Aggiornato il giorno 22 giugno 2023
“Diablo vive” è la scritta sui manifesti neri comparsi venerdì 7 agosto 2020 a Roma per ricordare la morte, avvenuta un anno prima, di Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”. Un omicidio, o forse meglio dire un’esecuzione. Il 7 agosto 2019 al Parco degli acquedotti, zona sudorientale di Roma, Piscitelli, 53 anni, è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Il 13 dicembre 2021 il presunto omicida di Diabolik, Raul Esteban Calderon, è stato fermato dalla Squadra mobile della questura di Roma. Il processo è cominciato nel 2023 e, oltre ad accertare la responsabilità del sospettato, potrà essere utile per fare luce sui mandanti dell'omicidio di Diabolik resta il mistero.
Piscitelli era il capo più carismatico degli “Irriducibili”, gruppo di ultras della Lazio che domina la curva Nord dello stadio Olimpico ed è vicino a Forza Nuova: “Siamo gli ultimi fascisti di Roma”, aveva detto dopo lo scoppio di una bomba carta davanti alla sede della tifoseria il 6 maggio 2019. Ma Piscitelli non era un semplice capo ultras di destra: in passato aveva avuto diversi problemi con la giustizia tra estorsioni e droga ed era ritenuto vicino a due figure chiave della criminalità romana: da una parte vicino al clan camorristico di Michele Senese, detto o'pazzo, attivo soprattutto nell'area sud della città (Cinecittà, Tuscolana), e dall’altra vicino a Massimo Carminati, il capo di quell'organizzazione chiamata "Mafia capitale".
Dopo tre anni, l'omicidio di Diabolik è un caso ancora aperto
Lui stesso di precedenti ne aveva alcuni. Il 25 settembre 2013 era riuscito a sfuggire agli arresti dell'operazione Castillos, ma fu poi preso un mese dopo: era sospettato di aver organizzato, insieme ad sei persone (alcune legate al boss Senese), l’importazione di centinaia di chili di hashish dalla Spagna. Aveva ricevuto una condanna in primo grado quattro anni e mezzo.
Nel 2015 era arrivata un'altra condanna in primo grado, contro lui e altri leader degli “Irriducibili”, per la tentata estorsione ai danni del presidente della Lazio, Claudio Lotito: i tifosi si erano resi responsabili di una serie di episodi di violenza e di minacce, ricorrendo anche a ordigni esplosivi, per costringere Lotito a cedere ad altri imprenditori le proprie quote della società, che sarebbe stata poi guidata dall'ex bomber biancazzurro Giorgio Chinaglia. Il club biancoceleste sarebbe finito in realtà in mano a un gruppo legato ai Casalesi che avrebbe potuto riciclare denaro di provenienza illecita.
Il nome di “Diabolik” era emerso anche nell’ordinanza di custodia cautelare di “Mondo di mezzo”, quella sulla cosiddetta "Mafia capitale": i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) sospettavano fosse il capo della “batteria di Ponte Milvio” (composta da campani e albanesi) in rapporti con Carminati. La sua uccisione costituisce un mistero su cui lavorano gli investigatori romani. “Non è un omicidio di strada, ma strategico, che è stato funzionale al riassetto di alcuni equilibri criminali e non soltanto della città di Roma – spiegava il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, alla Commissione parlamentare antimafia lo scorso 29 gennaio 2020 –. Aveva una certa matrice ed è stato eseguito con una metodologia seria”.
Dall'agosto 2019 in poi alcune operazioni messe a segno dal Gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza di Roma, ma anche dei carabinieri del Comando provinciale della Capitale, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno permesso di delineare meglio i legami, gli affari e il ruolo di “Diabolik”. “Si trattava – diceva ancora Prestipino in Antimafia – di un ruolo importante di mediatore, insieme ad altri personaggi, sia nell’approvvigionamento di molte piazze di spaccio romane assai importanti per il volume d’affari, sia nella garanzia di certi equilibri tra di esse, e questo già di suo dice molto. Stiamo lavorando, cercando di individuare le responsabilità e credo che arriveremo a cavarne qualcosa”. Il 13 dicembre 2021 la Squadra mobile della Questura di Roma, che indaga sul caso, ha sottoposto a fermo Raul Esteban Calderon, sospettato di essere il presunto autore materiale dell'omicidio. Il provvedimento è stato poi convalidato il 17 dicembre dal gip di Roma che ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
"Gli equilibri nel mondo di eccezionale lucratività, ma molto pericoloso come quello degli stupefacenti, sono instabili, soprattutto in una città come la Capitale ove nessun clan malavitoso appare egemone"
Dda di Roma
“In questi quattro anni ha fatto una scalata che non vi rendete conto”, diceva di Piscitelli, nel 2012, uno spacciatore intercettato nel corso dell’indagine “Mondo di mezzo”. L’uomo spiegava a un suo interlocutore che Piscitelli guidava il gruppo di Ponte Milvio (quartiere dia Roma Nord) composto da napoletani, legati a Senese, e albanesi: “Questa è gente di merda, gente cattiva”. Da allora la scalata di Piscitelli è proseguita come fotografa l’indagine “Grande raccordo criminale”, per la quale il 28 novembre 2019 scorso 54 persone sono state arrestate con accuse varie (associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, spaccio, estorsioni).
Tra gli indagati c’era anche Piscitelli, considerato capo, promotore organizzatore e anche finanziatore del gruppo dedito al traffico di droga, cocaina e hashish nel caso specifico. L'inchiesta è chiusa e molti finiranno a processo. Ai posti di comando di questo gruppo c'era Fabrizio Fabietti, “braccio destro” di Piscitelli, uno che gli sta “appena un gradino sotto”: comprava coca da uomini legati alla cosca Bellocco della ‘ndrangheta. Un ruolo importante, poi, era tenuto da Dorian Petoku, cugino di Arben Zogu, entrambi uomini forti della criminalità albanese nella Capitale, la cui importanza è molto cresciuta negli ultimi anni.
Tra il febbraio e il novembre del 2018 il gruppo di Piscitelli è stato capace di movimentare 250 chili di cocaina e 4.250 chili di hashish per un valore complessivo stimato al dettaglio di circa 120 milioni di euro, stimano gli investigatori. “Gli equilibri nel mondo di eccezionale lucratività, ma molto pericoloso come quello degli stupefacenti, sono instabili, soprattutto in una città come la Capitale ove nessun clan malavitoso appare egemone o comunque capace di assicurarsi un settore esclusivo – scriveva il sostituto procuratore della Dda romana, Nadia Plastina, nella richiesta di custodia cautelare –: e seppure sembrerebbe esservi posto per tutti nel mondo degli affari criminali, tanto esteso è il mercato degli stupefacenti, i conflitti sono sempre sullo sfondo, per una partita di droga non arrivata e pagata, per uno sconfinamento di attività o territorio, piuttosto che per un debito generato da una fornita già consegnata e che tarda ad essere onorato”.
Ascoltata dalla commissione antimafia, Gerarda Pantalone, prefetto di Roma ha sottolineato che questa indagine “ha messo in luce il ruolo di Piscitelli Fabrizio; il sodalizio, che poteva contare su qualificate relazioni per gli approvvigionamenti del narcotraffico con soggetti della ’ndrangheta, riforniva di stupefacenti tutte le principali piazze romane in virtù dei contatti con fidati acquirenti all’ingrosso e disponeva di una batteria di picchiatori (alcuni ex pugili), appositamente incaricata del recupero dei crediti maturati nell’ambito del traffico di droga”. Dall'operazione "Alba Tulipano" condotta dai carabinieri il 1° dicembre 2020 emerge con chiarezza come nel 2013 Diabolik, oltre a procurarsi carichi di hashish insieme a Davide De Gregori, si occupasse anche del recupero dei soldi che gli acquirenti dovevano dare a quest'ultimo. "Mo senti li botti amico mio già stasera. Ho specificato con il capo dei laziali mo domani partono i primi menischi", scriveva in un messaggio De Gregori riferendosi "a un'energica attività di recupero crediti che era stata demandata al Piscitelli", sintetizza il gip Pier Luigi Balestrieri.
A Roma la geografia dei traffici è diventata sempre più difficile da leggere
Per la Dda, Piscitelli traeva forza dal suo doppio ruolo di capo ultras e di figura importante nel narcotraffico
Non sono utili soltanto i pugili, ma anche le “risorse umane” reperite allo stadio. Secondo la Dda, Piscitelli “godeva al tempo delle investigazioni di un particolare riconoscimento nella malavita, anche perché capo della frangia ultrà di tifosi della società sportiva Lazio, i cosiddetti ‘Irriducibili’, con numerosi seguaci di cui alcuni coinvolti anche nell’associazione dedita al traffico di droga”. La commistione tra curve e criminalità non è nuova, ma il caso di Piscitelli è esemplare. Se altrove gli ultras sono legati ai clan per questioni geografiche, oppure si creano sponde tra i capi dei tifosi e i boss che forniscono protezione, il leader degli “Irriducibili” (che dal 28 febbraio 2020 sono diventati “Ultras Lazio”) ha fatto un percorso inverso. La sua carriera nel narcotraffico è partita dagli spalti, dove le droghe girano in libertà e la cultura dello scontro è contemplata: “Se vogliono tornare al terrorismo degli anni '70, a quel clima, noi siamo pronti. Anzi, io non vedo l'ora e di certo non ci tiriamo indietro”, aveva dichiarato lui stesso dopo la bomba carta del 6 maggio 2019.
La procura sottolinea quindi un aspetto: “La peculiarità della figura criminale dell’uomo a Roma, che dal doppio ruolo di leader degli ‘Irriducibili’ e di elemento di spicco della criminalità organizzata nell’ambito del traffico degli stupefacenti, traeva un particolare carisma personale anche in termini di forza intimidatrice da spendere in entrambi i contesti in parte interscambiabili”. Quel “duplice ruolo del Piscitelli esaltava ciascuno di essi”. La leadership di Piscitelli “necessitava di essere accettata da parte degli altri gruppi criminali anche di stampo mafioso che operano e convivono nel territorio laziale”, sosteneva ancora la Dda, che contesta agli indagati l’aggravante del metodo mafioso, nonostante il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza di custodia cautelare l’abbia scartata.
Il 22 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per Fabietti, ma anche le condanne per altri componenti dell'organizzazione, tra cui Ettore Abramo, detto "Pluto", altro capo ultras della Lazio.
Pochi mesi dopo “Grande raccordo criminale”, un’altra operazione ha fornito elementi per inquadrare meglio la figura di “Diabolik”. L’indagine, sempre condotta dal Gico della Guardia di finanza coordinato dalla Dda, si chiama “Tom Hagen”, come l’avvocato e consigliere di don Vito Corleone ne Il padrino. In questa indagine è centrale il ruolo svolto da una giovane avvocatessa, Lucia Gargano, 36 anni: non era solo il difensore di Piscitelli e altri protagonisti della criminalità romana, ma anche il loro messaggero e consigliere. Lei e Salvatore Casamonica sono stati arrestati il 14 febbraio scorso per concorso esterno in associazione mafiosa perché “contribuivano concretamente, pur senza farne formalmente parte, alla stessa conservazione della capacità operativa dell'associazione mafiosa denominata clan Spada, operante sul territorio Ostia”. Bisognava porre fine allo scontro tra gli Spada, legati ai Casamonica, e un altro gruppo della zona guidato da Marco Esposito, detto Barboncino, uomo legato al clan dei Triassi, a sua volta collegato alla famiglia mafiosa agrigentina dei Cuntrera-Caruana.
Da anni ormai i due gruppi si affrontavano con violenza, agguati e gambizzazioni, ma negli ultimi tempi gli Spada erano stati messi in difficoltà da una serie di arresti dei suoi capi e i rivali stavano guadagnando terreno. “Tra tutti e tre non lo so che gli ha preso”, dice l’avvocato Gargano a Piscitelli commentando le contrapposizioni. Lui replica: “Mo si stanno ammazzando”. A suggellare la pace tra i gruppi, con l’intermediazione della penalista, sono quindi Casamonica e Piscitelli che “rappresentava gli interessi del gruppo capeggiato da Esposito”. “Ti ripeto Fabrì, sappi che io e te ci stiamo mettendo in mezzo per fare da garanti!”, diceva Salvatore Casamonica. “Sui miei ti metto tutte e due le mani sul fuoco”, rispondeva il capo ultras. L’accordo viene raggiunto durante un incontro in un ristorante di Grottaferrata il 13 dicembre 2017, quando i rappresentanti dei diversi gruppi criminali si siedono a tavola. Da quel momento “non si sono registrati atti intimidatori a Ostia, né ai danni degli Spada, né ai danni di Esposito Marco e dei soggetti a lui strettamente legati, mentre nei giorni immediatamente precedenti ce n’erano stati tre in tre giorni”. Meno di due anni dopo, però, a ricevere una pallottola è stato “Diabolik”.
La famiglia di Fabrizio Piscitelli continua a negare il suo ruolo di capo nell'ambito del narcotraffico a Roma: "Allo stato attuale questo suo ruolo non emerge né dagli atti di Grande raccordo criminale, né da quelli del procedimento in corso per il suo omicidio – ha dichiarato Tiziana Siano, avvocato dei genitori di Fabrizio Piscitelli in una dichiarazione all'Adnkronos il 4 aprile 2023 –. Da una parte abbiamo una sentenza del Tribunale di Roma nel processo contro Fabietti che non lo riconosce in questo modo e dall’altra la conclusione di un'attività investigativa che porta all'archiviazione dei mandanti senza chiarire il motivo di questo delitto, la cui esecuzione non può che definirsi di stampo mafioso".
Nel processo Grande raccordo criminale che ha portato alla condanna di Fabietti i giudici, "espressamente e in maniera chiara, dicono che in quella attività di narcotraffico Piscitelli ha un ruolo addirittura marginale. E allora dove e come si colloca la morte di Fabrizio?". Un ruolo marginale sarebbe stato ricoperto anche in due estorsioni che erano contestate a Diabolik prima del suo omicidio.
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