Aggiornato il giorno 4 gennaio 2021
"C’è qualcuno che vuole far vedere come si fa?". Si cerca un volontario che prepari una siringa per l’iniezione di una dose di eroina, ma nonostante ci siano alcuni habitué del buco, nessuno si fa avanti. La sostanza non c’è, si tratta di usare un po’ d’acqua per mostrare l’uso di un kit usa e getta: un piccolo contenitore in alluminio per sciogliere la dose, un filtro in cui infilare l’ago per togliere le “porcherie” dalla “roba”, infine un cerotto per chiudere il buco. "Greta non sarà contenta", ironizza qualcuno riferendosi ai materiali da buttare. "C’è un contenitore più grande? – domanda un altro venuto a prendere qualche siringa nuova –. A me non basta". Siamo in una saletta dell’ospedale Amedeo di Savoia, a Torino, nelle stanze del “drop in”, un servizio che si occupa di riduzione del danno. È il pomeriggio del 12 febbraio ed è in corso un incontro organizzato da Itanpud, la rete italiana di "persone che usano droghe" (“people who uses drug”, da cui la sigla “pud”), costituita formalmente nell’agosto 2019.
Il suo presidente, Alessio Guidotti, ha 51 anni. È arrivato da Roma per spiegare ai partecipanti alcune novità in materia di “buco”. Le associazioni “pud” sono nate nel Nord Europa, in Italia muovono ora i loro primi passi. "Vorremmo che le istituzioni coinvolgano le associazioni 'pud' nella fase di scrittura dei servizi rivolti ai tossicodipendenti", spiega a lavialibera. L’obiettivo è che i tossicodipendenti rappresentino se stessi al motto "Niente su di noi senza di noi". "La repressione può fare più danni delle stesse sostanze – continua Guidotti –. Prendiamo il ritiro della patente: questa sanzione può far perdere il lavoro e ridurre sul lastrico, rovinare i rapporti sociali. La patente andrebbe tolta solo se è dimostrato che si fanno effettivamente danni, altrimenti è un dispetto che non tende alla riabilitazione".
Proviamo a seguirlo nel ragionamento: "C’è un consumo che si integra con un sistema di vita accettabile, una forma di dipendenza gestita che non fa perdere lavoro, famiglia e rapporti sociali. Parliamo di cannabis, ma vale anche per chi fa un uso controllato delle 'sostanze della notte' o, in casi più rari ed estremi, di eroina e cocaina in un periodo della vita. È un po’ come usare un anestetico per vivere. Invece regna ancora la vecchia idea per cui il tossicodipendente è un malato da assistere. In questo modo la persona che usa sostanze si autostigmatizza, anziché imparare a dire la sua". È una questione di “empowerment”, cioè di crescita di consapevolezza, potere e responsabilità. L’incontro cui assistiamo rientra in questo progetto: gli eroinomani possono prendere gratuitamente alcuni kit usa e getta ed entro una settimana devono dare la loro opinione. Non è soltanto una questione di servizi, dispositivi medici o altro, poiché si parla di diritti. "Il fenomeno della droga l’ho vissuto in tanti modi" racconta Guidotti, che ha conosciuto anche il carcere: "Dopo la detenzione per stupefacenti ho ripreso gli studi e ho avuto la fortuna di conoscere la Fondazione Basaglia – ricorda –. Franco Basaglia è stato capace di eliminare lo stigma dal malato psichiatrico. Non l’abbiamo ancora fatto con le tossicodipendenze".
Da lavialibera n° 2 marzo-aprile 2020
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