrali del nuovo gruppo di lavoro, nato come costola interna della grande Associazione industrie plastiche d’Europa (Apme) e chiamato Apfo ad hoc toxicology working group. È la prima volta che un’associazione di categoria internazionale decide di istituire un tavolo di lavoro permanente per studiare il comportamento di una sostanza chimica nel corpo umano.

Il riassunto che Mistrorigo presenta al dottor Costa ha due passaggi importanti. “Sembra che l'aumento della concentrazione del fluoro sia imputabile alla vita media di dimezzamento, e ciò è dovuto al fatto che il pfoa non è degradabile dall’organismo. Ad esempio, elevate concentrazioni di fluoro influiscono nella concentrazione degli ormoni: l’estradiolo aumenta, mentre il testosterone diminuisce” (doc 1).

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Nella metà degli anni Novanta i tossicologi indicano due caratteristiche fondamentali di questi composti: la persistenza e la tossicità. I pfas non vengono distrutti dall’organismo, anzi lo aggrediscono, vi si insinuano e non lo abbandonano mai. A quell’incontro fanno seguito decine di riunioni che aumentano la consapevolezza dei tossicologi, come è emerso in più occasioni durante le udienze del processo Miteni (in corso di svolgimento a Vicenza), ma nessun documento risulta essere stato consegnato alle istituzioni sanitarie.

Nella metà degli anni Novanta i tossicologi indicano due caratteristiche fondamentali di questi composti: la persistenza e la tossicità. I pfas non vengono distrutti dall’organismo, anzi lo aggrediscono, vi si insinuano e non lo abbandonano mai

Nel 1997 il gruppo decide di investire oltre 600mila dollari per studiare la presenza di pfoa in un gruppo di scimmie. Miteni è invitata a partecipare con una quota di 50mila dollari insieme all’inglese Ici, le statunitensi Dupont e 3M, la tedesca Dyneon e la giapponese Daikin, che contribuiscono ciascuna con 100mila dollari. Lo studio è coordinato dal laboratorio statunitense Covance di 3M e dall’Università di Dundee in Inghilterra, che ospita gli animali e raccoglie i dati.

Il medico di Miteni Giovanni Costa segue il lavoro inoltrando i dati alla direzione dell’azienda, in special modo al responsabile del laboratorio di ricerca Carlo Maria Gloria, figura chiave per i futuri impegni che Miteni svolgerà all’interno del gruppo internazionale. È lui che dal 1999 ha il compito di seguire i meeting internazionali per aggiornare la direzione giapponese Mitsubishi, che nel frattempo ha acquisito Miteni.

La battaglia di Bilott e le prime richieste istituzionali

Nel 1998 l’avvocato statunitense Robert Bilott riceve nel suo ufficio un allevatore di bestiame che denuncia una moria anomala tra le sue vacche. È così che emerge il primo, eclatante caso di contaminazione da pfas. Il vaso di Pandora è scoperchiato e tutti i segreti della Dupont e della 3M diventano pubblici. Le due aziende per decenni hanno sversato rifiuti pfas nei terreni e nelle acque dei fiumi su cui insistono gli stabilimenti statunitensi.

Nel 1998 l’avvocato statunitense Robert Bilott riceve nel suo ufficio un allevatore di bestiame che denuncia una moria anomala tra le sue vacche. È così che emerge il primo, eclatante caso di contaminazione da pfas

Bilott raccoglie migliaia di documenti che parlano di aumento del colesterolo, disfunzioni ormonali e di neonati, figli di operaie esposte al pfoa, venuti al mondo con gravi malformazioni. Lo scandalo aumenta la frequenza degli incontri tra le nove sorelle dei pfas (Ashai Glass, Atofina, Ausimont, Daikin, Clariant, Dupont, 3M, Miteni e Solvay) nonché il loro impegno economico nella ricerca scientifica.

Nel 2000 compare per la prima volta un’altra figura importante nel panorama italiano e internazionale: Giuseppe Malinverno. Biologo con specializzazione in tossicologia, è assunto negli anni Novanta dalla Ausimont, la società chimica che da un decennio investe nei prodotti a base di fluoro, brevettando diversi pfas e utilizzando il pfoa di Miteni. Nel 1999 Malinverno, insieme ai colleghi delle nove sorelle, pubblica una ricerca sul pfas Tfa, presente in ambiente a causa della degradazione dei gas.

Qualcuno fermi i Pfas

In quello stesso anno Ausimont è avvicinata dalla multinazionale belga Solvay, che da decenni produce e utilizza pfas in Francia e Germania, per un possibile acquisto. La società gestita da Mediobanca naviga in cattive acque, ma non cede alla prima offerta di Solvay e viene messa all’asta. Secondo il libro Storia di un'azienda familiare multinazionale, pubblicato dalla Cambridge University, solo una chiamata tra il pater familias Jacques Solvay all’amico Gianni Agnelli (fine conoscitore di Mediobanca) fa ripartire il negoziato. Durante questa fase di compravendita, Malinverno partecipa assiduamente al tavolo internazionale delle produttrici, accompagnato dal tossicologo di Solvay Bruno Schmidt.

La riunione di Francoforte

Alla fine del 2000, durante una riunione organizzata all’aeroporto di Francoforte, Malinverno interviene su un tema delicato: la consegna dei dati sanitari all’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (Epa). Dopo il coraggioso lavoro dell’avvocato Bilott, le istituzioni pubbliche avevano aperto un dialogo con Dupont e 3M, chiedendo i dati tossicologici per capire quale fosse davvero l’impatto dei pfas sull’ambiente.

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Rispondono 3M, Dupont e la Society of the plastic industry (Spi), che rappresenta l’intero comparto. Alla riunione di Francoforte il tossicologo di Dupont, Gerald Kennedy, avvisa che Spi sta attendendo una decisione del gruppo da presentare a Epa sul rischio sanitario ed è qui che interviene Malinverno, in quegli anni referente del settore Igiene industriale di Spi.

“C’è un ritardo nel dare una risposta a Spi – spiega il biologo – perché il questionario redatto da Epa non ha ancora una risposta chiara relativamente al bilancio di massa (un calcolo necessario per capire quanto prodotto viene lavorato e poi emesso in ambiente, ndr). Spi vuole prima ottenere questo dato e quindi ricevere da noi il programma tossicologico. Inoltre, il bilancio di massa può diventare una questione critica per le future decisioni sulla valutazione del rischio”.

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Le parole di Malinverno provano come le società stessero ragionando insieme sulle risposte da consegnare alle istituzioni, in vista di possibili future restrizioni o divieti. La valutazione del rischio (risk assessment) è uno strumento utilizzato fin dagli anni Ottanta per indicare soglie di tolleranza ambientale e sanitaria rispetto alla presenza di sostanze chimiche ritenute pericolose. La valutazione quindi è la base scientifica per potere agire giuridicamente e ridurre, o addirittura vietare, l’immissione in ambiente di queste sostanze.

Nella stessa riunione, come si evince dal verbale consultato da lavialibera, il tossicologo della società Ici Asahi Glass, David Farrar, annuncia che l'Organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo (Oecd) è in procinto di fornire degli standard per ricercare in ambiente i pfas. Si decide quindi che le risposte partano dal gruppo Apme e passino attraverso Spi, che ha il compito di interagire con Epa e Oecd.

Il dialogo tra Apme e Ocse, la scelta di Miteni

La riunione di Francoforte segna di fatto l’inizio del rapporto tra le nove sorelle e le istituzioni pubbliche europee. Ciò avviene quando dagli Stati Uniti è in arrivo l’onda lunga delle denunce fatte da Robert Bilott contro Dupont e 3M, che percepiscono il rischio di una ricaduta nel mercato europeo. Agendo di concerto con Epa, le due multinazionali decidono allora di avviare una lenta fuoriuscita dal mercato del pfoa, cercando al contempo di attutire la possibile crisi commerciale. Il composto è essenziale per la produzione di Teflon, utilizzato in centinaia di oggetti, dalle pentole alle guarnizioni in gomma dei cavi elettrici, e senza pfoa realizzare il prodotto risulta complicato.

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Nel 2023, durante la sua testimonianza al processo per disastro ambientale contro Miteni, Bilott ha spiegato che a fine 2000 Dupont e 3M chiesero a Miteni se fosse disposta a produrre in autonomia il pfoa destinato ai loro stabilimenti europei. L’azienda vicentina accettò divenendo l’unica produttrice di pfoa in Europa per le nove aziende sorelle. Da una serie di mail emerge, inoltre, come Giovanni Costa proponga a Carlo Maria Gloria di finanziare una prima tornata di analisi del sangue per cercare il pfoa nei lavoratori di Miteni, coinvolgendo anche lo stabilimento di Spinetta Marengo, frazione di Alessandria.

Insieme a Malinverno, i due decidono di analizzare il pfoa nell’aria interna agli impianti, sulla scia delle preoccupazione sull’esposizione che questi composti chimici stavano sollevando. Bisogna produrre dati ambientali da consegnare alle istituzioni, è il compito preciso cui sono chiamati. Intanto a inizio 2000 il settore ambiente dell’Ocse aveva spedito alle produttrici e utilizzatrici di pfos un questionario per capire l’utilizzo del composto.

L’Organizzazione, inoltre, era prossima ad avviare uno stress test simile per il pfoa. La pressione sulle imprese produttrici era aumentata e ormai nessuno poteva sottovalutare la questione. La strategia per rispondere alle attenzioni dell’Ocse emerge in una riunione di fine 2001 (doc 2), quando il tossicologo della Dupont, Sharif, presenta uno studio sul pfoa nelle acque dei fiumi, indicando la minore dispersione del composto nelle matrici organiche rispetto al pfos.

La rilevazione scientifica diventa la base necessaria per convincere le istituzioni della netta differenza tra il pfos, già monitorato da Ocse, e il pfoa. David Farrar aggiunge: “La sfida maggiore del gruppo è dimostrare che noi possiamo utilizzare il pfoa in modo responsabile, e che la domanda a cui bisogna rispondere è ‘abbiamo informazioni sufficienti per convincere le istituzioni che il pfoa non è distribuito ovunque e, se non fosse così, cosa dobbiamo fare per completare questa informazione?’”.

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Nella stessa riunione, Costa presenta i valori raccolti tra gli operai Miteni, più alti di quelli dei colleghi americani, ma in linea con quelli prodotti da Malinverno a Spinetta Marengo. Il parametro soglia proposto dalla 3M è pari a 5 microgrammi per litro di pfoa nel sangue e tutti gli operai di Costa superano questa soglia. In quella riunione le nove sorelle decidono di investire oltre un milione di dollari per ampliare la ricerca scientifica, promuovendo diversi studi tossicologici sui ratti, in particolare analizzando gli effetti sul sistema riproduttivo, respiratorio e l’assorbimento cutaneo. In tre anni Miteni spende 200mila euro per queste analisi, con un aggiornamento costante che Carlo Maria Gloria consegna alla direzione giapponese di Mitsubishi.

Lo scossone del Reach e la reazione delle sorelle

A metà 2002 Ausimont viene acquistata per 1,3 miliardi di euro dalla multinazionale belga Solvay, che punta con decisione sui fluorurati destinati al mondo automobilistico, aerospaziale e dell’idrogeno verde. Poco dopo, Giuseppe Malinverno assume la carica di direttore del Cefic, il Consiglio europeo delle industrie chimiche, che siede ai tavoli di discussione europei inerenti le normative del settore.

Il Cefic è inserito nel Registro comune per la trasparenza dei processi decisionali nelle istituzioni europee, autorizzato a osservare e commentare le azioni politiche della Commissione europea. Malinverno, in particolare, ha il compito di gestire lo “scossone” voluto proprio dalla Commissione europea con la creazione nel 2003 del Registro per le sostanze chimiche, il Reach.

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L’idea è far registrare dalle industrie i nuovi inquinanti organici, così da ottenere una prima lista di composti da catalogare come tossici e persistenti. In quell’anno, inoltre, il progetto Perforce – finanziato dalla comunità europea e coordinato dall'Università di Stoccolma – produce i primi risultati sulla presenza di pfoa nei fiumi. In una riunione di ottobre 2004 il gruppo, che ora si chiama PlasticsEurope, evidenzia il nuovo rischio di etichettatura del pfoa invocato, prospettato e deciso da varie agenzie europee.

Germania, Danimarca e la stessa Commissione europea iniziano a parlare di bioaccumulo e di tossicità e il tossicologo Farrar preme affinché il composto venga classificato come “dannoso”, evidenziando la necessità di condurre ulteriori accertamenti sulla tossicità acuta. Si decide quindi di affidare a Carlo Maria Gloria il dialogo con l’Agenzia per l’ambiente tedesca (Uba), che chiede di rispondere a un questionario sulla pericolosità del pfoa.

Nel 2005 il gruppo sigla un accordo per presentarsi al tavolo di lavoro tedesco e collaborare con l’agenzia che vuole restringere la produzione di pfoa. In un memorandum redatto da Gloria per la dirigenza Miteni (doc 3), si legge come sia necessaria una presenza di Solvay e Miteni durante questo lavoro con Uba, per poter comprendere la strategia politica dell’agenzia e “influenzare positivamente con la scienza a nostro favore”.

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In un momento in cui le istituzioni, in ordine sparso, lavoravano per trovare una risposta alla crescente preoccupazione di pfas, Gloria cerca di individuare una strategia di collaborazione finalizzata a limitare i danni per l’azienda. Nel memorandum si parla già del rischio (ovviamente per gli affari delle società produttrici) di una restrizione e messa bando in cinque anni da parte della Comunità europea. Mentre Gloria segue il tavolo tedesco, Malinverno monitora lo studio ambientale di Perforce. Nel 2005 incontra più volte il responsabile Pim de Vogt e insieme a Mike Neal, a capo di PlasticsEurope, decide di finanziarne una parte.

[CONTINUA...]

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