San Lorenzo, Roma. Scritte in ricordo di Desirée, giovane morta di overdose
San Lorenzo, Roma. Scritte in ricordo di Desirée, giovane morta di overdose

Roma, l'eterno ritorno dell'eroina

Dopo il boom degli anni Ottanta, nella Capitale il numero di dipendenti da questa sostanza è rimasto stabile

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

Aggiornato il giorno 4 gennaio 2021

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Hanno l’invisibilità della polvere, ma non sono scomparsi come non è scomparsa lei. "L’eroina non è tornata, non è mai andata via", ripetono Emanuele, Vittorio, Alessandro e Diego, operatori che da oltre dieci anni presidiano diverse zone di Roma per ridurre i danni della tossicodipendenza. Ritirano le siringhe sporche, consegnano quelle pulite, distribuiscono tè, biscotti, preservativi e naloxone, un farmaco salvavita in caso di overdose. Conoscono quasi tutti i consumatori vecchi e nuovi della Capitale e sanno che il paventato ritorno dell’eroina è, in realtà, un eterno ritorno.

Il velo dell’invisibilità va in brandelli dove meno lo aspetti, a piazza della Repubblica, uno snodo centrale per chi visita la città. È da poco passata l’ora di pranzo e una fiumana di turisti trabocca dalla metropolitana per riversarsi su via Nazionale, la grande arteria che porta sino a piazza Venezia. Nel caos metropolitano è quasi impossibile accorgersi di un gruppo di dieci persone che gravita intorno a una panda bianca, soprattutto se di vederlo non si ha voglia, presi dal lavoro, dalle vacanze, dallo shopping. Eppure esiste. C’è Mauro, originario di Palermo, che ha da poco lasciato il lavoro da fattorino per Glovo, servizio di consegne a domicilio in bicicletta: "Dopo i primi appuntamenti è una fregatura, ti spacchi le ossa per pochi euro". C’è Alessandra, che non vede l’ora scurisca e inizi il weekend, per "sballarsi". Un breve scambio di saluti, poi tira fuori da un marsupio tre siringhe da insulina e ne chiede altrettante prima di appartarsi poco lontano. "Scusate, vado un attimo a farmi. Ho bisogno di essere più lucida per decidere dove andare stasera", dice stringendo tra le dita screpolate una Corona, "la prima birra della giornata".

Droga capitale. A Roma soltanto nel 2018 sono state sequestrate cinque tonnellate di stupefacenti. La geografia dei traffici è diventata sempre più difficile da leggere

Altri tempi, altre droghe

Dal 2016 al 2018 gli utenti contattati da sette unità di strada della Capitale sono scesi di circa 10mila unità. La quantità di eroina sequestrata è balzata dai 52,92 chili del 2016 agli 84,25 del 2018

Eccoli, i tossici d’oggi: hanno tra i trenta e i quarant’anni e sono tutti italiani, fatta eccezione per Tabil, che arriva dal Senegal, e nessuno gli darebbe mai i suoi 56 anni. Ragazzi e ragazze con storie che spesso aprono abissi, sempre diversi, di solitudine e infelicità. Come nel caso di Antonio, intabarrato in un giubbino più grande di lui che ogni tanto gli lascia scoperto il dorso della mano sinistra, livido per i troppi buchi. Aveva otto anni quando il padre gli ha scaraventato una spranga di ferro su una gamba, che da allora fatica a muovere. Con la droga ha iniziato da adolescente, a Scampia, dove è nato e cresciuto, e poi chissà come è arrivato fin qui, in questo sputo di purgatorio dietro la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Certo, non sono più gli anni Ottanta descritti su Repubblica da Carlo Rivolta, quando giorno dopo giorno l’eroina aveva "completamente conquistato il mercato dei giovani" tanto che nella Capitale, stando alle parole del cronista, non esistevano "altre droghe".

Adesso i narcotrafficanti pompano altri tipi di business, più convenienti. Prima di tutto la cocaina, scesa a prezzi stracciati con un tiro che può costare 15 euro e un grammo 50. Poi le pasticche che, nelle loro infinite e sempre nuove varianti, vanno forte soprattutto tra i giovani. Ma la percezione di chi è su strada è che dopo il picco raggiunto trent’anni fa, il numero di eroinomani sia rimasto pressoché stabile, alternando lievi flessioni a ciclici rialzi. L’osservazione empirica trova difficile riscontro nei dati disponibili che non fanno distinzione tra le diverse droghe utilizzate. I numeri forniti a lavialibera dal Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio mostrano che dal 2016 al 2018 gli utenti contattati da sette unità di strada della Capitale sono scesi di circa 10mila unità (60.922 nel 2016, 50.270 nel 2018). Un altro indicatore arriva dalla procura di Roma: la quantità di eroina sequestrata è balzata dai 52,92 chili del 2016 agli 84,25 del 2018, quella di cocaina dai 369 ai 382 chili. Dal radar degli operatori, però, rimangono escluse le nuove generazioni di consumatori. La droga requisita è solo una piccola parte di quella in circolazione e non esiste un modo per convertirne il peso nel numero di dosi corrispondenti. Impossibile, quindi, avere un quadro preciso della situazione.

Stupefacenti, una questione rimossa. La morte di Flavio e Gianluca a Terni ci ricorda quanto la questione tossicodipendenza sia attuale nella vita di giovani, adulti e famiglie. Ma il dibattito politico e legislativo sulle droghe non riesce a decollare e i servizi sono stati tagliati

Assistenza ridotta al lumicino

Nel 1999, qui è stato fatto uno degli esperimenti più all’avanguardia d’Italia (...) Poi l’anno scorso lo stop: se prima a Roma c’erano tre centri aperti di notte, adesso ne è rimasto solo unoMichele Pellegrino - Medico di base

Quella che senza dubbio è diminuita è l’assistenza, con i servizi per le tossicodipendenze ridotti al lumicino. Si calcola che nel 2013, durante la sindacatura di Gianni Alemanno, il Comune ne abbia chiusi una trentina tra quelli finanziati dall’Agenzia comunale per le tossicodipendenze: un ente istituito da Francesco Rutelli nel 1998 e, sotto Alemanno, finito al centro di una serie di vicende giudiziarie per l’assegnazione poco chiara degli appalti. Oggi è diventato una scatola vuota che ogni giunta promette di smantellare, mentre comunità, centri diurni e notturni, non sono più stati riaperti. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata anche per via della politica nazionale che ha destinato sempre meno risorse alla causa. Un caso lo racconta Michele Pellegrino, medico di base romano, in un giro notturno del quartiere Tuscolano, uno dei più popolosi di Roma con oltre centomila abitanti. L’auto zigzaga tra le strade di periferia e accosta davanti a uno stabile dalle pareti sbrecciate. "Nel 1999, qui è stato fatto uno degli esperimenti più all’avanguardia d’Italia nell’ambito delle tossicodipendenze – ricorda Pellegrino –. Si chiamava progetto Tartaruga e, grazie a una partnership tra pubblico e privato, offriva sia servizi notturni che diurni. Poi l’anno scorso lo stop: se prima a Roma c’erano tre centri aperti di notte, adesso ne è rimasto solo uno".

Invisibili tra gli invisibili

Il lumicino di assistenza si spegne del tutto per i nuovi consumatori, i migranti: invisibili tra gli invisibili. Chi non ha un valido documento d’identità non può usufruire dei servizi: una regola che taglia fuori gli irregolari, ovvero coloro che di fatto ne avrebbero più bisogno. Mauro Falchetti, psicologo della cooperativa Parsec, racconta di una quotidiana lotta tra burocrazia ed esigenze di strada scaldandosi le mani con una tazza di tè in un bar di San Lorenzo, non lontano da via dei Lucani, dove in uno stabile abbandonato al civico 22 nel 2018 è stata trovata morta Desirée: una ragazza di 16 anni, uccisa da un mix di droghe dopo essere stata stuprata. "Se posso inviare un immigrato tossicodipendente in un luogo di cura, a trarne vantaggio è l’intera popolazione. Ma se la legge mi impedisce di lavorarci, le alternative sono tre: o si ammala e propaga un contagio, o impazzisce diventando pericoloso, o muore. Serve una norma che permetta a tutti di essere curati e di accedere agli stessi servizi". Falchetti ha la barba lunga e l’aria di essere abituato alle mediazioni. La frontiera della sua battaglia si trova al confine tra il quartiere della movida e la stazione Termini. Si costeggia un muraglione di cinta, si fa slalom tra un tappeto di siringhe e rifiuti, e ci si imbatte in un accampamento messo su con coperte e cartoni da cui spesso sbuca un volto nuovo. Stavolta è il turno di un ragazzo di pelle nera che non dimostra più di trent’anni. Alle domande risponde solo "sì" o "no" e non riesce nemmeno ad alzare la testa dal materasso. "Sono come i ragazzini degli anni Settanta: iniziano a farsi di eroina senza conoscerne le conseguenze devastanti. Nella droga trovano sollievo dai traumi che hanno vissuto: torture, migrazioni, vita in strada. Tra loro è molto diffuso anche il Rivotril: un economico antiepilettico che, se mischiato all’alcol, dà effetti simili all’eroina. Ma prendono qualsiasi cosa gli capiti a tiro".

Tor Bella Monaca (foto Francesco Rossi)
Tor Bella Monaca (foto Francesco Rossi)

Drogarsi in pausa pranzo

"Non ho particolari problemi famigliari. Ho provato l’eroina a 20 anni e non sono più riuscito a smettere: mi piace troppo. Esco la mattina alle otto per andare al lavoro e torno la sera. Passo qui un’ora e mezza al giorno, poi mi rimetto all’opera. Mai avute rogne con la giustizia: non ho bisogno di rubare, guadagno dai due ai trecento euro al giorno di cui la metà, lo confesso, la spendo qui"Marco - tossicodipendente, 40 anni

C’è un termine che definisce il profilo dei tossici di oggi ed è policonsumatore. Gli eroinomani puri, cioè quelli che si fanno le “pere” e basta, sono diventati roba da museo. Questo è il principale cambiamento rispetto agli anni di Rivolta, quando nella Capitale veniva contato un decesso per eroina al giorno. Vale sia per gli stranieri sia per gli italiani, spiega Carmela Sgrò, psicologa, responsabile dell’unità di strada La Tenda con 15 anni di esperienza sul campo: "Incontriamo persone che all’uso di eroina, affiancano quello di cocaina, di pasticche o psicofarmaci. Un mix ancor più deleterio per la salute dell’assunzione di una singola sostanza, anche se hanno imparato a consumare in modo da non morirne più". Per la dimostrazione pratica, bussare al finestrino di una Panda parcheggiata vicino al McDonald’s di Tor Bella Monaca, periferia "muta e abbandonata di Roma", come titola un reportage del canale tv La7. Sul cruscotto è pronta una siringa di eroina, mentre sul pavimento c’è una bottiglia di plastica con un pezzo di stagnola al posto del tappo e un tubicino di plastica infilato al centro, per il crack. Marco, 40 anni, e Luca, 38, "al paese" hanno una ditta di manutenzione caldaie e da anni, arrivato mezzogiorno, fanno una decina di chilometri per "scendere" in questo parcheggio ombreggiato. "È la nostra pausa pranzo", dice Marco, mentre stringe intorno al braccio un laccio emostatico. "Non ho particolari problemi famigliari. Ho provato l’eroina a 20 anni e non sono più riuscito a smettere: mi piace troppo. Esco la mattina alle otto per andare al lavoro e torno la sera. Passo qui un’ora e mezza al giorno, poi mi rimetto all’opera. Mai avute rogne con la giustizia: non ho bisogno di rubare, guadagno dai due ai trecento euro al giorno di cui la metà, lo confesso, la spendo qui". All’una di un giovedì pomeriggio di febbraio si contano otto macchine e accanto alla Panda staziona un’Alfa Romeo da cui poco prima è uscito un trentenne in jeans, camicia e maglione griffati: ha preso due siringhe per la coca, che sì, si inietta anche in vena.

Le associazioni hanno bocciato proposta di legge presentata da Riccardo Molinari (Lega) per inasprire le pene in materia di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti

Ogni siringa una storia diversa

Qui il consumo, invisibile come certe verità sanno essere, è diventato ordinaria quotidianità nonostante le ripetute operazioni di polizia dirette a colpire la piazza di spaccio di via dell’Archeologia, a meno di dieci minuti a piedi attraversando un parco da poco ripulito dalle associazioni di quartiere. Qui i media puntano i flash quando vogliono fare clamore. La cosiddetta grotta del buco, una piccola insenatura laida in cui c’è gente a tutte le ore, e la scuola materna, che si trova poco distante, rendono questa zona un set perfetto. Salvatore, nel parco, si è appena fatto, è un po’ su di giri ma coglie il punto: "Ho 53 anni, cinque figli e lavoro in tribunale. Ma fanno sempre un unico minestrone sparando a zero: sembra che i tossici siano tutti uguali". "Bisogna entrare nei dettagli di ogni storia, perché dietro ogni siringa che consegno c’è un dramma, una persona malata", aggiunge Claudio Pelliccioni, operatore di Villa Maraini, agenzia nazionale per le tossicodipendenze della Croce rossa italiana, che nello spiazzo ha un camper stabile. Ex tossicodipendente, da quando è riuscito a smettere, fare l’operatore è la sua missione. Anche Luca ne è venuto fuori. Faceva il giardiniere per il comune di Roma con tanto di diploma, poi è arrivata l’eroina e pure i guai: i reati, il carcere, l’affidamento delle quattro figlie con cui i rapporti si sono sfilacciati fino a perdersi, facendolo soffrire. Ha circa sessant’anni e da sette non tocca più nulla: è diventato un salutista che si concede un unico sgarro a settimana, il supplì. Un’altra cosa a cui non rinuncia è la quotidiana chiacchierata con gli operatori dell’unità di strada davanti alla stazione Tiburtina. Oggi è durata più del solito, aveva voglia di raccontarsi. Subito dopo averci salutato, ritorna sui propri passi. "Mi sono dimenticato una cosa troppo importante: dopo essere usciti dalla droga è difficilissimo tornare alla normalità, ricostruire una rete di rapporti". Venire qui lo "aiuta", dice. Poi si allontana, mescolandosi tra la gente in arrivo e in partenza. Di nuovo invisibile.

Da lavialibera n°2 marzo/aprile 2020

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