Droga, una questione rimossa

La morte di Flavio e Gianluca ci ricorda quanto la questione tossicodipendenza sia attuale nella vita di giovani, adulti e famiglie. Ma il dibattito politico e legislativo sulle droghe non riesce a decollare e i servizi sono stati tagliati

Leopoldo Grosso

Leopoldo GrossoPsicologo e presidente onorario del Gruppo Abele

9 luglio 2020

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La morte di Flavio e Gianluca ci ricorda quanto la questione tossicodipendenza sia attuale nella vita di giovani, adulti e famiglie. Nel 2019 un giovane su tre, tra i 15 e i 19 anni, ha provato almeno una droga. Mentre 32 ragazze e ragazzi, tutti con meno di 25 anni, sono morti per overdose. Eppure il dibattito politico e legislativo sulle droghe non riesce a decollare, è inchiodato agli anni Novanta del secolo scorso. Rimane bloccato in uno sfibrante moto pendolare: un continuo andirivieni tra istanze repressive che incombono sullo spaccio al dettaglio e il tentativo di arginarle per non produrre maggiore danno. Lo scontro ideologico-politico, rinvigorito da ogni nuova emergenza, ignora le evidenze dei fatti, principalmente dedito alla ricerca di un tornaconto elettorale che fa perno su ansie e paure che impediscono ogni confronto razionale.

Indifferenza e inadempienze italiane

La situazione di stallo è oggettivamente misurabile: l’Italia, ai margini del confronto europeo, diserta istituzionalmente gli incontri internazionali delegando i funzionari d’ambasciata (come a Vienna in occasione della 62esima Commission on narcotic drugs del 2019); non redige il piano d’azione quinquennale di contrasto alle dipendenze, come richiesto dall’Unione europea; è in debito informativo nei confronti dell’Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze di Lisbona (Emcdda) su tutta una serie di dati non rilevati che precludono un pieno confronto nel continente. A livello nazionale, il Dipartimento per le politiche antidroga, alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, è sostanzialmente svuotato di funzioni: la Conferenza nazionale, prevista per legge ogni tre anni, è inevasa da più di dieci; non si è creata la Consulta degli esperti e degli studiosi per monitorare il fenomeno e formulare proposte; il Comitato scientifico è assente; la stessa relazione al Parlamento slitta nei tempi di presentazione ed è sempre più impoverita nei contenuti.

I tagli ai servizi

"Le prestazioni dei Servizi per le dipendenze (Serd) si caratterizzano prevalentemente nella dimensione medico-farmacologica a scapito di quella psico-socio-riabilitativa"

Dalle inadempienze istituzionali la disattenzione, coniugata ai tagli della spesa nel settore socio-sanitario, ha prodotto un logoramento progressivo dello stato dei servizi per le dipendenze pubblici e del privato-sociale accreditato, che subiscono da anni una continua sottrazione di risorse: il personale in pensione non viene regolarmente sostituito se non in percentuale minima e con contratti precariato; le prestazioni dei Servizi per le dipendenze (Serd) si caratterizzano prevalentemente nella dimensione medico-farmacologica a scapito di quella psico-socio-riabilitativa; la capillarità degli interventi ambulatoriali si riduce a favore di processi di accorpamento territoriale, chiudono le comunità terapeutiche: la domanda di comunità è strozzata per la riduzione del budget per gli inserimenti, che determina in molte situazioni lunghe lista di attesa pur in presenza di posti disponibili. Un intero pilastro delle politiche sulle droghe, la riduzione del danno, è tenuto in stato di estrema precarietà, con interventi spesso ancora frammentati e sporadici. Le Regioni non hanno ancora adottato e tradotto in operatività i Lea (livelli essenziali di assistenza), che dovrebbero in certa misura uniformare le prestazioni sull’intero territorio nazionale.

Dal 2019 in Italia un'associazione si batte per i diritti delle persone che usano droga. Si chiama Itanpud e il suo motto è "Niente su di noi senza di noi"

Il consumo prevale sulle dipendenze

L’arretramento dello stato dei servizi avviene in un contesto di rapido cambiamento della scena della droga. Il fenomeno del consumo, con le sue specificità e rischi, prevale su quello delle dipendenze. Il mercato è passato dalla piazza al domicilio del consumatore e via Internet, mentre l’immissione di sostanze sintetiche aumenta la disponibilità dell’offerta. Il narcotraffico si è ulteriormente articolato, ha configurato nuove alleanze e la coltivazione di cannabis si è estesa in tutta l’Italia. L’epidemiologia delle dipendenze è profondamente mutata, sia col diffondersi della compresenza di patologie tossico-psichiatriche sia dei comportamenti di dipendenza senza sostanze. In questo vuoto programmato di indifferenza istituzionale, la problematica droga acquista attenzione solo se le circostanze impongono episodi di emergenza che catturano l’interesse dei media (ormai non più le morti per overdose o droga-correlate, quanto episodi di cronaca nera).

Un approccio emergenziale e mediatico

La gestione mediatica rimane spesso imprigionata nella rappresentazione del fatto e delle sue cause più prossime, consentendo alle emozioni suscitate dall’evento di trovare lo sbocco più immediato nella richiesta di soluzioni semplificate: l’uso della mano forte verso i consumatori e lo spaccio al minuto.

Nel loop che si viene a creare tra indifferenza istituzionale e ricorrenti contraccolpi mediatici, da ormai trent’anni i governi non battono colpo, oscillando tra tentazioni di schiacciare l’acceleratore sulle politiche meramente penali e i paletti posti dall’Unione europea come con la sentenza Torreggiani, del 2013, contro il sovraffollamento delle carceri italiane e le diverse sentenze della Corte costituzionale (la soppressione della Fini-Giovanardi è la più clamorosa). Non c’è mai stato il coraggio di prendere atto della sconfitta dell’opzione della guerra alla droga e ribaltare la politica della criminalizzazione del consumo, che nella versione estremizzata della tolleranza zero ha finito per delegare all’azione penale l’intera governance del fenomeno.

I tossicodipendenti costituiscono una quota importante dei detenuti che nel 2018 era del 27,94 percento, ma le associazioni denunciano la carenza di assistenza psicologica e servizi negli istituti di pena

I piccoli spacciatori

È cosa nota che piccoli spacciatori costituiscano, a valle, l’ultimo anello della filiera del narcotraffico, così come i contadini afghani o i campesinos della Bolivia, a monte, ne sono i primi. Entrambi sono alla base della piramide del business della droga da cui vengono ricattati e sfruttati. In uno studio condotto a Perugia con la finalità di capire come mai l’Umbria registrasse il più alto numero di overdosi in Italia emerse che nel periodo della ricostruzione successiva al terremoto del ‘97 che aveva colpito quelle zone la piramide del narcotraffico si era così configurata: la camorra campana acquistava dalla ‘ndrangheta calabrese partite di droga che vendeva a sua volta alla mafia nigeriana umbra, che utilizzava giovani maghrebini per la vendita al dettaglio.

I venditori al minuto, cottimisti o meno, cavallini a cui spesso è ordinata la consegna a domicilio, costituiscono uno sterminato esercito di riserva per la criminalità organizzata: sono giovani adulti, talvolta minorenni, che si espongono e che se colti in flagranza “non se la devono cantare”. Solo i più competenti tra loro avranno accesso a qualche possibilità di carriera nell’illegalità, ma non riusciranno a essere più che effimere stelle filanti nel firmamento criminale: i dati indicano che molto presto, ben prima dei loro 30 anni, fanno esperienza del carcere.

L’inutilità di un inasprimento punitivo

La proposta di legge depositata alla Camera da Riccardo Molinari (capogruppo della Lega, ndr) e altri ha come obiettivo la modifica del comma 5 dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, intendendo di fatto eliminare i benefici della fattispecie della lieve entità. L’intenzione è colpire il commercio illegale di cannabis al dettaglio - che, come dimostrano i dati, è ai primi posti sia per persone fermate che per sequestri - con almeno tre anni di reclusione. A fronte di una domanda che in Italia conta tra i 6 e gli 8 milioni di consumatorinon diversamente da altri Paesi europei, risolvere il fenomeno dal punto di vista esclusivamente penale, facendo piazza pulita di ogni percorso alternativo non solo è illusorio, ma controproducente. L’effetto non può che essere l’aumento a dismisura del numero di detenuti. Si consegna in questo modo alla criminalità e alla malavita più organizzata decine di migliaia di giovani, anziché tentare di recuperarli con altri metodi, come dimostrano i ridotti tassi di recidiva per chi compie percorsi alternativi e che puntano al reinserimento e alla reintegrazione sociale. Tra loro non pochi sono ragazzi fragili che inevitabilmente soccombono, nelle loro diverse modalità, all’esperienza della detenzione. Il loro recupero non è mai semplice né immediato e spesso dall’esito incerto. Prognosi più favorevoli si hanno se vengono intercettati più precocemente tra i 21 e i 23 anni, più complicata diventa la progettazione se gli anni in cui si comincia a delineare alternative sono già 24-26. Qualunque siano i percorsi che si riescano a delineare, due sono comunque le condizioni essenziali: evitare la reclusione in carcere e accompagnare a un impegno quotidiano, in grado di riempire la giornata, costruire socialità, sviluppare interessi e favorire l’acquisizione di competenze.

Le associazioni hanno bocciato proposta di legge presentata da Riccardo Molinari (Lega) per inasprire le pene in materia di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti

Non è punire con pene tra tre e sei anni coloro che commettono fatti di lieve entità – come propone il progetto di legge Molinari – e neppure contemplare il carcere per la recidiva per fatti di lieve entità – come fa intravedere il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese con una mediazione al ribasso – che ci si dota di una seria politica sulle droghe. Né per questa strada si può pensare di aiutare ragazzi e giovani adulti che si sono smarriti o sono stati catturati dalla criminalità nel mare magnum dello spaccio al dettaglio di hashish e marijuana, sostanze per le quali si stanno sperimentando, in molte parti del mondo, ben altre opzioni per farvi fronte con modalità più indolori.

Da lavialibera n°2 marzo/aprile 2020

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