A sinistra, Franco Boiocchi con Franco Caravita. In centro, lo stadio Giuseppe Meazza a San Siro. A destra, Luca Lucci (Facebook, Wikipedia, Instagram)
A sinistra, Franco Boiocchi con Franco Caravita. In centro, lo stadio Giuseppe Meazza a San Siro. A destra, Luca Lucci (Facebook, Wikipedia, Instagram)

Vittorio Boiocchi e Luca Lucci, capi ultras a Milano, ma non solo

A forza di pugni hanno conquistato il potere sugli spalti, Vittorio Boiocchi, capo ultras dell'Inter ucciso il 29 ottobre, e Luca Lucci, leader della curva del Milan, ma la loro forza arriva dalle attività illecite fuori dallo stadio di San Siro. "Spesso i capi ultras sono persone che hanno una 'struttura' e all'interno dello stadio la accelerano", spiega il questore di Milano Giuseppe Petronzi

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

4 dicembre 2022

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Uscito di prigione si è ripreso la curva a pugni. L’altro ha cominciato la sua scalata dopo l’arresto del capo e l’ha mantenuta a forza di pugni. Entrambi, dagli spalti delle curve opposte dello stadio Giuseppe Meazza di San Siro (Milano) – il primo la Nord, il secondo la Sud – guidavano i tifosi più irriducibili di Inter e Milan. Pregiudicati per fatti di droga, daspati (cioè sottoposti al divieto di accesso alle manifestazioni sportive), sorvegliati speciali, Vittorio Boiocchi e Luca Lucci sono più che dei capi ultras, pedine del mondo criminale milanese invischiati in traffici e in contatto con uomini delle organizzazioni malavitose, anche mafiose. Boiocchi è stato ucciso il 29 ottobre scorso, mentre Lucci negli ultimi tempi ha accumulato arresti per traffici di droga, qualche condanna e una sorveglianza speciale, ma resta il leader carismatico dei Banditidella curva Sud.

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Chi era Vittorio Boiocchi, capo della curva Nord dell'Inter

La sera di sabato 29 ottobre 2022 in via Fratelli Zanzottera, alla periferia di Milano, Boiocchi è stato ucciso. Stava rientrando dalla zona dello stadio, dove era in programma Inter-Sampdoria, mentre avrebbe dovuto tenersi almeno a due chilometri di distanza dal Meazza, come previsto dalla sorveglianza speciale

A rileggere la sua vita si fatica a capire chi era Vittorio Boiocchi, a separare la figura dell’ultrà dell’Inter – fondatore del gruppo Boys che domina la curva Nord del Meazza – dalla trentennale carriera criminale. Secondo gli investigatori, è legato a quest’ultima la ragione del suo omicidio, avvenuto la sera di sabato 29 ottobre 2022 in via Fratelli Zanzottera, alla periferia di Milano. Stava rientrando dalla zona dello stadio, dove era in programma Inter-Sampdoria, mentre avrebbe dovuto tenersi almeno a due chilometri di distanza dal Meazza, come previsto dalla sorveglianza speciale imposta dai giudici. Chi ha ucciso Boiocchi l’ha seguito mentre tornava a casa e l’ha avvicinato quando era da solo, per poi sparargli cinque colpi e darsi alla fuga insieme a un complice. Storie di droga, estorsioni, bagarinaggio, racket dei parcheggi o dei paninari intorno allo stadio? Gli investigatori della squadra mobile e della Digos della questura di Milano sono al lavoro. Secondo l’Ansa, gli inquirenti hanno deciso di setacciare anche le sue finanze. Tra l’altro, il nome di Boiocchi è emerso in un’altra indagine della procura su possibili ricatti al club nerazzurro, legati al business dei biglietti, che possono alimentare il bagarinaggio.

Trent’anni di crimini e carcere

Boiocchi era uscito dal carcere nel giugno 2018, dopo 26 ininterrotti anni di detenzione. Eppure, notano investigatori e magistrati, non aveva mai cambiato vita. I suoi primi precedenti datano agli Settanta: storie di rapine, estorsioni e spaccio. “Boiocchi Vittorio annovera reati già nel 1974 con una serie di rapine a mano armata e ha riportato un totale di 10 condanne definitive per reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, porto e detenzione illegale di armi, nonché rapina, sequestro di persona e furto”, scrive la polizia. Come tifoso, appartiene al gruppo dei Boys San. In quegli anni nelle curve si vedono frange con nomi ispirati dalla politica di estrema sinistra, ma stavolta è diverso: i Boys sono stati fondati nel 1969 da Gilberto Cavallini, poi terrorista nero dei Nuclei armati rivoluzioni (Nar, gli stessi di Giusva Fioravanti e Mambro, condannati per la strage della stazione di Bologna e altri omicidi, e di Massimo Carminati) e alcuni anni dopo hanno aggiunto la sigla “San”, acronimo di “Squadre armate nerazzurre” ispirato alle “Squadre armate mussoliniane”, attive nel Dopoguerra e negli Anni di piombo.

“È inquietante questa presenza di spacciatori di droga tra i tifosi che vanno allo stadio, Boiocchi è un personaggio di spicco della criminalità organizzata ed è un ex dei Boys interisti. I suoi legami con gli altri capi del tifo finiti ora in carcere erano molto stretti. È evidente che la criminalità organizzata è molto vicina a noi e che il calcio è un terreno molto fertile per lo smercio della droga”

Maria Rosaria Sodano - pm Dda Milano

Le prime cronache relative ai suoi problemi con la giustizia risalgono all’inizio degli anni Novanta, quando Boiocchi viene coinvolto nell’inchiesta Nord-Sud sulle organizzazioni legate a mafia e ‘ndrangheta a Milano. Entra in carcere nel 1993 e accumula processi e condanne, anche perché in cella non si placa.

Nel 1994, detenuto a Vicenza, entra in contatto con Felice Maniero, il boss della Mala del Brenta, l’organizzazione criminale mafiosa attiva in Veneto (e in generale nel Nord Est). Insieme ad altri detenuti, Boiocchi e Maniero, con la complicità di due agenti della polizia penitenziaria, preparano un piano per evadere dal carcere, ma vengono scoperti.

Il 18 gennaio 1996 Boiocchi viene condannato a 12 anni di reclusione, insieme ad altre ventidue persone, per un traffico di cocaina dalla Colombia. Anche se detenuto, si mantiene attivo tra traffici e tifo. In quello stesso anno fa anche da tramite per l’acquisto di hashish e cocaina da parte di altri tre ultras della curva nord interista (due dei quali militanti dell’estrema destra), droga che era stata venduta sugli spalti. Il caso emerge nel novembre 1997, quando i carabinieri coordinati dalla Dda di Milano arrestano otto persone per spaccio: “È inquietante questa presenza di spacciatori di droga tra i tifosi che vanno allo stadio, Boiocchi è un personaggio di spicco della criminalità organizzata ed è un ex dei Boys interisti – sosteneva all’epoca la pm dell’Antimafia Maria Rosaria Sodano –. I suoi legami con gli altri capi del tifo finiti ora in carcere erano molto stretti. È evidente che la criminalità organizzata è molto vicina a noi e che il calcio è un terreno molto fertile per lo smercio della droga”.

I tanti procedimenti penali a carico di Boiocchi hanno esiti alterni. Ad esempio, viene assolto in primo grado per lo spaccio a San Siro, e poi condannato in appello. Nel giugno 2000, si becca anche una condanna a 14 anni di reclusione per rapina e nel 2003 ne arriva una a 20 anni per traffico di stupefacenti: era ritenuto il responsabile finanziario di un’organizzazione che importava coca dalla Colombia ed eroina dalla Turchia, un’organizzazione a cui partecipavano anche due fratelli del clan Fidanzati, tramite i quali era in contatto con uomini di Cosa nostra.

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Il ritorno in libertà

“(Boiocchi) ha dimostrato di non essersi affatto allontanato dagli ambienti criminali a cui ha sempre fatto riferimento (...) dimostrando altresì l’assoluta inefficacia rieducativa del lungo periodo detentivo a cui è stato sottoposto”Tribunale di Milano, sezione Misure di prevezione

Dal carcere esce nel giugno 2018, dopo aver ottenuto un affidamento ai servizi sociali, ma le forze di polizia lo trovano spesso in compagnia di altri pregiudicati. Boiocchi, annota la questura di Milano, “ha dimostrato di non essersi affatto allontanato dagli ambienti criminali a cui ha sempre fatto riferimento (...) dimostrando altresì l’assoluta inefficacia rieducativa del lungo periodo detentivo a cui è stato sottoposto”.

Ad esempio, il 27 luglio 2020 viene controllato in un bar di via Correggio insieme a Vincenzo Facchineri, uomo dell’omonima ‘ndrina, e Antonio Francesco Canito, originario di San Severo (Foggia), ritenuto vicino alla malavita foggiana. Ciononostante, il 29 ottobre 2020 il tribunale di Milano revoca la sorveglianza speciale “poiché, alla data dell’udienza, non erano emersi contatti rilevanti con contesti criminali, risultando solo essere stato controllato con soggetti attinti da meri precedenti di polizia, e comunque non connessi al traffico di sostanze stupefacenti, né alla perpetrazione di gravi reati contro il patrimonio”. Libero di spostarsi e di vedere chi vuole. Ma non per molto.

Le cronache tornano a occuparsi di Boiocchi nel settembre 2019, dopo una lite con Franco Caravita, altra figura storica degli hooligans nerazzurri. Boiocchi picchia Caravita e si riprende il controllo del gruppo Curva Nord 69 (Cn69). Poco dopo accusa un infarto e finisce in ospedale. Il 16 settembre Caravita va a trovare l’amico-rivale e i due si fanno scattare una foto abbracciati, mostrando il dito medio: pace siglata, sembrano dire.

Essere capi di una curva, d’altronde, vuol dire anche controllare alcune attività “al limite” e gestire molto denaro tra biglietti, trasferte e altri affarucci vari, come il racket sui paninari o sui parcheggi intorno allo stadio: “Faccio 80 mila euro al mese con biglietti e parcheggi”, diceva Boiocchi nel 2021, intercettato. La procura, tuttavia, ordina un’attività costante di monitoraggio (così riporta l’Ansa) delle frange più organizzate e violente delle tifoserie, anche alla luce di un episodio molto più sanguinoso: gli scontri tra ultras dell’Inter (coadiuvati dagli ultras del Varese e del Nizza) contro quelli del Napoli del 26 dicembre 2018, durante i quali perse la vita Daniele Belardinelli, uno dei leader varesotti.

L'ultima condanna e la sorveglianza speciale a Boiocchi

Il 3 marzo 2021 gli agenti della questura milanese lo fermano insieme a un pregiudicato, Paolo Cambedda, a bordo di un’automobile rubata. Con loro avevano una pistola calibro 38 con cartucce, pettorine della Guardia di finanza, manette, uno storditore elettrico, un binocolo e dei guanti da lavoro. Per quell’episodio Boiocchi e Cambedda sono condannati a tre anni, ma l’inchiesta porta alla scoperta di un tentativo di estorsione che, il 22 giugno 2022, sfocia in altri arresti.

“La storia personale di Boiocchi risulta contraddistinta dalla sistematica consumazione di gravi reati contro il patrimonio e la persona, in materia di traffico internazionale ad alti livelli criminali di sostanza stupefacente, dalla coltivazione di forti legami con personaggi di spicco della delinquenza organizzata mafiosa legata a Cosa Nostra e alla cosiddetta 'mafia del Brenta'”

Pochi mesi dopo quell’episodio, su richiesta della questura, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano– presidente Fabio Roia – applica al capo ultras nerazzurro la sorveglianza speciale anche per “spezzare quel legame pericoloso esistente fra Boiocchi Vittorio e la tifoseria interista anche al fine di tutelare i soggetti legati al mondo degli ultrà che non presentino caratteristiche criminali”. Per i giudici Boiocchi era incapace “di imbastire un progetto di vita alternativo rispetto a una carriera deviata che lo ha visto detenuto” dal 1992 al 2018.

“La storia personale di Boiocchi” risulta “contraddistinta dalla sistematica consumazione di gravi reati contro il patrimonio e la persona, in materia di traffico internazionale ad alti livelli criminali di sostanza stupefacente, dalla coltivazione di forti legami con personaggi di spicco della delinquenza organizzata mafiosa legata a Cosa nostra e alla cosiddetta 'mafia del Brenta', dalla imposizione di un ruolo di dominio nell'ambito della tifoseria ultrà soprannominata Curva Nord”.

I giudici menzionano anche due episodi del 2020. Il primo è la protesta del 1° marzo, a cui “hanno partecipato numerosi soggetti pregiudicati e sorvegliati speciali”, davanti alla sede della Lega Calcio a Milano, contro la decisione di rinviare cinque partite di campionato compresa quella dei nerazzurri contro la Juventus, inizialmente prevista a porte chiuse, a causa dell'emergenza Coronavirus. Pochi giorni dopo, il 7 marzo, ad Appiano Gentile (Varese), ai campi di allenamento dell’Inter, si ritrova insieme ad altri quattrocento ultras, “ancora una volta in violazione della normativa in materia di emergenza sanitaria e potenzialmente detonatrice di ulteriori focolai epidemici”, per incitare la squadra in partenza per Torino, dove avrebbe dovuto giocare contro la Juventus a porte chiuse.

Il 31 marzo 2022 la Corte di cassazione ha confermato la sorveglianza speciale per due anni e sei mesi. La difesa sosteneva che il decreto antimafia del 2011, nella parte in cui regola la sorveglianza speciale e le misure di prevenzione, non includeva gli stadi tra i luoghi da evitare, ma l’obiezione è stata respinta. Così, sulla base di quella decisione, Boiocchi non avrebbe dovuto lasciare il suo domicilio senza aver comunicato lo spostamento alle autorità, né avrebbe potuto partecipare a riunioni in luoghi pubblici, andare al bar nei paraggi di San Siro, soprattutto nel giorno di una partita. Fino alla fine Boiocchi ha violato le norme.

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Chi è Luca Lucci, capo della curva sud del Milan

17 dicembre 2018, l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini insieme a Luca Lucci, capo ultras del Milan condannato per lesioni gravissime e spaccio (Matteo Bazzi/Ansa)
17 dicembre 2018, l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini insieme a Luca Lucci, capo ultras del Milan condannato per lesioni gravissime e spaccio (Matteo Bazzi/Ansa)
“Non c'è bisogno degli schiaffi per farsi rispettare. Basta la persona, basta la parola” Carlo Giovanni Capelli, detto "Il Barone" - storico rappresentante della curva rossonera

Dice “il Barone”, al secolo Carlo Giovanni Capelli, figura storica del tifo rossonero, che Luca Lucci era riuscito a unificare la curva dopo un periodo di divisione, fino a diventarne il leader indiscusso, quello immortalato il 16 dicembre 2018 mentre stringe la mano all’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini durante la festa dei 50 anni dei tifosi del Milan.

A quella curva guardavano con ammirazione alcuni ex ultras della Juventus, inseriti nell’associazione “Quelli di via Filadelfia”, in viaggio l’11 maggio 2022 verso Roma per la finale di Coppa Italia contro l’Inter: quelli del Milan – dicevano tra di loro – erano riusciti a creare una curva unita e forte, capace di farsi vedere e sentire, come la curva della Juve non fa da anni, dopo le inchieste sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta e i ricatti alla società. Ed è vero: gli ultras milanisti, quando si muovono, vestiti tutti di nero, sanno impressionare per la compattezza e le coreografie. Per guidarli, a detta del “Barone”, a Lucci, detto “il Toro”, fisico e profilo da pugile, non serve la violenza: “Non c'è bisogno degli schiaffi per farsi rispettare. Basta la persona, basta la parola”, ha detto ai giudici di Milano.

Eppure, eppure… la carriera di Lucci dimostra altro. “È conosciuto alle forze di polizia per la sua partecipazione ad episodi violenti legati al mondo degli ultras, con particolare riguardo alla tifoseria organizzata dell’Ac Milan, essendo il leader del gruppo ultras denominato ‘Curva Sud’. Inoltre, Lucci è emerso in diverse indagini come soggetto implicato nel traffico di sostanze stupefacenti gestito dalla criminalità organizzata, essendo stato più volte segnalato quale affidabile intermediario ovvero acquirente di grossi quantitativi riservati alla vendita al dettaglio”, si legge nell’ordinanza del Tribunale di Milano che nell’estate 2020 applicava la sorveglianza speciale, confermata dalla Cassazione nel maggio 2022.

Semplice elettricista e l’auto della madre

Il nome di Lucci spunta per la prima volta nel 2006. All’epoca è un semplice elettricista di 25 anni che lavora in una ditta di Bergamo, ma nel tempo libero coltiva altri interessi. La sua storia si intreccia alla morte di un’avvocata, Marianna Spinella, penalista di 31 anni con alle spalle alcuni flirt con uomini della malavita, uccisa sul pianerottolo di casa il 31 ottobre. Pochi mesi dopo un uomo, un pentito vicino alla ‘ndrangheta, racconta di aver commesso l’omicidio per conto dell’amante della donna, un rapinatore, e di aver utilizzato per la fuga un’automobile che gli era stata procurata da un trafficante di droga, il quale a sua volta l’aveva ricevuta in prestito da un suo cliente e collaboratore, Lucci. L’auto, un’utilitaria francese di colore nero, apparteneva alla madre di quest’ultimo. Sebbene la difesa di Lucci contesti questa ricostruzione, emerge un dato di fatto: già nel 2006 il “Toro” era inserito nel giro dello spaccio. E dello stadio.

La scalata della curva Sud

All’epoca Lucci fa parte del direttivo degli ultras della curva Sud, un colonnello del capo indiscusso, Giancarlo "Sandokan" Lombardi dei Guerrieri ultras, gruppo che ha preso il dominio dopo un agguato a Leonardo Avignano, leader dei rivali Commandos Tigre, il 16 ottobre 2006: “È proprio in quest'ambito che Lombardi – secondo quanto indicato nelle informative – si pone come personaggio di riferimento per lo spaccio di sostanze stupefacenti sia nei locali pubblici più in voga nel milanese, sia all'interno della Curva del Milan”, si legge nel decreto della sorveglianza speciale a Lucci.

Il 22 maggio 2007 Lombardi viene arrestato insieme ad altri ultras milanisti, a pochi giorni della finale di Champions League tra Milan e Liverpool ad Atene. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzati all’estorsione ai danni del club presieduto da Silvio Berlusconi. Nell’autunno 2006, per ottenere biglietti, abbonamenti e pass dalla società, avevano messo in atto una strategia di ricatto fatta di disordini e lancio di fumogeni e torce per le quali il Milan avrebbe dovuto pagare delle multe. Se la società avesse risposto alle loro richieste dei Guerrieri ultras, l’atteggiamento sarebbe cambiato. Nel 2015 Lombardi è stato condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per tentata estorsione.

Lucci è molto vicino al “Sandokan” al punto che, dopo l’arresto e il Daspo al capo, ne prende il posto in curva e nel settore dello spaccio. Il 15 febbraio 2009 è tra gli ultras del Milan che, durante il derby, scendono dal secondo anello per aggredire alcuni tifosi interisti, una missione punitiva contro chi aveva cercato – a detta dei rossoneri – di strappare uno striscione, offesa gravissima nei codici degli ultras. Lucci colpisce con un pugno un uomo, Virgilio Motta. Lucci viene arrestato per lesioni gravissime: il tifoso nerazzurro diventerà cieco dall’occhio destro e, tre anni dopo l’uomo, dopo aver lottato per ottenere un risarcimento, si impiccherà. Lucci se ne esce con una condanna definitiva a quattro anni e sei mesi, ma anche con una maggiore popolarità sugli spalti, dove estende il suo giro di spaccio nonostante un Daspo lo tenga lontano dai gradoni.

I giri di droga

Lucci aveva una “posizione di vertice” e manteneva “relazioni con i narcotrafficanti esteri”, poteva procurare telefoni criptati e fornire “assistenza”, con le sue "ingenti disponibilità finanziarie di origine illecita", ai “collaboratori” "arrestati". Via chat pianificava “l'attività illecita senza mai partecipare attivamente”, trattava “sul prezzo di acquisto” e fissava quello “di vendita”

Ma è la droga il settore che gli interessa di più. Nel 2012 la polizia indaga su un traffico internazionale di hashish che porta al sequestro di 3,7 tonnellate di merce. Era stata ordinata da un gruppo composto da Lucci insieme ai fratelli Trocino sulla base di accordi stretti il 9 agosto 2012 a Palma di Maiorca con uno dei più importanti trafficanti italiani di fumo, Francesco Massimiliano Cauchi. L’indagine si chiude con un’archiviazione, ma proseguono le inchieste sugli affari illeciti di Lucci con base nei locali del “Clan 1899”, sede degli ultras, un deposito della droga. Stringe accordi con italiani, albanesi e marocchini. Spesso, però, Lucci se la cava: è il caso di un’indagine della Dda di Genova su un carico di fumo dal Maghreb sequestrato a La Spezia, nella quale la posizione del capo ultras viene stralciata, l’accusa ridimensionata e infine archiviata. Il 4 giugno 2018 viene stato arrestato nell'ambito di un’indagine, chiamata “Mongolfiera”, che ha portato al sequestro di 600 chili di droga e all'arresto di 22 persone. Per questo procedimento se la cava patteggiando un anno e mezzo di reclusione.

La situazione sembra cambiare il 17 dicembre 2021, quando il “Toro” e alcuni suoi compari di curva e spaccio vengono arrestati per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Il 4 maggio scorso il tribunale di Milano lo condanna a sette anni: secondo il gup Chiara Valori, Lucci aveva una “posizione di vertice” e manteneva “relazioni con i narcotrafficanti esteri”, poteva procurare telefoni criptati e fornire “assistenza”, con le sue "ingenti disponibilità finanziarie di origine illecita", ai “collaboratori” "arrestati". Il gruppo utilizzava l’app Encrochat, che per alcuni anni ha permesso a criminali di tutto il mondo di poter comunicare senza essere intercettati. Sulla chat Lucci (che usava il nickname “belvaitalia”) pianificava “l'attività illecita senza mai partecipare attivamente”. Per il gup era lui che trattava “sul prezzo di acquisto” e fissava quello “di vendita”.

Anche quando si dà alle attività lecite, come l’apertura di un ristorante, Lucci non può fare a meno di circondarsi di persone nate e cresciute in ambienti criminali: ad esempio, nella gestione del ristorante “I malacarne” (persona malvagia, imbrogliona), si trovano uomini “legati a famiglie della 'ndrangheta ionica e con precedenti penali riguardanti sostanze stupefacenti ed altro”, mentre è socio della Kobayashi insieme a “Sandokan” Lombardi e un altro pregiudicato. Gli investigatori, inoltre, sollevano dubbi su molti versamenti in contatti sul suo conto corrente, sui bonifici da società di gioco con sede a Malta e altri affari che alimentano un tenore di vita molto alto per chi ha fatto l’elettricista e ora figura come dipendente dell’associazione che gestisce il “Clan 1899”.

Ultras: tifosi o criminali

“Spesso i capi ultras sono persone che hanno una ‘struttura’ e all’interno dello stadio la accelerano. In curva la figura forte si inserisce in una contesto particolare in cui è richiesta una leadership. Chi inizia a frequentare lo stadio senza un orientamento esasperato, può farsi trascinare in certe logiche, ma difficilmente diventerà un capo”Giuseppe Petronzi - Questore di Milano

Allora, alla luce delle loro storie, Boiocchi e Lucci sono capi ultras o criminali. “Spesso i capi ultras sono persone che hanno una ‘struttura’ e all’interno dello stadio la accelerano – spiega a lavialibera il questore di Milano, Giuseppe Petronzi, per molto tempo dirigente della Digos della questura di Torino, dove si occupava anche delle tifoserie organizzate –. In curva la figura forte si inserisce in una contesto particolare in cui è richiesta una leadership. Chi inizia a frequentare lo stadio senza un orientamento esasperato, può farsi trascinare in certe logiche, ma difficilmente diventerà un capo”.

D’altronde ci sono aspetti che possono rendere compatibili l’appartenenza adun gruppo criminale e a un gruppo ultras: “Le logiche di carattere generale tendono a somigliarsi: gruppo, leadership e aggregazione. Con le doverose sfumature dei singoli casi si pensi a Diabolik o a Genny 'a Carogna”, ovvero Fabrizio Piscitelli (leggi la sua storia) e Gennaro De Tommaso, rispettivamente capi ultras della Lazio e del Napoli.

A questi atteggiamenti, inoltre, si può aggiungere l'avversione costante alle forze di polizia e alla giustizia.

Generalizzare però il discorso alle curve intere, dove siedono migliaia di persone per ogni partita, non si può, aggiunge il questore. A Milano la polizia, nel corso del 2022, ha arrestato tre persone in occasione di manifestazioni sportive e ne ha denunciate 81. 127 sono stati i tifosi destinatari di un Daspo, soprattutto legati alle tifoserie di Inter e Milan, ma anche della Pro Patria.

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