6 agosto 2020
Dicono i numeri, e purtroppo non solo i numeri, che Roma è diventata la città dello spaccio. Cinque tonnellate di sostanze stupefacenti sequestrate nel solo 2018, lì dove il sequestro rappresenta solo un’infinitesima parte del tutto. Dicono ancora i numeri che la sola piazza di spaccio del quartiere di san Basilio, la principale della città e tra le più grandi d’Europa, fatturi da sola venti milioni di euro l’anno. Più o meno quello di una media azienda manifatturiera. E testimonia il vissuto di chiunque abbia figli in età scolare che l’esperienza dello sballo cominci sempre prima. Nelle scuole medie, dove una compressa di Rivotril o gli allucinogeni dalla forma e l’aspetto rassicurante di orsetto o topolino costano 3 euro, meno delle monete che mamma e papà danno per fare merenda o comprarsi una pizzetta.
Farsi di qualcosa è diventata la cerimonia simbolica ed emotiva dell’ingresso nella vita adulta. Insieme a un tatuaggio, a un taglio di capelli. Farsi è diventato anche e soprattutto la scorciatoia per fare soldi facili. Perché i consumatori – a maggior ragione sotto i 18 anni – sono quasi sempre anche piccoli spacciatori. Chi spinge pasticche, coca o hashish, ne ha gratis per sé, e, una volta dato al grossista il dovuto, anche per un paio di scarpe da ginnastica, o uno smartphone. Allargando il mercato agli adolescenti, la domanda si è così gonfiata a dismisura e l’offerta ha reso così capillare e fungibili i canali di distribuzione (per un “pischello” che si tira fuori, ce ne sono due pronti a subentrare), che misurarsi con questa catastrofe sociale è come pensare di svuotare il mare con un secchiello. E il discorso vale per chi fa prevenzione, chi fa repressione, chi assistenza. Per dire, ogni anno, secondo le statistiche dell’Istat, gli italiani spendono in droghe 12 miliardi di euro. Più o meno un terzo dell’ultima manovra finanziaria. Ecco perché la geografia del traffico di droga e dello spaccio di sostanze stupefacenti è diventata una carta geografica sempre più difficile da leggere.
A Roma l'eterno ritorno dell'eroina
Perché quando hai detto Casamonica, il più blasonato dei cognomi delle famiglie che controllano il mercato dello spaccio nel quadrante orientale e meridionale della città, hai detto molto, ma non tutto. Hai indicato un canale del traffico, ma non ne hai esaurito i padroni. Soprattutto quando scopri che a fare da sfondo all’esecuzione di “Diabolik”, all’anagrafe Fabrizio Piscitelli, per lustri padrone non soltanto della curva nord dello stadio Olimpico ma Signore dello spaccio, ci sono gli equilibri che cambiano tra famiglie come i Savioli, i Cosentino, i Bellocco, i Capriotti, i Di Napoli, i Valente. E naturalmente Cosa nostra, ‘ndrangheta, mafia albanese, capibastone di quartiere.
Ci vorrebbe un cambio di prospettiva. Provare a guardare questa catastrofe alla sorgente, non alla foce. Ma questo è un discorso antico. Richiederebbe coraggio. Intellettuale, sociale, politico. E un senso di comunità. Che nel nostro tempo è moneta rara.
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