8 settembre 2022
Mercoledì 7 settembre al tribunale di Vicenza il maresciallo Manuel Tagliaferri ha risposto alle domande degli avvocati, dopo cinque udienze in cui ha raccontato oltre cinquant’anni di contaminazione chimica provocata dalla ditta Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza.
Marco Tonellotto, l’avvocato delle società idriche – quattro tra le 315 costituitesi l’anno scorso – ha chiesto di specificare come nel 2008 la società abbia gestito i risultati delle analisi sulle acque di scarico. Quell’anno Miteni decise di cercare il Pfoa – il Pfas che produceva per l’intera Europa – nelle acque di falda e nei terreni dello stabilimento. La società Erm fu chiamata ad analizzare alcuni pozzi interni e vi trovò concentrazioni di Pfoa fino a 6.430 microgrammi litro. All’epoca la sostanza non era normata e si iniziava a parlare della sua tossicità solo a livello internazionale.
Oltre alle analisi, Miteni chiese di indicare un valore limite (detto di azione) come parametro di riferimento per stabilire se la concentrazione di Pfoa fosse da ritenere oltre i livelli di guardia; Erm indicò quello utilizzato negli Stati Uniti dall’agenzia per l’ambiente (Epa), pari a 0,5 microgrammi. Un valore 12mila volte inferiore rispetto a quello riscontrato nelle acque di falda sotto la Miteni. Nei documenti trovati nella sede della Erm a Milano, Tagliaferri scovò il dossier del 2009 dove la società consigliava alla dirigenza Miteni di implementare il sistema di contenimento delle perdite delle sostanze chimiche, chiamato barriera idraulica. L’indicazione era di passare da tre a cinque pozzi barriera a valle dello stabilimento. I pozzi furono costruiti solo dopo lo scoppio del caso Pfas a livello nazionale, il 23 luglio 2013.
Gli avvocati delle parti civili hanno insistito sulla quantità di analisi eseguite e mai rese pubbliche agli enti preposti al monitoraggio ambientale. Paolo Balzani, legale della Provincia di Vicenza, ha domandato quali fossero i laboratori coinvolti e quali le concentrazioni trovate. Tagliaferri ha confermato le prime analisi del 2008 di Agrolab, un laboratorio esterno, che trovò 28.400 microgrammi di Pfoa nei campioni delle acque di scarico dell’azienda.
Gli avvocati delle parti civili hanno insistito sulla quantità di analisi eseguite e mai rese pubbliche agli enti preposti al monitoraggio ambientale
Il 27 febbraio 2009 il tecnico del laboratorio Erm, Marco Miori, scrisse una mail al suo direttore, Giuseppe Filauro: “Ciao Giuseppe, sto controllando i campioni raccolti dai nostri consulenti delle acque di falda verso valle di Miteni. Sono giallastre...”. Filauro rispose in pochi minuti: “Alle 18 devo chiamare Fabris (Mario Fabris, ingegnere e tecnico per Miteni del dipartimento ambiente), che ha già fermato la produzione per cercare eventuali perdite”. Alle 17.03 Miori spedì la mail di conferma: “Brutta storia, a caldo dovrebbero modificare e adottare misure di prevenzione. Il fatto che abbiano sospeso la produzione e si siano allarmati parla da solo”.
Filauro inviò una email a Fabris dopo la chiamata delle 18, allegando l’articolo 242 del codice ambientale, secondo il quale “al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione agli enti preposti al monitoraggio”. Miteni avviò la fase di bonifica di parte del sito solo dopo l’autodenuncia di produzione Pfas, il 23 luglio 2013, ben quattro anni dopo le email di Miori e Filauro ritrovate nei server della Erm e non in quelle di Miteni.
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Nel pomeriggio, alla ripresa dell’udienza, è toccato agli avvocati delle parti civili. Matteo Ceruti, che rappresenta le mamme NoPfas, è tornato sulla figura di Fabris. A settembre 2005 l’ingegnere spedì al Genio civile (organo tecnico della Regione Veneto, che ha il compito di gestire i sistemi idraulici delle lavorazioni chimiche, conoscendo e monitorando gli scarichi) una richiesta di modifica non essenziale del piano di contenimento delle acque per il sito Miteni, finalizzata alla costruzione di pozzi barriera a valle dello stabilimento, per gestire eventuali perdite della produzione.
L’avvocato Ceruti ha in mano la relazione della Erm risalente all’ottobre 2004, che descrive un quadro ambientale a rischio di una possibile contaminazione secondaria attiva. Dal documento risulta che Miteni chiese alla Erm quale fosse la situazione ambientale, con la società che ipotizzò una possibile perdita attiva di sostanze non normate, i Pfas, definite appunto secondarie. Nel paragrafo Raccomandazioni del dossier Erm, è riportato che “in presenza o mancanza di limiti di riferimento stabiliti da un ente competente, si consiglia di realizzare attività di indagine relative alla legge vigente per il possibile superamento di sostanze non normate presenti nelle matrici ambientali”. Erm consigliò quindi di avvisare gli enti, chiedere limiti e realizzare sistemi di contenimento e tali raccomandazioni furono consegnate a Fabris.
Un mese prima, nel settembre del 2004, alla domanda di autorizzazione al Genio civile, Fabris chiese la costruzione di una barriera idraulica, ovvero il contenimento alla perdita, ma non furono avvisati gli enti e neppure chiesti i limiti per le sostanze in quel momento attive nelle matrici ambientali. Rimane incerto il comportamento del Genio civile, che non ha mai spedito un’autorizzazione ufficiale alla richiesta di Fabris e non ha mai effettuato verifiche sulla costruzione di questi pozzi barriera. L’ente tecnico della Regione ha il mandato di seguire le pratiche ambientali delle aziende, ma nel caso Miteni non risultano sopralluoghi di tecnici Arpa per adempiere a questo compito.
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L’avvocato Matteo Ceruti, dopo aver fatto il punto sulla decisione di Miteni di non avvisare gli enti nel 2004, è tornato sulle email che Erm e la società chimica si scambiarono nel 2009. In particolare quelle del mese febbraio, un periodo di transizione dello stabilimento che fu ceduto per un euro dalla Mitsubishi alla multinazionale ICIG.
Nell’aprile 2009 l’avviso di Miori divenne un dossier, illustrato durante una riunione ai vertici Miteni di allora, gli attuali imputati Fabris, Mario Mistrorigo e Davide Drusian. Fu completato un documento sulla situazione ambientale del sito che Fabris spedì alla nuova gestione aziendale. Il 4 settembre 2009 in una mail in inglese Drusian scrisse ai vertici ICIG: “Bisogna includere il Pfoa come analisi o è meglio toglierlo? Nel caso dobbiamo indicare che le analisi non sono affidabili”. Le analisi furono eseguite sui pozzi barriera, con i dati che si riferivano alle perdite attive, ai Pfas. Essendo stati inseriti i risultati nella relazione, si sarebbe dovuto procedere a un’autodenuncia per aver superato il limite posto dalla Erm di 0,5 microgrammi per litro.
A giugno Fabris scrisse a Miori, invitandolo a contattare Drusian, delegato ambientale di Miteni, per chiudere il dossier definitivo da spedire anche alla Provincia di Vicenza, organo che decide le autorizzazioni ambientali. Miori rispose di non aver completato gli esami sul sistema di pompaggio e trattamento (in inglese Pump and Treat, la barriera idraulica), quindi a fine mese spedì il documento conclusivo a Fabris attraverso il sistema Ftp. Il dossier non è mai stato ritrovato nei server di posta della ditta Miteni, nessun documento è stato spedito alla Provincia di Vicenza.
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Finito il controesame degli avvocati delle parti civili, a metà pomeriggio ha preso la parola l’avvocato Giovanni Lageard, difensore di alcuni dirigenti giapponesi della Mitsubishi. Sono state discusse alcune affermazioni del maresciallo sulla figura del medico interno di MIteni, Giovanni Costa. Il professore dell’università Statale di Milano è indagato per alcune morti sospette tra gli operai Miteni e l’avvocato Lageard ha menzionato documenti sanitari relativi a quel filone di indagine confluiti nel processo per disastro ambientale. Le domande hanno riguardato la conoscenza, agli inizi del Duemila, della tossicità del Pfoa.
Giovanni Costa, come medico interno di Miteni, partecipò ai meeting internazionali che si tennero dal 2000 negli Stati Uniti, organizzati dalle otto industrie produttrici di Pfas. Fu Costa a coordinare gli studi sulle eventuali correlazioni tra Pfas e patologie ed è sempre lui, insieme a Dario Consonni e Ilaria Colombo (attualmente dipendenti Solvay), che nel 2009 pubblicò uno dei primi studi mondiali su Pfoa ed esposizioni professionali, che evidenzia possibili correlazioni con l’aumento del colesterolo. In più occasioni, Costa illustrò agli operai Miteni i referti delle analisi del sangue e nel 2007 consigliò di indicare nelle etichette di alcuni Pfas lavorati il possibile rischio tossico. Essendo ancora aperta la fase di approfondimento su questo filone di indagine, prima di proseguire si è deciso di attendere l’esito del lavoro affidato ai carabinieri.
Costa illustrò agli operai Miteni i referti delle analisi del sangue e nel 2007 consigliò di indicare nelle etichette di alcuni Pfas lavorati il possibile rischio tossico
Durante l’udienza di ieri, fuori dall’ingresso del tribunale di Vicenza sono comparsi gli striscioni delle decine di associazioni ambientaliste costituitesi parti civili. Fra gli altri era presente Elisabetta Donadello, residente nella zona arancione della provincia di Vicenza (contaminata nelle acque profonde ma non nell'acquedotto), che nel febbraio 2022, insieme a una quindicina di famiglie, ha presentato una diffida al Dipartimento sanità della Regione Veneto per chiedere di poter analizzare il sangue e cercare i Pfas. La Regione ha negato le analisi, contemplando una diversa decisione nel caso in cui dovessero emergere “elementi significativi che motivino la presa in carico di ulteriori categorie di soggetti”. Nel frattempo, a maggio, per conto di una trasmissione televisiva tedesca,Donadello è riuscita a fare analizzare il sangue dei due figli, che hanno superato la soglia di allerta di 10 microgrammi litro del sistema internazionale Hbm4E. Il referto è stato inviato al Dipartimento sanità, con la richiesta di rivalutare la situazione, essendo i valori sono fuori dai limiti internazionali. Nello screening sanitario della Regione Veneto per la zona rossa, unica in italia a poter analizzare il sangue per i Pfas, il limite posto dall’Istituto superiore della sanità è di 8 microgrammi per litro. Dalla seconda segnalazione inoltrata da Donadello è trascorso più di un mese e al momento la Regione non ha ancora risposto.
Donadello è riuscita a fare analizzare il sangue dei due figli, che hanno superato la soglia di allerta di 10 microgrammi litro
Nella lettera contenente gli esiti degli esami, il cittadino della zona rossa trova questa dicitura: “Se i valori sono superiori all'intervallo di normalità la situazione continuerà ad essere monitorata e il cittadino sarà chiamato periodicamente a ripetere lo screening. Se nel frattempo registrasse qualche problema di salute si prega di comunicarlo tempestivamente”. I valori soglia della Regione Veneto sono 8 microgrammi per litro, i figli di Donadello hanno 13 microgrammi per litro e il pozzo della loro casa supera gli 11 microgrammi per litro di Pfoa, quando il limite di performance è 0,5 microgrammi.
Dinanzi al tribunale, la donna ha mostrato due cartelloni che invitano la Regione a rispondere alle sue richieste e i cittadini a riflettere sulle scelte politiche da prendere in vista delle prossime elezioni. Per questo, è stata fotografata e segnalata alla Digos con l'accusa di campagna elettorale non autorizzata.
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