25 marzo 2020
Il coronavirus ha fermato prima la Cina, poi l'Italia e diverse zone d'Europa. Molte imprese hanno chiuso temporaneamente i battenti, gli spostamenti si sono ridotti e gli aerei sono rimasti a terra. Secondo i dati dell’Eurocontrol, l’organizzazione intergovernativa che controlla il traffico aereo europeo, il 22 marzo scorso i voli sul Vecchio continente hanno registrato un calo del 71,7 per cento — 92,2 in Italia — rispetto allo stesso giorno dell'anno precedente, per un totale di 7.536 decolli a fronte dei 26.629 di un anno prima. "Quelli rimasti sono per lo più voli indispensabili e di rimpatrio", ha confidato a lavialibera James, pilota di una compagnia aerea internazionale.
I risultati? Le emissioni di anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra alla base del riscaldamento globale, sono diminuite. In Cina, ad esempio, le misure adottate a febbraio hanno determinato un calo del 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. L'aria è diventata più pulita in molte città — tanto cinesi quanto italiane ed europee — e le immagini dell'acqua dei canali di Venezia, dopo anni tornata trasparente, hanno richiamato alla memoria il saggio Il mondo senza di noi, in cui il giornalista Alan Weisman racconta cosa accadrebbe alle nostre metropoli se un'epidemia o una catastrofe eliminassero dal Pianeta gli essere umani. Piccolo spoiler: basterebbero cinquecento anni perché le periferie che abitiamo diventino foreste.
"La CO2 che viene emessa da tutte le combustioni fossili ha un tempo di permanenza nell'atmosfera di decenni"Antonello Pasini - fisico climatologo del Cnr
Ma pensare che il coronavirus possa avere un effetto benefico sul riscaldamento globale è semplicistico, dice Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e autore di diversi libri sul tema, l'ultimo è L'equazione dei disastri. Cambiamenti climatici su territori fragili (Codice edizioni). Infatti, è vero che l'inquinamento atmosferico è diminuito in molte città, "anche se — precisa Pasini — non in tutte perché, soprattutto in inverno, non bisogna tener conto solo delle emissioni ma pure della situazione meteorologica. E, se gli inquinanti dei giorni precedenti continuano a stagnare nell'atmosfera, si ha un effetto accumulo". Ma per quel che riguarda l'anidride carbonica la situazione è più complessa. "La CO2 che viene emessa da tutte le combustioni fossili (petrolio, carbone, gas naturale e altri combustibili composti da idrocarburi, ndr) ha un tempo di permanenza nell'atmosfera di decenni, quindi non basta ridurre drasticamente le emissioni per due, tre mesi, o persino un anno, per risolvere il problema del riscaldamento globale. Ci vuole un’azione protratta nel tempo".
Inoltre, c'è il rischio concreto che finito lo stop le industrie riprendano a ritmo accelerato per compensare il tempo perduto. Su The Conversation Glen Peters del Center for International Climate and Environment Research, centro di ricerca interdisciplinare che si occupa di clima e ambiente, ha stimato che nel 2020 ci potrebbe essere un calo delle emissioni di anidride carbonica dell'1,2 per cento rispetto al 2019. Mentre, secondo le ultime previsioni dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), si attende una riduzione della crescita del pil globale che va dal 3 all’1,5 per cento.
Sempre Peters, però, ha anche fatto notare che tutte le recenti crisi economiche sono state accompagnate da una riduzione delle emissioni: è accaduto dopo la primi crisi petrolifera del 1973, quella del 1979, la dissoluzione dell'Unione sovietica del 1991, la crisi finanziaria in Asia del 1997 e nel 2008 quella globale. Tuttavia, ogni volta il calo è stato di breve durata e la ripresa economica ha portato con sé un aumento delle emissioni. Per esempio, la crisi finanziaria globale del 2008 ha determinato nel 2008 un calo delle emissioni di anidride carbonica dell’1,2 per cento. "Anche in quel caso molti parlarono di una possibile svolta nella crisi climatica — scrive Gabriele Crescente, giornalista di Internazionale —. Ma nel 2010 le misure di stimolo economico provocarono un aumento del 5,1 per cento nelle emissioni, molto più rapido che negli anni precedenti la crisi".
"Sia il coronavirus sia il riscaldamento globale hanno un'inerzia"Antonello Pasini - fisico climatologo del Cnr
Secondo Pasini, invece, è tenendo ben presente la crisi climatica che dovremmo ripartire a pandemia finita, perché "a lungo termine è quella che comprometterà il nostro stile di vita e la nostra economia, alimentando conflitti e migrazioni". E se c'è una lezione da imparare dal coronavirus è che bisogna agire preventivamente, il prima possibile. "Sia il coronavirus sia il riscaldamento globale hanno un'inerzia: i risultati delle misure adottate oggi per arginare la pandemia, li vedremo tra due settimane. Lo stesso ragionamento vale per il clima, anche se con tempistiche diverse, ovvero ci vogliono dai quindici ai trent'anni per apprezzare le conseguenze di quanto fatto oggi".
Pensare, però, che per invertire la rotta sia necessario fermare del tutto le nostre attività, come accaduto in questi giorni, fa passare il messaggio sbagliato. "Non dobbiamo rinunciare allo sviluppo, ma passare da un modello a un altro — continua il fisico —. Non saranno necessari sacrifici, come oggi, ma una transizione graduale che non deve andare a discapito delle classi meno abbienti". Il principale cambiamento richiesto riguarda la produzione di energia, che dovrà essere sempre meno legata a carbone, petrolio e gas naturali. Il secondo riguarda lo sfruttamento del suolo, a cui è legato circa il 25 percento di emissioni di gas serra. "Deforestare significa abbattere assorbitori di anidride carbonica. I concimi azotati usati spesso in agricoltura finiscono nell'atmosfera come protossido di azoto, che ha un potere riscaldante circa 250 volte superiore all’anidride carbonica. Inoltre, molte attività legate all’agricoltura e agli allevamenti intensivi producono metano che come gas serra è 25 volte più potente dell’anidride carbonica. E, dato che gran parte delle coltivazioni serve non soltanto a sfamare noi, ma a produrre mangime animale, una dieta più a base di vegetali sarebbe un bene per l'ambiente".
L'appello per un diverso modello di sviluppo fondato su diritti e transizione ecologica.
Infine, gli spostamenti. Imputabile all'aviazione è circa il 2 per cento delle emissioni di gas serra a livello globale. Per la precisione, secondo le statistiche compilate dall’Atag (Air Transport Action Group), un’associazione per lo sviluppo dell’aviazione sostenibile, il trasporto aereo è responsabile del 12 percento di emissioni di CO2 di tutte le forme di trasporto (il 74 percento arriva da quello su strada). Circa l’80 percento di queste emissioni è legato al trasporto su lungo raggio, ovvero per tratte superiori ai 1500 km, per cui “non esistono alternative pratiche a tutt’oggi”, si legge sul sito dell’Atag. "Buona pratica sarebbe evitare riunioni, o vertici politici, di persona se non sono necessari e sfruttare la tecnologia", conclude Pasini. In questi giorni il coronavirus ha insegnato che sì, si può fare.
Negli ultimi anni sono nati diversi movimenti che chiedono azioni politiche contro il riscaldamento globale. I più importanti sono due: Fridays for future e Extinction Rebellion.
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