19 agosto 2020
La chiamano zona artigianale. In realtà è un susseguirsi disordinato di villette con micropiscina in giardino, piccoli depositi e campi coltivati ad ortaggi. È qui che il 9 agosto è scoppiato l'inferno: ha preso fuoco la Loas Italia, un impianto di trattamento rifiuti non ancora ben catalogati, nonostante ormai siano passati molti giorni dall'inizio di quello che subito è stato classificato come un rogo doloso, devastante sul piano dell'impatto ambientale e della salute. Era una domenica pomeriggio, Aprilia (in provincia di Latina) era deserta perché tutti erano andati al mare a Nettuno o Latina, le fabbrichette della zona chiuse per ferie. Da queste parti non si vede un vigile urbano nemmeno a pagarlo oro, tanto più nei festivi, non esiste vigilanza privata perché costa troppo e le aziendine artigianali sono minuscole e povere.
Non c'è nulla da rubare qui. E infatti anche la Loas aveva l'impianto di videosorveglianza fuori uso, unica speranza di ottenere una prova utile alle indagini. Ed è lungo l'elenco delle altre anomalie di un sito che oggi si può definire pericoloso ma che è andato avanti nell'ombra, ignorato fino a quella domenica pomeriggio, quando tre famiglie di via Tagliamento hanno dato l'allarme ai vigili del fuoco. Improvvisamente una colonna di fumo a forma di fungo grigio scurissimo si è levata così in alto da essere visibile dal litorale. Il comando provinciale di Latina ha spedito sul posto due mezzi, poi un terzo e un quarto, sono arrivati i rinforzi da Roma, i vigili urbani, la polizia stradale di Aprilia, è scattato l'allarme nella sala della protezione civile della Prefettura e a quel punto è stato chiaro che era in corso un disastro ambientale a ridosso di una città di settantamila abitanti.
Quando i vigili sono arrivati alla Loas e hanno cominciato a spegnere si sono resi conto che lì dentro c'era di tutto, plastiche, gomme, carta , metalli, materiali speciali. Ma in che quantità? Nemmeno questo si sa ancora. Le tre famiglie più vicine all'impianto sono state evacuate nella tarda serata di domenica. L'aria era irrespirabile in tutta la città e anche sulla Pontina, che scorre a poche centinaia di metri. La stessa sera il sindaco di Aprilia ha invitato i cittadini di tre quartieri e due borghi limitrofi a restare in casa con le finestre chiuse, ordinanza valida per oltre diecimila persone. All'alba di lunedì 10 agosto l'Arpa Lazio ha avviato i primi rilievi nell'aria e tutto ha cominciato a prendere la forma dell'ennesima storia di inquinamento ambientale ignorato, di leggerezza, di omessi controlli, di legami che corrono nel sistema ricco e complesso dei rifiuti. Intanto a 24 ore dall'inizio del rogo arrivano i primi risultati dell'Arpa: i valori di diossina dell'aria superano il parametro 303 che è quattro volte quello che si era registrato nell'incendio della EcoX, un'altra fabbrica-deposito di rifiuti che si trova a qualche chilometro di distanza, nel Comune di Pomezia, distrutta dalle fiamme due anni fa. Altissimi anche i valori di benzoapirene e Pcb, sostanze tossiche e cancerogene.
Rifiuti in fiamme: il patto tra imprenditori, amministratori e mafie. Nella prima relazione semestrale del 2019, la Direzione investigativa antimafia ha dedicato un focus ai molteplici interessi intorno al settore
Progressivamente i test sulla diossina cominciano a scendere a metà della settimana di ferragosto ma l'Arpa consiglia al sindaco di disporre il divieto di consumo di prodotti agricoli coltivati nel raggio di due chilometri dall'impianto Loas, nonché la chiusura degli esercizi commerciali della zona. L'aria migliora nei giorni seguenti mentre va avanti l'indagine sulle responsabilità del rogo e sulle omissioni. Lo stabilimento viene posto sotto sequestro, si approfondisce l'impatto sull'ambiente e i tecnici Arpa decidono di verificare anche cosa è accaduto nel sottosuolo, alle falde acquifere. Poteva un deposito di dimensioni tutto sommato non grandissime creare un impatto del genere? E inoltre: si sa cosa c'era davvero nel capannone industriale? Perché i vigili del fuoco si sono meravigliati della tipologia di fumo e della varietà di rifiuti accumulati?
La società stava operando in regime di proroga sulle autorizzazioni ambientali, cosa resa possibile dal decreto "Cura Italia" (la Commissione ecomafie aveva sollevato dubbi su queste aperture) ed era in attesa del nulla osta per l'ampliamento. L'attività nell'area artigianale di Aprilia è stata avviata nel 1999 e alla Camera di Commercio risulta che l'azienda si occupa soprattutto di trattamento e recupero di rifiuti speciali provenienti dal settore industriale e dalla raccolta differenziata. Il core-business è nei contratti con la grande distribuzione e con le industrie di cui raccoglie gli scarti. Non solo clienti privati però: ce ne è stato anche uno pubblico, la Progetto Ambiente (controllata al 100% dal Comune di Aprilia). Solo nel 2020 la società di igiene urbana ha affidato a Loas lavori per 80 mila euro (con tre diversi contratti) per il servizio di raccolta, di trattamento e di trasporto dei rifiuti. Era un rapporto commerciale solido anche prima del 2020 ed è diventato molto scomodo a seguito dell'inchiesta "Dark Side" che a fine luglio del 2017 portò in carcere quindici persone, tra cui i titolari di una cava in zona Tufetto ad Aprilia nella quale venivano interrati rifiuti tossici.
La valutazione di impatto ambientale sulla richiesta di ampliamento non è terminata e i vigili del fuoco non hanno mai rilasciato il certificato antincendio. L'azienda ha continuato a lavorare
Per un anno la polizia stradale aveva seguito i camion della famiglia Piattella e aveva filmato orride scene di roghi di materiale speciale nella cava. Tra gli arrestati c'era anche Antonio Martino, uno dei soci della Loas Italia che conferiva anch'essa scarti in quella cava. L'operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, mise in grande imbarazzo l'amministrazione comunale, che era parte offesa nel procedimento per i danni causati dalla cava ma, al tempo stesso, aveva rapporti giuridici in essere (per il tramite della partecipata Progetto Ambiente) con uno degli inquinatori. In quei giorni funesti del 2017 il sindaco, Antonio Terra, valutò anche l'ipotesi di interrompere i rapporti con la Loas, ma quest'ultima rispose piccata annunciando azioni legali e richieste risarcitorie nei confronti dell'ente, professando massima legalità e rispetto delle leggi ambientali. Nelle more il Comune di Aprilia ha affidato servizi a Loas per un valore di 200mila euro. Eppure la formale protesta dell'amministratore della Loas non fu frutto solo di arroganza, poiché, in realtà, le autorizzazioni c'erano e in parte ci sono ancora. Le ha rilasciate la Provincia di Latina: le ultime due proroghe sono del 2019 e del 2020, mentre la valutazione di impatto ambientale sulla richiesta di ampliamento non si è ancora conclusa e forse mai più vedrà la fine, posto che adesso l'impianto è distrutto. Manca un tassello: i vigili del fuoco di Latina non hanno mai rilasciato il certificato antincendio e comunque l'azienda ha continuato a lavorare.
Alla data in cui scoppia il rogo alla Loas la situazione della società, per quanto riguarda la possibilità di continuare a operare, non era affatto rosea. L'autorizzazione iniziale era per lo stoccaggio all'esterno di un massimo di 1700 tonnellate di rifiuti, il nulla osta è scaduto a dicembre 2019, prorogato dall'amministrazione provinciale per la “difficoltà di espletamento delle procedure tecniche istruttorie” da parte del Settore Ambiente della Provincia. Nell'atto di proroga dell’autorizzazione non c'è alcun richiamo (che pure sarebbe obbligatorio) alla prevenzione dei roghi che comunque Loas non avrebbe formalmente potuto fare in quanto sprovvista del certificato dei Vigili del Fuoco. La proroga di dicembre era per sei mesi, dunque è scaduta a giugno 2020. Non si trovano nel fascicolo pareri del Comune di Aprilia circa eventuali rischi di incendi in una zona comunque abitata seppure catalogata come produttiva, silenzio anche da parte di Regione Lazio, Agenzia per la protezione ambiente del Lazio e Asl di Latina o, perlomeno, non ci sono pareri allegati agli atti. C'è invece l'assenso dei Vigili del Fuoco, ma con prescrizioni; è in atti il parere favorevole del Consorzio artigiani di Aprilia, quelli della zona interessata dal rogo, appunto, e c'è altresì il parere favorevole della Provincia allo scarico delle acque reflue. Non è stata ancora resa nota dalla Provincia l'esistenza di un polizza fideiussoria che dovrebbe coprire sia il danno del rogo sia il costo della bonifica. Si sa, invece, che l'immobile non risulta di proprietà della società che ha ottenuto l’autorizzazione. È di una società in leasing, così come era successo per la Ecox di Pomezia.
A dieci giorni da quello che ormai viene considerato un gravissimo "incidente" ambientale restano molti, troppi, dubbi, oltre ai valori ancora alti di diossina nell'aria. Soprattutto non si riesce a dipanare il bandolo delle sviste che hanno preceduto l'incendio, avvenuto in una città che conta già quattro industrie a rischio incidente rilevante, quattro impianti di trattamento rifiuti, una centrale a turbogas, e vari impianti di biogas e biomassa. Aprilia viene considerata, a torto o a ragione, uno degli ultimi avamposti dei comprensori industrializzati a sud di Roma, dove alle aziende chimico farmaceutiche e a una antica tradizione metalmeccanica si sta sostituendo una rete di impiantistica di trattamento dei rifiuti quasi del tutto fuori controllo.
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