Melbourne, Australia: poster del dottore Li Wenliang, che aveva allertato le autorità  cinesi sui rischi del coronavirus. (Adli Wahid - Unsplash)
Melbourne, Australia: poster del dottore Li Wenliang, che aveva allertato le autorità  cinesi sui rischi del coronavirus. (Adli Wahid - Unsplash)

Anticorruzione: "Nella fase 2 premi per i whistleblower che segnalano abusi o irregolarità"

Parisi, consigliera Anac e docente di diritto internazionale, suggerisce soluzioni per tutelare chi denuncia il malaffare all'interno di amministrazioni e aziende in questa emergenza: "Mettiamo in pausa le linee guida e lavoriamo sulla nuova legge"

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

12 maggio 2020

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Durante quest’emergenza bisognerebbe incentivare con premi i whistleblower, quei lavoratori che segnalano alle autorità irregolarità dannose per tutti. Una soluzione straordinaria per una fase di emergenza. Nel frattempo, si potrebbe mettere da parte la riflessione sulle linee guida realizzate dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) per le amministrazioni sulla tutela dei segnalanti e darsi da fare per introdurre in Italia le nuove norme europee in materia. Nicoletta Parisi, professore ordinario di diritto internazionale alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania e consigliere dell’Anac, accoglie la proposta partita da Libera sulla necessità lavorare alla nuova legge sui whistleblower già nel corso di questa fase 2. E lancia alcune proposte.

Professoressa Parisi, la cronaca ci dimostra come sia importante tutelare i whistleblower soprattutto in questo periodo.

Nicoletta Parisi, consigliere Anac
Nicoletta Parisi, consigliere Anac

Certamente, e per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto ci siamo accorti in queste settimane che certi comportamenti antigiuridici sono emersi soltanto perché qualcuno ha avuto il coraggio di segnalarli, incorrendo anche in problemi personali sul piano lavorativo. Poi perché questa forma di controllo diffuso sull’agire della pubblica amministrazione, ma anche degli enti privati, deve essere rafforzato di fronte a un’attenuazione degli strumenti di trasparenza. Infatti, per aiutare cittadini, enti pubblici e imprese, il governo ha sospeso temporaneamente il diritto di accesso civico e ha prorogato i termini per la pubblicazione di dati, atti, informazioni. Insomma, è avvenuta una sorta di eterogenesi dei fini: la norma è stata adottata per non pesare, in tempi difficili, con adempimenti amministrativi; ma, ciò facendo, essa ha reso anche più opaca l’azione pubblica. Così in tempi in cui la trasparenza dovrebbe essere massima a motivo del massiccio uso di risorse pubbliche con procedure rapide, emergenziali, essa invece viene attenuata; il whistleblower potrebbe sopperire a questa carenza. Inoltre il whistleblower non fa emergere soltanto irregolarità, illegalità o pericoli di comportamenti illeciti: tutela il diritto di ogni persona a essere informata su ciò che avviene e su come vengono impiegate le risorse pubbliche. Insomma nel whistleblowing si confrontano due dimensioni: quella legata alla governance e quella legata alla libertà di espressione e di informazione.

La società civile organizzata lo sa e chiede un rafforzamento della tutela del whistleblower: tanto è vero che c’è un appello di novanta organizzazioni non governative che va in questo senso; e c’è il punto 14 del bellissimo manifesto “GiustaItalia”, adottato da Libera, Avviso pubblico, Legambiente e tanti altri enti. In questo panorama la pubblica amministrazione dovrebbe diventare proattiva: dovrebbe fare in modo che i whistleblower siano incentivati a segnalare perché essi sono strumentali a evitare ulteriori pregiudizi alla salute pubblica e alla vita delle persone, beni fondamentali, oltre che a evitare l’uso distorto di risorse pubbliche.

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Cosa si può fare per garantire maggiori tutele?

Chi segnala rischia discriminazioni e demansionamenti. Secondo me ora l’importante è dire ai potenziali segnalanti di fatti illeciti collegati all’emergenza Covid-19: tu sei fondamentale per noi, noi ti proteggeremo. Anac ha una competenza molto forte in materia e sta incominciando ad usarla, sebbene con parsimonia per via delle pesanti sanzioni pecuniarie da applicare nel caso in cui accerti trattamenti discriminatori. È importante aiutare i whistleblower ad uscire allo scoperto dando loro la certezza che non saranno penalizzati, magari invece che saranno “premiati”.

Ma come premiarli?

Credo che oggi sia utile un provvedimento che accordi un "bonus" a chi fa le segnalazioniNicoletta Parisi - Consigliere Anac

Questo è un punto davvero critico. Io penso che dovremmo metterci in una prospettiva di straordinarietà, perché straordinaria è la situazione che stiamo vivendo. Ho sempre sostenuto che gli incentivi per il segnalante debbano prescindere da “premi” economici, debbano essere reputazionali, ovvero di sostegno reale del whistleblower nel luogo di lavoro, incluse le eventuali spese che i whistleblower sono costretti ad affrontare per far fronte alle conseguenze negative derivanti dall’aver segnalato. Tuttavia oggi io credo possa essere utile ­­­­­– nel caso di una segnalazione legata al Covid-19 e per il tempo necessario a superare l’emergenza – un provvedimento che accordi un “bonus” a chi fa le segnalazioni o accordi un sostegno alle spese legali se si sia denunciati in modo ingiusto per calunnia o diffamazione. Si sta parlando di introdurre un ”bonus” da 500 euro per l’acquisto di una bicicletta come incentivo per l’uso di mezzi di trasporto diversi da quelli pubblici ... perché non pensare la stessa soluzione per favorire l’emersione di condotte illegali legate all’emergenza?

Quali ministeri dovrebbero occuparsi di queste tutele?

Un provvedimento di questo genere ha portata generale, tocca direttamente i compartimenti della giustizia, della salute, del lavoro e della funzione pubblica, tocca l’attività di impresa, incide sulle finanze pubbliche. Perché non una norma inserita in un decreto legge che, come stabilito nella Costituzione, deve essere utilizzato a fronte a casi straordinari di necessità e di urgenza? È questa la situazione in cui siamo oggi.

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Anac ha predisposto delle linee guida per le amministrazioni pubbliche sulla gestione delle segnalazioni e sulla tutela dei segnalanti. A cosa servono?

L’Autorità anticorruzione ha una competenza regolatoria in materia e la sta esercitando per accompagnare le pubbliche amministrazioni nel comprendere e nell’applicare una disciplina assai complessa, che interviene su un tema divisivo, su comportamenti che nell’immaginario collettivo sono ancora coperti di disvalore: basti pensare che un segnalante è assimilato a un delatore, quando invece la legge dà al suo comportamento un valore positivo. Inoltre le linee aiutano il whistleblower a comprendere a cosa andrà incontro se segnalerà ad Anac o agli altri due canali istituzionali disponibili, cioè alla persona a ciò destinata entro il proprio ente e alla procura, penale o della Corte dei Conti.

A che punto è la loro adozione?

Esistono già delle linee guida che risalgono al 2015, prima della nuova legge del 2017: dunque Anac le sta rinnovando e ha deciso in via volontaria di sottoporre il nuovo testo, prima della sua definitiva adozione, alla valutazione consultiva del Consiglio di Stato, il quale ha dato alcune indicazioni per correggere più di un punto. Il parere del Consiglio di Stato non è vincolante per l’Autorità, che però tiene in conto la sua autorevolezza.

Quali sono i rilievi dei giudici?

Vi sono più punti sui quali il giudizio di Anac e del Consiglio di Stato non collimano in modo perfetto. Una prima questione riguarda l’applicazione oggettiva della norma: l’Autorità considera, alla luce delle indicazioni che provengono dal diritto internazionale ed europeo, che la segnalazione possa riguardare anche comportamenti prodromici al compimento della condotta, tanto ricorrenti da far considerare che il rischio sia fondato. Il Consiglio di Stato considera invece rilevante che il fatto sia avvenuto o che vi sia stato almeno il tentativo.

A quel punto, però, la segnalazione del whistleblower sarebbe più utile se sottoposta con denuncia alle forze di polizia o alle procure.

Il Consiglio di Stato valorizza la dimensione repressiva dell’istituto, invece Anac quella preventiva. Ma d’altra parte Anac è un’autorità di prevenzione.

Ci sono altre discordanze?

Il presidente di Anac, Francesco Merloni
Il presidente di Anac, Francesco Merloni

Si, ci sono considerazioni del Consiglio di Stato che tendono a ridurre l’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto. Per esempio, esclude che possa essere considerato whistleblower chi dentro un ente sia tirocinante e non un suo dipendente. Le linee guida di Anac – ripeto: non ancora approvate, ma già messe in consultazione – danno un’interpretazione estensiva alla norma di legge perché considerano il fine che essa intende perseguire, quello di mantenere o ripristinare l’integrità dell’ambiente da cui emerge la segnalazione. In questo senso va anche la direttiva dell’Unione europea che dobbiamo attuare a breve e che già impone agli Stati dell’Unione di non adottare norme o mettere in atto pratiche contraddittorie con essa. Infine il Consiglio di Stato, nel parere che ha reso, ritiene che le linee guida non siano vincolanti. Io credo che una portata vincolante esse l’abbiano nella misura in cui il loro contenuto sia considerato dalla legge un parametro per valutare le modalità con cui gli enti pubblici tutelano la riservatezza dell’identità del segnalante: la norma dice infatti che Anac sanziona quando la segnalazione sia stata trattata in difformità dai criteri stabiliti dalle linee guida.

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Come si può andare avanti?

Forse occorrerebbe partire dal messaggio che ha lanciato Leonardo Ferrante del Gruppo Abele e di Libera, quando suggerisce di considerare che a breve il legislatore italiano deve tornare sul tema con una riforma di sistema per adempiere la direttiva dell’Unione europea. Questa direttiva richiede un imponente lavoro legislativo in Italia. Dovranno essere modificati molti aspetti rispetto a quelli adesso disciplinati dalla legge: la direttiva, fra le altre cose, valorizza l’ambito del settore privato; amplia l’ambito soggettivo dei segnalanti; considera il rischio di condotte illegali come oggetto della segnalazione.

Ferrante suggerisce di concentrare tutte le nostre energie su questo grande sforzo legislativo che ci aspetta. A me questo messaggio piace. E se vogliamo essere consequenziali con questo messaggio, dovremmo forse lasciar riposare le linee guida per riprenderle quando la legge – integrando il diritto vivente odierno – innoverà su così tanti fronti. 
Naturalmente questa è la mia idea, mentre la decisione in materia spetta al consiglio dell’Autorità anticorruzione.

Richiederà molto lavoro.

Per questo credo che sia necessario giocare d’anticipo: forse non vale la pena di lavorare oggi su linee guida che sono nate quando la direttiva europea non esisteva, ma che sono destinate a diventare obsolete in maniera rapida, visto l’obbligo di adempiere la direttiva.

Come si dovrà fare?

La direttiva deve essere recepita dal parlamento con una propria legge che detti una disciplina specifica, oppure dal Governo, su delega del parlamento.

In questo periodo alcuni politici e opinionisti hanno messo in discussione Anac chiedendo la sospensione delle sue competenze o addirittura la sua eliminazione. Tuttavia l’esistenza di un’autorità anticorruzione è prevista da leggi internazionali.

La “Legge Severino” è stata adottata per dare adempimento a due convenzioni internazionali: quella delle Nazioni Unite del 2003, e quella del Consiglio d’Europa del 1999. Entrambe prevedono l’obbligo per gli Stati di dotarsi di uno o più organi di contrasto alla corruzione. Nella nostra Costituzione si afferma che le norme di origine internazionale hanno forza superiore alle leggi ordinarie. Ciò che qui importa dunque non è tanto l’abolizione di Anac (l’ordinamento evolve a seconda dell’evolvere della società che lo genera) o di come potrebbe chiamarsi il nuovo organo che eventualmente la sostituisse, di come le sue competenze potrebbero essere spezzettate e affidate a diversi organi. Quello che importa è di non retrocedere rispetto agli standard internazionali introdotti con legge sul fronte della prevenzione della corruzione. Il sistema di prevenzione della corruzione introdotto in Italia per adempiere alle norme internazionali è reputato una best practice dai nostri valutatori, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, GrECO (Gruppo di Stati contro la corruzione, organo del Consiglio d’Europa, ndr) e l’Unione europea, ed è imitato da tanti Stati, a partire dalla Francia, per terminare – per ora – con i Paesi dei Balcani occidentali.

E questo serve a garantire anche i famigerati investitori stranieri che, secondo alcuni, sarebbero spaventati dalla burocrazia italiana.

Esatto. Sanno che c’è un ottimo sistema di prevenzione della corruzione e che dunque su questo fronte possono fidarsi. L’Italia si è conquistata una reputazione internazionale di grande rispetto, è considerata il Paese dell’anticorruzione efficace ed effettiva, perché ha saputo adeguarsi bene alle convenzioni, come quella delle Nazioni Unite di cui fanno parte 186 Stati. È appunto un problema di reputazione internazionale. Certo gli investitori stranieri non possono fare affidamento sulla celerità dei processi (soprattutto quelli civili), ma questo è un altro discorso! Certo, se il legislatore imparasse a scrivere meno norme, se queste fossero più semplici e più aderenti a principi invece che descrittive di minuti comportamenti, non sarebbe male!

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