3 febbraio 2020
Il pomeriggio del 16 aprile 2019 Farhana Yamin, 52 anni, lo ricorderà per sempre. Non tanto per le manette strette ai polsi, né per l'espressione orgogliosa del figlio undicenne mentre gli agenti la caricavano sulla volante. Ma perché per la prima volta lei, avvocato ambientalista impegnata nell'elaborazione di nuove leggi a tutela dell'ambiente, di legge ne ha infranta una. Un atto di ribellione per spingere i governi a intervenire contro il caos climatico che scioglie ghiacciai, inonda città e incendia foreste. "Non è stata una decisione emotivamente semplice — confessa —, ma necessaria. Il tempo per le mezze misure è scaduto. Abbiamo bisogno di gesti, persone e cambiamenti radicali, solo così possiamo ancora salvare il Pianeta".
Da trent'anni consulente dell'Onu, Yamin è stata tra gli autori di tre dei cinque rapporti di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), il comitato scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite con lo scopo di studiare il riscaldamento globale. Ha messo la propria firma su molti trattati internazionali sul clima e oggi sta lavorando in vista della prossima tornata di negoziati sull'accordo di Parigi, prevista nel novembre del 2020. Appuntamento a Glasgow, nel regno Unito, dove i 186 paesi che hanno ratificato il patto dovranno stabilire nuovi impegni di riduzione dei gas serra da raggiungere entro il 2030. Ma, come ha sottolineato Inger Andersen, direttore esecutivo dell'Agenzia per l'ambiente dell'Onu (Unep), "non si può aspettare": Stati, regioni, città e aziende "devono agire adesso", altrimenti "l'obiettivo di contenere l'innalzamento delle temperature entro 1,5 gradi sarà fuori portata".
"Si gioca una partita importante", dice Yamin che anche stavolta, come in passato, fornirà assistenza legale alle comunità vulnerabili coinvolte nel negoziato, "consigliando il modo giusto di fare pressione per ottenere interventi più incisivi".
"Immediatamente" e "presto" sono le parole che pronuncia più spesso durante una chiacchierata telefonica ripetutamente interrotta dal trillo del campanello della sua casa, a nord di Londra. Avverbi che rivelano il sentimento di urgenza alla base delle scelte radicali. La stessa urgenza che dal 2018 spinge milioni di ragazzi in tutto il mondo a scendere ogni venerdì in piazza per chiedere ai politici di fermare la febbre della Terra al grido di "Non esiste un Pianeta B". Un bisogno d'azione che lo scorso 16 aprile ha portato Yamin a superare il cordone di sicurezza creato intorno al quartier generale londinese della Shell, la multinazionale petrolifera olandese, e incollare le proprie mani al pavimento. Gli agenti hanno impiegato "venti minuti abbondanti" e un solvente ad hoc per staccarle, poi l'hanno ammanettata per vandalismo. Lei non nega che la rimozione sia stata dolorosa, ma quando le si chiede se sarebbe pronta a rifarlo ancora non ha dubbi nel rispondere: "Sì, sì e sì".
Da quel pomeriggio, alla consueta attività di avvocato, Yamin ha affiancato quella di attivista, diventando una delle voci più autorevoli di Extinction rebellion: movimento non violento nato nel 2018 nella capitale del regno Unito per spingere tutti a difendere l'ambiente usando la disobbedienza civile. Come lei, circa tremila persone si sono fatte arrestare in due ondate di protesta che, tra aprile e ottobre, hanno paralizzato il traffico di Londra e di molte altre città europee. Iniziative che non sempre sono state ben accolte dall'opinione pubblica facendo cadere sul movimento, composto prevalentemente da bianchi, benestanti, le accuse di razzismo e classismo. Yamin è consapevole dei problemi, ammette che ci sia bisogno di una maggiore diversità tra le fila di Extinction rebellion e di mobilitazioni che non abbiano ripercussioni negative sugli altri, ma rivendica la propria adesione alla protesta.
Una scelta dalla forte carica simbolica che ha difeso con un lungo editoriale pubblicato sia su Nature, una delle riviste scientifiche più importanti al mondo, sia sul Time. "Avendo speso tre decenni nel fallimentare tentativo di convincere i governi a prestare attenzione alla crisi climatica attraverso l'advocacy (attività di promozione che punta a influenzare le politiche pubbliche ndr) ai più alti livelli, adesso penso che l'attivismo sia cruciale", ha scritto.
"La diplomazia tradizionale è troppo lenta — spiega —. Il movimento ambientalista ha provato tutte le strade disponibili senza riuscire a intaccare l'inerzia e l'ingiustizia dell'attuale sistema. Ecco perché supporto la tattica della disobbedienza civile. Penso debba diventare parte della norma e affiancare la diplomazia, l'attività politica e di lobbismo, che da sole si sono rivelate inefficaci". L'approccio radicale di Yamin, che oggi è mamma di quattro ragazzi, sorprende perché non è una forma di ribellione giovanile: è maturata nel tempo.
Figlia di immigrati del Pakistan, da giovane era affascinata dall'idea di sfruttare le tradizionali forme di potere per azzerare le ingiustizie. Ha iniziato la propria carriera difendendo i piccoli Stati insulari in via di sviluppo danneggiati dal riscaldamento globale, i primi a subire le conseguenze degli eventi climatici estremi. Un lavoro che ha portato al protocollo di Kyoto nel 1998 e nel 2015 agli accordi di Parigi con cui quasi 200 Paesi si sono impegnati a mantenere il riscaldamento globale entro la fine del secolo al di sotto di 1,5 gradi, con limite massimo di 2 gradi, rispetto alle temperature precedenti l’inizio dell’era industriale.
Trattative che ricorda "estenuanti", con "maratone di 48 ore chiusi in una stanza e notti insonni", che però non hanno ottenuto i risultati sperati. "Basti pensare agli Stati Uniti, responsabili di una quantità sproporzionata di gas serra: dopo aver svolto un ruolo fondamentale nella firma del protocollo di Kyoto, si sono tirati indietro. Lo stesso è accaduto 17 anni dopo, con gli accordi di Parigi. Quando Trump ha dato l'annuncio, ho avuto un déjà-vu".
Limitare il problema alla defezione statunitense, però, sarebbe sbagliato. Un rapporto dell'organizzazione internazionale Climate Transparency ha evidenziato che nessuna delle 20 potenze mondiali è sulla strada giusta per rispettare quanto stipulato nella capitale francese. E le emissioni globali, ricorda lo studio Emission Gap 2019, sono aumentate dell'1,5 % all'anno nell'ultimo decennio toccando un nuovo record nel 2018, con il risultato che si va verso un aumento della temperatura media di 3,2 gradi dai livelli pre-industriali. Un ulteriore buco nell’acqua è stata la Cop25, la conferenza sul clima che ha riunito i delegati di 195 nazioni a Madrid lo scorso dicembre: si è conclusa con un generico appello, lasciando irrisolti numerosi nodi cruciali.
I motivi, secondo Yamin, vanno cercati in una duplice resistenza al cambiamento. "Da una parte, a livello individuale, pensiamo spesso che a far qualcosa debba essere qualcun altro. Dall'altra, certi modelli industriali si oppongono con forza al mutamento dello status quo. Un esempio: negli ultimi nove anni le cinque principali compagnie petrolifere del mondo hanno speso 251 milioni di euro per contrastare le politiche dell’Unione Europea in favore del clima e ottenere norme meno severe. Mentre solo il 3 percento dei loro investimenti complessivi nel 2019 è stato destinato a soluzioni a basse emissioni di carbonio".
La conseguenza è un pianeta sull'orlo del collasso ambientale, le cui conseguenze "non mi fanno dormire la notte", confessa Yamin. "Il caos climatico sta avvenendo rapidamente e ha un impatto molto più devastante di quanto immaginato — avverte —. Vediamo Venezia sott'acqua, le foreste incendiate in California, la siccità in zone del Pakistan. Se le analisi sbagliano, è solo per difetto".
Da qui la necessità di un'azione immediata, a molteplici livelli: "Nella vita quotidiana ognuno di noi può fare scelte migliori, più consapevoli: mangiare meno carne, ridurre i voli in aereo. Ma è prioritaria un'azione governativa. Ogni progetto che prevede l'impiego di combustibili fossili deve essere cancellato". Qualcosa si sta muovendo. Oltreoceano la deputata statunitense dem, Alexandria Ocasio-Cortez, ha presentato insieme al senatore Ed Markey un piano evocativamente chiamato Green new deal, che prevede interventi pubblici strutturali distribuiti nel corso di un decennio per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e aumentare l'efficienza energetica. L'Unione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, si prepara a una svolta verde che ha la mission di liberare il Vecchio continente dalla CO2 entro il 2050.
Un cambio di passo che per Yamin non sarebbe stato possibile senza Extinction rebellion e gli scioperi mondiali degli studenti con a capo la giovane Greta Thunberg. "Greta è magnifica, le sono grata e l'ammiro. Ora, però, è il momento di crescere. Bisogna focalizzarsi sulle soluzioni, unire le forze e creare un movimento dei movimenti".
Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020
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