Vincenzo Muccioli, fondatore di San Patrignano (foto Netflix)
Vincenzo Muccioli, fondatore di San Patrignano (foto Netflix)

Effetto SanPa, tante parole ma politica ferma

La docuserie di Netflix su San Patrignano ha riacceso il dibattito su droghe e tossicodipendenze. I politici hanno difeso ancora Muccioli, ma per gli esperti del settore resta molto altro da fare

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

29 marzo 2021

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Non è bastato SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano per smuovere la politica. Nonostante il successo della docuserie di Netflix e l’interesse suscitato, tolte tutte le dichiarazioni di esponenti della destra (Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Maurizio Gasparri e molti altri) a difesa della comunità e del suo fondatore, Vincenzo Muccioli, il dibattito politico si è guardato bene dal tornare seriamente sulla questione droghe, l’uso e l’abuso di sostanze o le condizioni dei tossicodipendenti oggi. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, ad esempio, non ha ancora affidato le deleghe per le politiche antidroga. Poi ci sono dimenticanze ormai “storiche”.

Sanpa e l’emergenza scomparsa

Cosima Spender, regista della docuserie SanPa, insieme agli autori (Foto Netflix)
Cosima Spender, regista della docuserie SanPa, insieme agli autori (Foto Netflix)

“La serie SanPa è un prodotto fatto molto bene, anche visto con gli occhi di chi lavora nei servizi per le dipendenze – dice Anna Paola Lacatena, dirigente sociologa al Dipartimento dipendenze patologiche dell’Asl di Taranto e coordinatrice del gruppo “Questioni di genere e legalità” per la Società italiana delle tossicodipendenze –. Ha acceso i riflettori su un’area che era poco trattata ed è un merito”. “Ha fatto più Sanpa che noi in venti anni”, è l’amara constatazione di Leopoldo Grosso, psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele, circa la capacità di rilanciare il dibattito. “Sanpa era un’occasione, ma non è bastata a provocare uno scatto nella discussione su uso, consumo, abuso e dipendenza”, sostiene Riccardo De Facci, presidente della Conferenza nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca). Il mondo è cambiato, ma la legge principale in materia – il testo unico sulla droga, il dpr 309/90 –  risale a più di trent'anni fa: “In quegli anni c’erano circa 1.300 morti l’anno di overdose. Tra il 50 e il 60 per cento delle persone in carico ai servizi socio-sanitari avevano l’Hiv – prosegue De Facci –. Oggi ci sono circa 200mila persone l’anno agganciate dai Servizi per le dipendenze (Serd) e dalle comunità terapeutiche, sono un residuo di un fenomeno, e non ci si chiede perché un terzo degli studenti italiani sostenga di aver consumato droghe, soprattutto cannabinoidi, e soltanto in percentuali molto piccole eroina, coca o nuove sostanze”. “Quando una categoria di persone diventa meno problematica, scompare – sostiene Lorenzo Camoletto, operatore del Drop in del Gruppo Abele e presidente della sezione piemontese del Cnca –. Prima c’era l’emergenza per l’eroina a cui si univa quella per l’Hiv. Passata l'emergenza, il tema delle sostanze ha perso importanza”.

"Note e sogni a margine di SanPa". La riflessione di Fabio Anibaldi Cantelli, firma de lavialibera e tra i protagonisti della docuserie

Denunce, arresti, processi e poi forse la cura

"Siamo armati di tutto punto per sparare a un topolino. Il rischio è che il consumatore incontri prima un poliziotto e soltanto dopo un educatore"Riccardo De Facci - Presidente Cnca

È quindi cambiato il paradigma: “All’epoca avevano individuato un unico modo per contrastare la situazione: la denuncia, l’arresto e poi dopo la cura – riprende De Facci –. Oggi invece arrivano ai servizi molti giovani consumatori beccati con quantità minime, soprattutto hashish o marijuana. Siamo armati di tutto punto per sparare a un topolino. Il rischio è che il consumatore incontri prima un poliziotto e soltanto dopo un educatore”. L'uso è ancora fortemente criminalizzato. Guardiamo alcuni dati, relativi ai primi undici mesi del 2020, della Direzione centrale dei servizi antidroga, l’organismo che coordina le forze di polizia nel contrasto ai traffici di droga: i giovani tra i 15 e i 19 anni arrestati sono stati 1.061 e quelli della fascia d’età 20-24 sono stati 2.707, rispettivamente l’8,14 per cento e il 20,77 per cento degli arrestati totali per fatti di lieve entità (13.031 persone). Per i casi più gravi, i giovani della prima fascia finiti in manette sono stati 121 e quelli della fascia superiore 579 su un totale di 4.264 arrestati. Gli effetti di queste politiche sono evidenti se si prende in considerazione la popolazione carceraria: alla fine del 2019 i detenuti per reati legati alla droga erano 21.213, più di un terzo dell’intera popolazione carceraria, sottolineava il Dipartimento per le politiche antidroganella sua ultima relazione. Tra questi una gran parte sono reclusi tossicodipendenti, quasi un quarto del totale. 

Cosa è successo nelle carceri italiane con la pandemia? Guarda l'infografica

“Tolta la Fini-Giovanardi del 2006, che equiparava droghe pesanti e leggere, bocciata dalla Corte costituzionale nel 2014, la normativa di riferimento è rimasta quella del 1990 – ricorda Lacatena –. Se in Italia uno viene trovato col fumo, viene segnalato alla prefettura, deve comparire davanti a una commissione e poi andare al Serd. Ma perché deve presentarsi prima davanti a rappresentanti del ministero dell’Interno? In Portogallo si finisce invece prima davanti a una commissione composta da sanitari”. Quello portoghese è un modello che l’esperta suggerisce nel suo libro, La polvere sotto al tappeto. Il dibattito pubblico sulle droghe tra evidenze scientifiche e ipocrisie (Carocci 2021), di cui donerà cento copie a cento parlamentari nella speranza di risvegliare una riflessione.

Per Leopoldo Grosso, quella della droga "è una questione rimossa"

Tra abolizione della "lieve entità" e legalizzazione, le proposte al vaglio

La Lega vuole arresti anche per casi di possesso di "lievi entità", ma in questo caso si finisce in cella 7 volte su 10. Per la Dcsa "non (è) essenziale un ulteriore irrigidimento del sistema"

Eppure per qualcuno questo livello di criminalizzazione non è ancora abbastanza. La Lega vorrebbe inasprire ulteriormente le leggi. Alla Camera dei deputati la commissione Giustizia sta valutando la proposta di legge di Riccardo Molinari i cui obiettivi sono: a) aggravare le pene anche per la detenzione di “lieve entità” prevedendo l’arresto obbligatorio per chi venga colto in flagrante; b)eliminare la possibilità di scontare la condanna con modi alternativi al carcere. Le voci contrarie non sono mancate, ma sul punto è interessante sentire cos'ha da dire chi ogni giorno è chiamato a contrastare spaccio e traffici. Audito il 17 dicembre scorso dalla commissione, il direttore della Dcsa, Antonino Maggiore, ha definito "non essenziale un ulteriore irrigidimento del sistema con riguardo alla misura precautelare dell’arresto”, visto che 7 volte su 10 la polizia arresta i responsabili anche in situazioni di "lieve entità". Anche il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, che auspica “un intervento legislativo mirato ad aggiornare in modo organico e sistematico l’intero complesso normativo sulle sostanze stupefacenti”, sostiene che la proposta Molinari può avere effetti negativi: “Anziché dedicarsi con lo stesso impegno alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico internazionale di stupefacenti, ci si potrebbe accontentare, anche per il maggior frutto che se ne ricaverebbe sul territorio, degli arresti degli ultimi anelli della filiera”. Dalle modifiche proposte deriverebbe invece “un aumento e un appesantimento del carico giudiziario”.

Ascoltate dalla commissione Giustizia, le associazioni si sono schierate contro l'abolizione della "lieve entità"

Opposta alla proposta Molinari, c’è quella presentata da Riccardo Magi, deputato di +Europa: “La mia proposta, sottoscritta da altri 30 deputati di varie formazioni, vuole rafforzare la distinzione tra le sostanze, decriminalizzare la coltivazione per uso personale evitando anche sanzioni amministrative”, sintetizza. Il deputato ha cercato di rilanciare la trattazione: “Abbiamo fatto richiesta affinché l’iter prosegua, si arrivi a un testo unificato approvato dalla maggioranza e si continui l’esame”. Lo scorso 19 marzo anche il movimento delle Sardine ha tentato di rilanciare il tema della liberalizzazione della coltivazione domestica della cannabis per uso personale aderendo all’appello lanciato da iocoltivo.eu al presidente della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni e agli altri componenti.

Andando a leggere i resoconti delle audizioni, si legge che la comunità di San Patrignano ha espresso “una forte contrarietà” alla proposta Magi: “Parlare continuamente di legalizzazione in maniera troppo semplicistica ha contribuito ad abbassare notevolmente la percezione del rischio e ha favorito il crollo a 14 anni dell’età media del primo contatto con le droghe. Inoltre è scientificamente provato che la cannabis provoca i danni maggiori proprio nell’età dello sviluppo, dal rallentamento dello sviluppo cerebrale e quindi dell’apprendimento e della capacità mnemonica, allo sviluppo di disturbi psicotici”.

Il nodo della maggioranza di Draghi

La legalizzazione della cannabis è una questione matura, ma non si potrà affrontare perché nel governo c’è la Lega di Matteo Salvini”. Secondo De Facci, non sarà facile rilanciare il dibattito nella politica: “Sono temi ancora divisivi all’interno dei partiti stessi. Sanpa tocca la carne viva di una politica ancora attuale, coi Giovanardi, i La Russa, Gasparri e alcuni giornalisti e giornali che hanno eretto dei totem”. “Non ci è ancora chiaro quale sarà il metodo di lavoro della maggioranza – sostiene Magi –, tuttavia la ministra della Giustizia Marta Cartabia fu la giudice relatrice della sentenza della Corte costituzionale sulla Fini-Giovanardi”, cioè la sentenza che dichiarò illegittima l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere prevista. Non è finita. “Cartabia ha anche indicato l’importanza della depenalizzazione, non si sa se riferita anche alle leggi sugli stupefacenti, per avere un effetto deflattivo sulle carceri”, aggiunge Magi.

Gli altri nodi: la conferenza sulle droghe e i servizi

“I servizi pubblici sono depotenziati per mancati investimenti e contrazione del numero degli operatori. La riduzione del danno, prevista tra i pilastri della guerra alla droga dell’Ue, è rientrata nei livelli essenziali di assistenza, ma ad oggi non è stata ancora finanziata”Anna Paola Lacatena - Dirigente sociologa del Dipartimento dipendenze patologiche Asl Taranto

Dal 2009 il governo non convoca più la conferenza nazionale sulle droghe a cui partecipano "soggetti pubblici e privati" attivi "nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza". Dopo anni di silenzio e sollecitazioni, un anno fa a Milano doveva tenersi la prima conferenza autoconvocata sulle droghe, ma la pandemia ha fermato tutto. Adesso Sanpa ha dato il pretesto agli attori del settore di confrontarsi (come nei webinar organizzati dal Forum Droghe) ed è stata rilanciata l’iniziativa della conferenza autoconvocata in autunno “perché sentiamo che il governo non se ne occuperà”, dice De Facci. "Non ero tanto dell’idea di fare una conferenza autoconvocata  – sostiene Grosso –, sostenevo più l’idea di convocarla con le istituzioni, ma con questo esecutivo vedo meno chance perché ci sono troppe contrapposizioni all’interno e quello della droga è un tema che divide”.

La conferenza avrebbe molti temi e spunti da dare alla politica. Perché una volta trattata la questione “repressiva”, bisogna parlare di un altro importante aspetto, l’assistenza sanitaria e sociale: "Bisogna togliere dal carcere i consumatori di droga – afferma Camoletto –, fare un percorso di emersione del consumo ludico delle sostanze derivate dalla canapa come marijuana e hashish, con cui da una parte si toglierebbero risorse al crimine e dall’altra se ne otterrebbero di più per i servizi come la riduzione del danno", cioè le pratiche per diminuire i pericoli del consumo di droghe, come ad esempio la distribuzione di siringhe nuove per evitare la trasmissione di malattie. “I servizi pubblici sono depotenziati per mancati investimenti e contrazione del numero degli operatori – aggiunge Lacatena –. La riduzione del danno, prevista tra i pilastri della guerra alla droga dell’Ue, è rientrata nei livelli essenziali di assistenza (i Lea, cioè i servizi minimi da garantire, ndr), ma ad oggi non è stata ancora finanziata”. Grosso sottolinea un aspetto: “La territorialità e la prevenzione sono state trattate da cenerentola: ci vuole un’organizzazione della prevenzione sul territorio a tutti i livelli e ci vuole la riduzione del danno”. Le famiglie dei tossicodipendenti si trovano in difficoltà anche per l'assenza di servizi e l'impossibilità di trovare un posto nelle comunità. Uno degli effetti collaterali positivi della pandemia, invece, è l’aver dimostrato l’importanza di una sanità presente sui territori.

Ci sono poi domande più profonde, che né la depenalizzazione né forme più o meno blande di medicalizzazione o rieducazione riescono ad affrontare: cosa le persone cerchino, ancora oggi, nel consumo di droghe: "Che bello sarebbe se si cominciasse ad affrontare la questione non più solo da un’angusta prospettiva psico-sociale, come si continua a fare da cinquant’anni, ma avendo riconosciuto la relazione metafisica, metastorica – arrivo a dire ontologica – tra tossicomania e ricerca di felicità", scrive Fabio Cantelli Anibaldi, tra i protagonisti della serie SanPa e scrittore. Ma su questo c'è ancora molta più strada da fare. 

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