Aggiornato il giorno 6 maggio 2024
Dallo smottamento del ghiacciaio Planpincieux in Valle d’Aosta ai devastanti incendi in Amazzonia, le conseguenze del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti. Gli scienziati ne parlano già da decenni e tutte le associazioni ambientaliste hanno raccolto l'allarme avanzando proposte. Le soluzioni per invertire la rotta non mancano, ma i governi faticano a intervenire. Per questo il primo passo per agire è sapere di cosa parliamo quando facciamo riferimento al cambiamento climatico.
Cambiamenti climatici ed emozioni: non solo ecoansia
Ma prima di cominciare... tu quanto ne sai?
I cambiamenti climatici sono variazioni di lungo periodo delle condizioni climatiche medie della Terra o di ampie zone del pianeta. Da sempre il clima della Terra subisce mutamenti, attraversando ere glaciali e periodi con temperature medie elevate. Il problema è che i cambiamenti climatici osservati a partire dall’inizio del Novecento non sono naturali, bensì causati da attività umane, in particolare dall’utilizzo dei combustibili fossili. Un’interferenza nei delicati equilibri della Natura che sta determinando siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle precipitazioni, perdita della biodiversità.
Alcuni errori comuni quando si parla di cambiamento climatico:
L’espressione riscaldamento globale indica l’aumento della temperatura media causato dall’uomo. C’è una probabilità di oltre il 95 percento che l’attuale aumento delle temperature sia stato causato dalle attività umane a partire dalla rivoluzione industriale.
La paleoclimatologia (la scienza che studia l’andamento del clima nelle epoche passate attraverso dati glaciologici, geologici e biologici) ci permette di affermare che nell’ultimo milione di anni non c’è mai stata così tanta anidride carbonica sulla Terra e che l’aumento delle temperature dell’ultimo secolo è insolito rispetto agli ultimi duemila anni.
Esistono, tuttavia, anche processi naturali in grado di alterare il clima: fenomeni interni quali El Niño (il riscaldamento delle acque dell’oceano Pacifico centro-meridionale e orientale nei mesi di dicembre e gennaio in media ogni cinque anni) o variazioni esterne dovute, per esempio, all’attività solare. Il termine cambiamento climatico tiene conto anche delle alterazioni dovute a questi fenomeni naturali.
C’è una differenza fondamentale tra tempo meteorologico e clima. Il primo è quello che osserviamo fuori dalla finestra la mattina o quello che ascoltiamo al meteo per sapere se questa settimana farà caldo o freddo. Il clima, invece, è la temperatura media di una zona estesa in un periodo di tempo lungo almeno un decennio.
Per questo non è sufficiente un inverno molto freddo per smentire il cambiamento climatico, come non lo è un’ondata di caldo anomala. Allo stesso modo, non è vero che tutto il pianeta si sta scaldando in maniera uniforme: la Terra è un sistema caotico. Certo è, però, che l’intero pianeta continua a scaldarsi: il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato a livello globale dal 1850. Si classifica, assieme al 2020, come anno più caldo dell'ultimo cinquantennio, segnando in Europa un aumento della temperatura media di 1,46 gradi rispetto al periodo usato dagli scienziati come riferimento (1981-2020).
L’inquinamento è causato dall’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti. Tra queste ci sono le cosiddette polveri sottili come le Pm10 o Pm2,5 (dove la sigla sta per materia particolata e il numero indica il diametro delle particelle in micron), i due particolati più noti e dannosi per la salute umana.
Il cambiamento climatico, invece, è causato dall’emissione di gas serra, in particolare dalla CO2, ovvero l’anidride carbonica, che però – è bene ricordarlo – non è un inquinante. Ciò non significa che cambiamento climatico e inquinamento siano problemi separati, solo che non possiamo legarli in maniera diretta. Perché allora ci danniamo l’anima per l’anidride carbonica? La risposta è l’effetto serra.
Il riscaldamento globale è causato dall’utilizzo di combustibili fossili: il carbone, il petrolio e i gas naturali. Quando li bruciamo produciamo CO2. Esistono dei pozzi di assorbimento naturali della CO2 come il suolo, le foreste e gli oceani, ma questi sono del tutto insufficienti a bilanciare gli impatti delle attività umane. Nel 2017 i pozzi naturali hanno assorbito solo un terzo dell’anidride carbonica prodotta. Il resto si è accumulato nell’atmosfera. Nel 2022 la concentrazione media globale della CO2 in atmosfera ha raggiunto il record di 417,9 parti per milione (ppm), valore più alto degli ultimi 3 milioni di anni.
Oltre all’anidride carbonica esistono altri gas serra, come il metano o il protossido di azoto. L’anidride carbonica è il più problematico perché rimane a lungo nell’atmosfera.
L’accumulo di gas serra nell’atmosfera causa un aumento dell’effetto serra. Un effetto di per sé benefico che rende il nostro pianeta abitabile: fa sì che una parte dell’energia che la Terra cede all’universo rimanga intrappolata nell’atmosfera riscaldandola. Un delicato equilibrio che le attività umane hanno alterato aumentando questo effetto esponenzialmente.
A partire dal periodo preindustriale si stima che le sole attività umane abbiano aumentato la temperatura media globale di circa 1,25 gradi Celsius. Può sembrare poco, ma non lo è affatto. Basti pensare che durante l’ultima glaciazione la temperatura media globale era di appena 4 o 5 gradi inferiore a quella di oggi. E mentre un’era dura migliaia di anni, l’aumento delle temperature a cui stiamo assistendo riguarda un periodo di neanche due secoli.
L’aumento della temperatura globale dal 1880 al 2019
Le conseguenze più evidenti del cambiamento climatico sono l’aumento delle temperature e dell’umidità che porta a precipitazioni estreme e inondazioni sempre più frequenti. Al contempo, il fenomeno riduce la disponibilità di risorse idriche in molte aree geografiche, causando siccità nelle regioni già interessate da stress idrico o con un ecosistema vulnerabile. Oltre a danni evidenti per l’agricoltura e a incendi più frequenti, la siccità può provocare tempeste di sabbia e, di conseguenza, un avanzamento della desertificazione.
Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia anche per la vita sott'acqua: aumenta la temperatura delle acque a tutti i livelli di profondità, aumenta il loro volume, anche a causa dello scioglimento delle calotte glaciali, aumenta l’assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera. Il risultato è l’acidificazione delle acque, la perdita di biodiversità marina a causa della sparizione di molte specie acquatiche e la morte delle barriere coralline.
I Paesi in via di sviluppo sono soggetti a carestie alimentari e idriche per gli effetti del cambiamento climatico che rendono improduttivi i raccolti e difficoltosi gli allevamenti di bestiame. Inoltre, sempre gli stessi Paesi sono le prime vittime di povertà e migrazioni per danni climatici. Eppure, nemmeno noi siamo al sicuro. Il cambiamento climatico con l'inquinamento dell’aria, le malattie, gli eventi meteorologici estremi, le migrazioni forzate e i problemi di salute mentale e (eco)ansia che ne derivano, mette a rischio la salute dell’intera umanità.
Nel dicembre del 2015 a Parigi 195 Paesi hanno firmato un accordo per impegnarsi a mantenere l’aumento delle temperature medie entro la fine del secolo al di sotto di 1,5 gradi e con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Per rimanere entro questa soglia, l’International panel on climate change (Ipcc, il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico fondato nel 1988 dalle Nazioni unite allo scopo di fornire ai decisori politici basi scientifiche sul cambiamento climatico) ha indicato come obiettivo la neutralità carbonica, ovvero le emissioni nette zero, entro il 2050. Dopodiché sarà necessario cominciare ad assorbire la CO2 già presente in atmosfera attraverso pozzi artificiali.
L’accordo di Parigi è il primo accordo internazionale sul clima giuridicamente vincolante. Esso prevede che ogni Stato definisca i propri Nationally determined contributions (Ndc), i contributi nazionali per il contenimento delle emissioni. Le radici di questo accordo risalgono al 1992 con l’approvazione a Rio de Janeiro della prima Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni unite (Unfccc). Da questa convenzione sono derivate le Conferenze delle parti (Cop) annuali.
Prima della pandemia, il 2020 era considerato l’anno cruciale nella lotta al cambiamento climatico perché gli Stati ratificatori dell’accordo di Parigi dovevano ridefinire al rialzo i propri Ndc. Per rimanere entro la soglia di 1,5 gradi, i Paesi dovrebbero quintuplicare i propri Ndc, con un taglio del 55 percento delle emissioni rispetto al 2018 ed entro il 2030, secondo l'Emission gap report dell’Onu. Uno sforzo ciclopico se si pensa che le emissioni di CO2 a livello globale sono cresciute del due per cento nel solo 2018.
La più recente conferenza per il clima, Cop 28, che si è tenuta a Dubai nel 2023 ha permesso di realizzare il primo bilancio globale in riferimento all’accordo di Parigi. Secondo i nuovi parametri, per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’accordo, è necessario raggiungere il picco delle emissioni globali di gas serra entro il 2025, per poi ridurle del 43 per cento entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, così da mantenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi. Le varie parti dovranno presentare piani aggiornati per il clima per il 2035 entro la Cop 30.
Sempre nella prospettiva di contrastare i cambiamenti climatici, al termine del G7 su clima, ambiente ed energia che si è svolto a Torino a fine aprile 2024, i paesi coinvolti (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) si sono accordati per eliminare progressivamente il carbone entro il 2035 o un periodo coerente con la soglia dell’aumento della temperatura di 1,5 gradi, tenendo conto anche delle esigenze di Germania e Giappone, i maggiori utilizzatori del combustibile fossile.
Una delle questioni principali su cui ciclicamente si incagliano gli accordi internazionali è chi debba pagare per il cambiamento climatico. Il grafico realizzato dal sito ourworldindata.org mostra chiaramente l'aumento delle emissioni di anidride carbonica nei Paesi del mondo dal 1751 al 2022.
Ciò che è certo è che oggi Stati Uniti, Cina, Russia, Unione europea, India e Brasile sono i principali responsabili delle emissioni di CO2 a livello mondiale. Senza il loro contributo, l'obiettivo della neutralità climatica non potrà essere raggiunto. Per questo scienziati e ambientalisti hanno ben accolto la decisione del presidente degli Usa Joe Biden che nel 2021 ha firmato il rientro nell'accordo di Parigi da cui il suo predecessore Donald Trump aveva deciso di uscire.
Nel 2022 si è tenuta in Egitto la Cop 27, considerata per molti aspetti un fallimento, perché le parti non sono riuscite ad accordarsi sulla riduzione delle emissioni e neanche sul graduale abbandono di tutte le fonti fossili. In quell’occasione, però, è stata approvata l’istituzione di un fondo internazionale di compensazione per le perdite e i danni, Loss and Damage, destinato ai Paesi in via di sviluppo, più vulnerabili alle conseguenze del cambiamento climatico, ma meno responsabili delle emissioni dannose in atmosfera.
L’approvazione di questo fondo, finalizzata in apertura della Cop 28 di Dubai, è stata un’implicita ammissione di responsabilità da parte dei Paesi industrializzati nei confronti dell’ambiente e della questione climatica.
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