Un agente della polizia albanese impegnato a sradicare piante di marijuana (Cataldi)
Un agente della polizia albanese impegnato a sradicare piante di marijuana (Cataldi)

Marijuana, banane e coca Succede in Albania

La produzione di marijuana è cresciuta, anche se il premier Edi Rama nega. I gruppi criminali sono diventati più forti anche grazie alla corruzione e alle protezioni politiche

Valerio Cataldi

Valerio Cataldiinviato Tg3

3 luglio 2020

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Trentasette persone arrestate e circa quattro milioni di euro sequestrati martedì in un'operazione a cavallo tra Puglia e Albania. È l'esito di un'indagine condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Bari insieme agli investigatori albanesi, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla Procura Speciale Anticorruzione e Criminalità Organizzata di Tirana insieme agli organismi europei di cooperazione. "La Puglia – scrive il gip di Bari nell'ordinanza di custodia cautelare – continua a costituire la principale base logistica delle organizzazioni criminali albanesi per smerciare sostanze stupefacenti in tutto il territorio italiano”. Ma cosa avviene dall'altra parte dell'Adriatico? Valerio Cataldi, inviato del Tg3 e autore dell'inchiesta video Narcotica, lo ha raccontato su lavialibera di marzo-aprile 2020.

In un rapporto riservato la polizia albanese scrive che in dieci mesi, da gennaio a ottobre 2019, "sono state annientate 90.175 piante di cannabis". La frase contiene due dati importanti. Il primo è l’aumento esponenziale del numero di piante trovate. Il secondo è la parola che fornisce un senso definitivo all’azione: annientate, come a dire che non ci sarà più un seguito. Novantamila piante, scritto nero su bianco su carta intestata del Ministero degli Affari interni, Direzione della Polizia di Stato, è un numero che rivela un aumento importante delle coltivazioni rispetto al 2014, quando il governo albanese ha avviato una campagna per eliminare le piantagioni di cannabis nel villaggio di Lazarat, all’epoca principale centro di coltura di marijuana.

I dati della polizia non sono ancora stati diffusi. Quando, per la prima volta, le cifre hanno segnato una crescita, non è stata realizzata la consueta conferenza stampa di chiusura della campagna, coi sorvoli della Guardia di Finanza italiana, grazie ai quali negli ultimi cinque anni è stata descritta la progressiva riduzione delle coltivazioni. Molti ritengono sia stata una cautela del governo di Tirana in un momento in cui l’Europa stava decidendo di avviare le procedure di ingresso dell’Albania nell’Unione europea, come poi realmente accaduto il 24 marzo. Cosa che sembra trovare conferma nelle reazioni scomposte del ministro dell’Interno e del premier Edi Rama di fronte alla diffusione dei contenuti del rapporto in alcuni servizi del Tg3 della Rai che Rama ha definito "vergogna giornalistica". Ad oggi, però, non è ancora dato sapere il dato ufficiale. Un filmato girato dalla polizia racconta le operazioni di annientamento nell’estate 2019. Mostra gli agenti che tagliano piante alla base con un machete e le bruciano. "Tagliare in quel modo le piante non serve a distruggerle – spiega sotto garanzia di anonimato un esperto coltivatore che possiede una piantagione di cannabis terapeutica con migliaia di piante, detenuta legalmente e monitorata dalla autorità locali –. Se non si uccidono le radici, allora ricresceranno. Vanno sradicate". In Colombia per annientare le coltivazioni di coca l’Antinarcoticos, la polizia antinarcotici, dispone di squadre di eradicadores, che strappano le piante dal terreno e le lasciano seccare. Ma gli eradicadores in Albania non esistono ancora e le piante si tagliano col machete. E nessuno sembra preoccuparsi se serva davvero.

All'estero l'antimafia c'è, pensare il contrario è dannoso, sostiene la criminologa Anna Sergi. Meglio sarebbe trovare il modo per spiegare cosa sono le mafie e quanto possono essere differenti nei vari contesti

L’ascesa della mafia albanese

Gli albanesi sono molto preoccupati della presenza della “loro” mafia. Penso che in futuro, nel contrasto alle mafie e alla distribuzione all’ingrosso della cocaina, oltre a pensare alla ‘ndrangheta dovremmo iniziare a pensare anche all’AlbaniaNicola Gratteri - Procuratore capo di Catanzaro

In Albania il dibattito interno sulla lotta alla produzione e al traffico di cannabis è molto politicizzato. È una rissa continua tra maggioranza e opposizione, che impedisce il confronto su dati e strategie e non aiuta gli albanesi a capire. C’è un problema di informazione libera e indipendente. Secondo l’ultimo rapporto di Reporters Sans Frontieres l’Albania si colloca all’82esimo posto nella classifica mondiale per le difficoltà vissute dai cronisti, tra le minacce di morte da parte di una criminalità sempre più aggressiva e i continui insulti e querele del primo ministro Rama. Basti pensare che la comunicazione istituzionale viene diffusa attraverso un solo canale televisivo: si chiama Ertv, sta per Edi Rama Tv, ed è la televisione del premier albanese. La polemica politica si nutre di se stessa e trascura, sul narcotraffico, l’allarme lanciato da molte organizzazioni internazionali investigative, sull’ascesa dei clan albanesi. Questi, che da sempre controllano il flusso di oppio che dall’Afghanistan risale sulla rotta balcanica verso l’Europa, più recentemente hanno stabilito rapporti diretti con i narcos sudamericani. Dialogano con la ‘ndrangheta, hanno propri broker in Sudamerica e controllano buona parte del flusso di coca dalla Colombia.

Un segnale che in realtà era evidente fin dal 2001, messo in luce da una operazione della Dea (Drug enforcement administration, l’agenzia federale antidroga statunitense, ndr) a cui ha preso parte anche il Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei Carabinieri: l’operazione “Journey” avviata dal sequestro record di 14mila chili di coca alla foce del fiume Orinoco in Venezuela e diretti in Albania a bordo di un sommergibile. Il progetto, sventato dall’operazione, prevedeva l’utilizzo di un sottomarino dell’ex arsenale sovietico per trasportare il carico fino a Porto Palermo, vecchia base jugoslava vicina al porto di Valona. Il progetto avrebbe portato nel Mediterraneo i “narco-sommergibili”, già usati dai cartelli colombiani per portare coca negli Stati uniti. "Attraverso il canale di Otranto non arriva solo marijuana, ma anche la cocaina", spiega il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che ha un’idea molto precisa della pericolosità della mafia albanese. E di un altro aspetto: "La corruzione – continua Gratteri –. Se nessuno contrasta la mafia albanese in Albania, questi mafiosi si arricchiscono, guadagnano protezioni a tutti i livelli e riescono a entrare in Europa, in Italia e in Olanda. Gli albanesi sono molto preoccupati della presenza della 'loro' mafia. Penso che in futuro, nel contrasto alle mafie e alla distribuzione all’ingrosso della cocaina, oltre a pensare alla ‘ndrangheta dovremmo iniziare a pensare anche all’Albania".

Alcuni pacchi di droga dall'Albania sequestrata dalla Direzione investigativa antimafia
Alcuni pacchi di droga dall'Albania sequestrata dalla Direzione investigativa antimafia

Coca e banane

Secondo un’indagine delle dogane albanesi, nel 2018 l’importazione di banane è aumentata del 62 per cento. E i paesi da cui l’Albania importa più banane sono la Colombia e l’Ecuador. Il perché tutte quelle banane lo spiegano le operazioni di polizia. Uno degli ultimi carichi di coca scoperti, di 137 chili, è stato trovato proprio su una nave che dalla Colombia portava banane in Grecia passando per l’Albania. I clan albanesi esportano con questo metodo in tutta Europa, trattando alla pari con la ‘ndrangheta e i cartelli sudamericani. Una posizione di potere conquistata anche con il sangue. "È la conferma del salto di qualità della mafia albanese – dice Ahmet Premci, ex direttore della polizia –. Anche i colombiani hanno iniziato coltivando cannabis e poi sono passati alla cocaina: ma senza il sostegno della politica non riuscirebbero a far passare quantità così grandi di droga". Secondo Premci manca la volontà politica di combattere il narcotraffico: "Le sole operazioni importanti fatte finora sono state fatte grazie a indagini internazionali condotte dalla Germania o dall’Italia. Non si mette la polizia in condizione di combattere il narcotraffico. È evidente che qualcosa non funziona se fino ad ora sono stati arrestati solo personaggi minori e nessuno dei capi del narcotraffico è stato preso".

In Italia, la Lega ha proposta una legge che abolisce di fatto la differenziazione tra droghe pesante e leggi. La commissione giustizia della Camera ha chiesto un parere a Gruppo Abele, Antigone, FederSerd e Forum Droghe: troppo incentrata sulla repressione, rischia di aumentare i problemi al sistema carcerario

Complici nei palazzi del potere

Una delle condizioni imposta all’Albania per entrare in Europa (e in verità pretesa anche dagli Stati Uniti) è l’avvio di una seria lotta alla corruzione. A questo scopo è stato avviato il lavoro di un tribunale speciale che investiga sui punti di contatto tra la magistratura e il crimine organizzato. Giudici e pubblici ministeri vengono messi sotto la lente per verificare se possono giustificare i beni che possiedono, quantità e qualità delle sentenze emesse, se hanno parentele o contatti con mafiosi. Etilda Gjonaj, ministro della Giustizia, afferma che il lavoro durerà ancora degli anni, ma che fino ad ora la metà dei magistrati è stata allontanata perché ritenuta "inadeguata" sulla base delle verifiche. Alla Corte costituzionale, in seguito allo screening, è rimasto in carica un solo giudice su nove. Il processo si chiama vetting (processo di controllo delle credenziali, ndr) e, secondo alcuni, dopo un inizio incoraggiante, è diventato uno strumento per fare fuori magistrati scomodi alla politica. In ogni caso, il vetting sta per essere avviato anche sulle forze di polizia. Una operazione urgente secondo un altro ex funzionario di polizia, Arben Hajdarmataj, ex direttore della polizia doganale di Valona: "Le organizzazioni criminali sono riuscite a penetrare nelle strutture statali e quindi è difficile far il poliziotto oggi: perché prima che tu ti muova, i criminali sanno già cosa stai per fare". Hajdarmataj disegna un quadro drammatico di un sistema con radici profonde. "Fino a pochi anni fa la cannabis si coltivava ovunque e molti poliziotti chiudevano un occhio.

Oggi si coltiva meno, ma non è cambiato molto. Nelle nostre indagini sul traffico di droga è finito anche un ministro dell’Interno, Saimir Tahiri. La sua auto privata era usata da suo cugino, uno dei capi del gruppo criminale Habilaj". Tahiri è stato costretto a dimettersi per questo caso. Definiva i suoi cugini "uomini d’affari" fino a che i suoi cugini, i fratelli Habilaj, sono stati arrestati in Italia dalla Squadra mobile della questura di Catania. In Sicilia facevano affari vendendo marijuana a Cosa nostra e condannati per narcotraffico. Il ministro, messo sotto accusa dal tribunale albanese per i crimini gravi, è stato condannato a settembre per abuso d’ufficio. Il poliziotto che aveva scoperto come l’auto del ministro fosse in uso ai fratelli Habilaj è stato costretto a scappare in Svizzera. Per chiedere asilo politico.

Da lavialibera n°2 marzo/aprile 2020

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