Da sinistra in alto, Giuseppe Molisso, Michele Senene e Raul Esteban Calderon. In basso, Leandro Bennato e infine Fabrizio Piscitelli insieme ad Arben Zogu e Elvis Demce
Da sinistra in alto, Giuseppe Molisso, Michele Senene e Raul Esteban Calderon. In basso, Leandro Bennato e infine Fabrizio Piscitelli insieme ad Arben Zogu e Elvis Demce

Omicidio Diabolik, ergastolo per Calderon, ma senza aggravante mafiosa chiesta dalla famiglia Piscitelli

Ergastolo per Raul Esteban Calderon, ritenuto il killer di Fabrizio Piscitelli, l'ex capo ultras della Lazio invischiato in traffici di cocaina. L'avvocato Tiziana Siano rappresenta la madre e la sorella: "Si aspettano che sia riconosciuta l'aggravante del metodo mafioso". La Corte d'assise però non accoglie la richiesta

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

25 marzo 2025

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È stato un processo anche interiore, personale, quello affrontato dalla famiglia di Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, il capo ultras degli Irriducibili della Lazio, invischiato nei traffici di cocaina di Roma e ucciso il 7 agosto 2019 in un parco della Capitale. I genitori e la sorella hanno dovuto prendere atto che il loro figlio e fratello era ormai un uomo importante nel panorama della criminalità organizzata della Città eterna. A differenza della moglie e delle figlie del “Diablo”, si sono costituiti parte civile nel processo contro Raul Esteban Calderon (o meglio Gustavo Alejandro Musumeci, come si è scoperto nel corso delle udienze), ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio. L'uomo, di origine argentina, è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Roma, che però non ha riconosciuto l'aggravante del metodo mafioso, come chiesto dalla procura e dall’avvocata di parte civile, Tiziana Siano.

L'omicidio di Diabolik è un caso ancora aperto

La sentenza: ergastolo per Calderon

La terza corte d'assise di Roma ha quindi condannato Calderon/Musumeci all'ergastolo per omicidio volontario, riconoscendo la premeditazione ma non l'aggravante del metodo mafioso, come chiesto nel corso della requisitoria dai pubblici ministeri Giuseppe Cascini, Rita Ceraso e Mario Palazzi e l'avvocato Siano. "Francamente sono un po' delusa dal mancato riconoscimento del metodo mafioso. In questa città si fa sempre molta fatica a riconoscere il metodo mafioso – ha dichiarato dopo la sentenza Angela Piscitelli, la sorella di 'Diabolik' –. Da questo processo esco con uno spirito combattivo, perché come è stato detto più volte, io non appartengo a questo mondo. E quindi, ovviamente voglio giustizia per mio fratello. Perché mio fratello non doveva stare in un’urna ma forse doveva stare in carcere. Combatterò come ho fatto finora insieme alla mia famiglia”. Gli avvocati di Calderon, Gian Domenico Caiazza ed Eleonora Moiraghi, ribadiscono l'innocenza del loro cliente e annunciano già ricorso in appello.

L'omicidio di Diabolik maturato in un "ambiente mafioso"

“Subito dopo l’assassinio l’allora procuratore di Roma Michele Prestipino dichiarò alla commissione parlamentare antimafia che si trattava di un omicidio maturato in un ambiente mafioso. Lì per lì la famiglia non poteva accettarlo"Tiziana Siano - Avvocato della famiglia Piscitelli

“Subito dopo l’assassinio – spiegava l’avvocatessa romana nel corso di un colloquio con lavialibera – l’allora procuratore di Roma Michele Prestipino dichiarò alla commissione parlamentare antimafia che si trattava di un omicidio maturato in un ambiente mafioso. Lì per lì la famiglia non poteva accettarlo. Fabrizio aveva scontato una pena per spaccio e loro non si aspettavano qualcosa del genere”. D’altronde si tratta di una famiglia composta da persone che lavorano per lo Stato: il padre, Bartolomeo, poliziotto, la madre Maria Assunta agente della penitenziaria, la sorella Angela funzionaria del tribunale per i minorenni, il fratello Andrea dipendente del ministero dell’Interno.

Dopo l'uccisione, e nel corso del processo, sono emersi molti elementi che hanno fatto capire: quell’omicidio era davvero maturato nell’ambiente della criminalità organizzata. “Innanzitutto bisogna considerare il luogo in cui è stato ucciso Fabrizio, un territorio sotto il controllo della famiglia Senese”, ricorda l’avvocata. O meglio, la famiglia del boss della camorraMichele Senese, che è stato il “padrino” di Diabolik, cresciuto all’oratorio San Giovanni Bosco insieme a Gennaro, fratello di Michele.

Sotto la protezione del camorrista sono cresciuti anche Giuseppe Molisso e Leandro Bennato, due trafficanti di cocaina ritenuti – ma non imputati – i mandanti dell’omicidio dell’ex capo degli Irriducibili della Lazio, coloro che avrebbero  – secondo le ipotesi degli investigatori – assoldato Raul Esteban Calderon per commettere l'omicidio: “In questo processo non ci sono i mandanti, ma i nomi escono”. Piscitelli e Molisso “sono cresciuti insieme sotto la stessa ‘famiglia’. C’è un’intercettazione di Elvis Demce (uno degli albanesi alleati a Piscitelli, leggi qui) che lo spiega bene: ‘Fino a ieri avete mangiato insieme e poi l’avete ucciso’”.

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La guerra tra bande per lo spaccio di cocaina

Leggi il numero su mafie e ultrasMa cosa sarebbe successo? Bennato e Molisso “volevano imporre il prezzo della cocaina nelle piazze di spaccio. Piscitelli e Fabrizio Fabietti volevano invece introdurre cocaina a prezzi inferiori, come emerge dal procedimento Grande raccordo criminale”, riassume l’avvocata. Si tratta di una delle inchieste emerse dopo l’omicidio di Piscitelli, con gli arresti del 28 novembre 2019.

Nel corso del processo a Calderon, due collaboratori di giustizia, i fratelli Fabrizio e Simone Capogna, due spacciatori a cui Molisso e Bennato volevano imporre le “forniture” a prezzi più cari, hanno reso dichiarazioni importanti per ricostruire il contesto. La compagna di Calderon, Rina Bussone, ha inoltre rivelato di aver appreso che Bennato voleva uccidere Fabrizio Piscitelli perché lo definiva un infame. I due broker avrebbero quindi sfruttato un terzo uomo, Alessandro Capriotti, che aveva un debito con Diabolik: sarebbe stato lui a dare l’appuntamento nel parco degli Acquedotti il giorno dell’agguato mortale.

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L'ultima inchiesta su Molisso e Bennato

A suffragare l’ipotesi di una guerra tra bande è arrivata anche un’operazione condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Roma martedì 18 marzo scorso, nei confronti di 26 persone accusate di far parte dell’organizzazione guidata da Giuseppe Molisso e Leandro Bennato che riforniva di cocaina moltissime piazze di spaccio della Città (Tor Bella Monaca, Quarticciolo, Quadraro, Cinecittà, Tuscolano, Giardinetti, Primavalle e Casalotti). Secondo gli inquirenti, i due capi volevano riunire le più importanti piazze di spaccio della Capitale, imponendo ai capi delle singole piazze la fornitura di cocaina, addirittura a prezzi più alti. Si trattava di un’organizzazione violenta e vendicativa.

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L’omicidio di Fabrizio Piscitelli sarebbe soltanto uno dei tanti episodi violenti di questa guerra tra bande. Nella storia del gruppo di Molisso e Bennato si trovano casi di torture, rapine, tentati omicidi (come quello ai danni dei fratelli Costantino, rivali di Molisso) e omicidi, come quello di Shehaj Selavdi (avvenuto sulla spiaggia di Torvajanica il 22 settembre 2020), per il quale la Corte d’assise di Frosinone ha condannato – in primo grado – Calderon e Molisso, ritenuti colpevoli anche dell’episodio a danno dei fratelli Costantino.

L’assassinio di Diabolik aveva scatenato delle vendette: il 14 novembre successivo, due uomini su uno scooter hanno tentato di uccidere Leandro Bennato in via Boccea (Casal del Marmo), nei giorni successivi qualcuno ha provato ad ammazzare Fabrizio Fabietti, braccio destro di Piscitelli. Soltanto l’operazione Grande raccordo criminale, con l’arresto di Fabietti, ha interrotto l’escalation di violenza.

Dopo l'omicidio di Diabolik, le inchieste hanno rivelato chi era davvero

“Il papà di Fabrizio più volte si chiedeva cosa fosse successo al figlio. Quando era stato condannato per spaccio, speravano si fosse riabilitato. Possibile che fosse entrato in una dimensione così grande? I familiari non immaginavano cosa ci fosse dietro. Poi è arrivata la consapevolezza, una presa di coscienza legata anche a un atto di coraggio”

“Da quello che è uscito dalle intercettazioni e dalle chat dei criptofonini, Fabrizio è descritto come qualcuno che ha cercato di fare una scalata”, spiega l’avvocata Siano. Tuttavia “alcune sentenze hanno dato conto di un ruolo marginale, come se fosse stato addetto soltanto al recupero dei crediti”. Fatto sta che “l’omicidio di Piscitelli era un segnale ben preciso: chi alza la testa deve sottostare a chi controlla il territorio – prosegue la legale della famiglia Piscitelli –. L’omicidio di Fabrizio Piscitelli è stato un grave errore per la criminalità organizzata”. La famiglia “ora si aspetta che sia riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso”. Aggravante che, al momento, non è stata riconosciuta per l’omicidio Selavdi a Torvajanica, né per un episodio contestato a Molisso e Bennato nell’ultima inchiesta.

“Il papà di Fabrizio più volte si chiedeva cosa fosse successo al figlio. Quando era stato condannato per spaccio, speravano si fosse riabilitato. Possibile che fosse entrato in una dimensione così grande? I familiari non immaginavano cosa ci fosse dietro. Poi è arrivata la consapevolezza, una presa di coscienza legata anche a un atto di coraggio”. Un coraggio che è mancato dagli altri ambienti frequentati da Fabrizio: “Tutti color che si erano definiti amici, nessuno ha dato un contributo o ammesso quanto emerso. Nessuno ha avuto il coraggio di venire in udienza. C’è omertà e anche paura, a dimostrazione della forza intimidatoria. Sanno quale può essere la reazione dei soggetti, gente che ha torturato persone anziane pur di riscuotere i crediti”.

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