Incendio in una fabbrica di raccolta rifiuti a Caivano, tra Napoli e Caserta. Credits: Vigili del Fuoco
Incendio in una fabbrica di raccolta rifiuti a Caivano, tra Napoli e Caserta. Credits: Vigili del Fuoco

Rifiuti in fiamme: il patto tra imprenditori, amministratori e mafie

Nella sua ultima relazione semestrale la Direzione investigativa antimafia (Dia) ha dedicato un focus ai crimini ambientali, puntando i riflettori sui molteplici interessi che si nascondono dietro lo smaltimento illecito dei rifiuti. Tra le conseguenze più preoccupanti, gli incendi negli impianti di raccolta, al Nord come al Sud

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

Aggiornato il giorno 18 marzo 2020

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Rifiuti in fiamme al Nord come al Sud. Enormi carichi di immondizia che viaggiano per l’Italia e, in barba a ogni divieto, si spostano di regione in regione per poi essere dati alle fiamme o sversati in cave e capannoni abusivi. Crimini ambientali in “preoccupante estensione” che danneggiano il territorio minacciando la nostra salute, scrive la Direzione investigativa antimafia nella sua ultima relazione semestrale

Smaltimento illecito dei rifiuti, non solo affare di mafia 

È la prima volta che il rapporto dedica un lungo, e corposo, capitolo agli ecoreati legati allo smaltimento illecito dei rifiuti: una scelta importante diretta a sottolineare la pericolosità di questi crimini ambientali, diventati sempre più frequenti perché — precisa la Dia — non sono solo affare di mafia ma rispondono all’interesse di molteplici attori. C’è l’imprenditore spietato che punta a smaltire i propri scarti illegalmente per pagare meno tasse, ci sono le amministrazioni costrette a lavorare in costante emergenza, ci sono i politici desiderosi di guadagnare consensi elettorali, e poi ci sono le mafie. 

“Trasi munnizza e niesci oro”

Le organizzazioni criminali sfruttano questo contesto per infiltrarsi nella gestione degli scarti facendo proprio il detto di un uomo d’onore siciliano, poi declinato in infiniti dialetti e diverse lingue, “trasi munnizza e niesci oro”, ovvero “entra immondizia ed esce oro”. Ma gli illeciti sono connessi soprattutto al mondo produttivo e non alle “ingerenze della criminalità mafiosa nello specifico settore”, come aveva già spiegato la Direzione nazionale antimafia nella relazione annuale del 2017.

La legge sugli ecoreati del 2015

“Un lavoro importante quello della Dia”, commenta alavialiberaStefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Che non sarebbe stato possibile senza la legge sugli ecoreati (68/2015) che prevede, tra le altre cose, la reclusione per il traffico illecito di rifiuti (già introdotta nel 2001). “Grazie alla norma, gli ecoreati hanno smesso di essere reati di serie B, permettendo a tutti i soggetti che si occupano del problema — magistratura, forze di polizia e parlamento — di avere a disposizione tutti i necessari strumenti conoscitivi e repressivi”, conclude Ciafani. 

Il business dei rifiuti

Il giro d’affari della “munnizza” è notevole e in crescita: stando ai dati dell’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2017 la produzione di rifiuti urbani è aumentata del 2 per cento rispetto al 2018. Lo stesso vale per i rifiuti speciali che tra il 2016 e il 2017 hanno registrato una crescita del 2.9 per cento, corrispondente a circa quattro milioni di tonnellate. Numeri che hanno fatto e continuano a fare gola, e sono al centro degli interessi criminali come dimostrano le inchieste condotte e chiuse dalle forze dell’ordine monitorate da Legambiente: dal febbraio 2002 al 31 maggio 2019 se ne contano 459 per un totale di 9.027 persone denunciate, 2.023 arrestate, 1.195 aziende coinvolte e 46 Stati interessati. Si stima che nel 2018 gli ecoreati legati al traffico illecito dei rifiuti siano stati 8mila: quasi 22 al giorno.

Rifiuti di aziende e comuni nelle mani delle mafie

I produttori di rifiutisvolgono un ruolo fondamentale in questo stillicidio. Nel settore privato, al centro dei traffici si individuano “aziende che, pur se non riconducibili a specifiche consorterie, operano nel settore con condotte dolose per incrementare i profitti attraverso il fraudolento contenimento dei costi di smaltimento dell’immondizia trattata”. Esigenze che la criminalità organizzata è pronta a soddisfare. In quello pubblico, invece, le amministrazioni giustificano blandi controlli o violazioni di legge “con la necessità e l’urgenza che accompagna i provvedimenti amministrativi in materia dei rifiuti”. Una condizione che spinge gli enti locali a trovare la soluzione più celere per smaltire i rifiuti, per due motivi: risolvere i potenziali conflitti sociali, evitare responsabilità politiche e/o amministrative. 

L'emergenza, spesso permanente, vede tra le sue cause l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbero consentire l’autosufficienza a livello regionale così come il ricorso alle sole discariche, destinate a lungo termine alla saturazione. Un esempio è quanto succede all’impianto di Bellolampo, in provincia di Palermo, ormai saturo, che dal 2018 ha reso necessario il trasferimento dei rifiuti in altre discariche. Situazione critica documentata anche dai Carabinieri del nucleo operativo ecologico (Noe) che nel mese di giugno 2019 hanno rilevato un accumulo di circa duemila tonnellate di rifiuti in eccesso ammassati accanto agli impianti di pretrattamento. 

“Questo è il contesto in cui più spesso avviene l’infiltrazione e il condizionamento della pubblica amministrazione”, si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia, perché “le consorterie mafiose cercano, in particolare, di penetrare quelle zone grigie in cui subentra un principio di mutua assistenza” in modo da accaparrarsi concessioni e appalti per la fornitura di beni e servizi o per la gestione delle discariche in cambio di favori di vario genere elargiti a politici o funzionari pubblici. Il risultato è un “perfetto circuito mafia-corruzione”.

Rifiuti in fiamme 

Una delle conseguenze più preoccupanti dello scellerato patto tra imprenditori, amministrazioni pubbliche e mafie nella gestione dell’immondizia sono gli incendi di natura dolosa, o comunque sospetta, negli impianti di raccolta di rifiuti spesso abusivi, la cui incidenza “è risultata sintomatica di una diffusa speculazione criminale nel business dei rifiuti”. A volte ci pensano anche “titolari di impianti autorizzati a darli alle fiamme in capannoni che si trovano prevalentemente in Piemonte, Lombardia e Veneto”. “Bombe ecologiche, i cui futuri costi di smaltimento ricadranno interamente sulla collettività”, spiega la Dia. I dati analizzati per il triennio 2015-2017 evidenziano che il 47,5 per cento dei roghi si è verificato al Nord (57), il 16,5 per cento al Centro (31), il 23,7 per cento al Sud (27) e il 12,3 per cento nelle isole (15, tutti in Sicilia). 

Sentito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti lo scorso 29 maggio 2019, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha dichiarato che da giugno 2018 a maggio 2019 si sono verificati 262 roghi, di cui 165 presso aree di deposito rifiuti, i restanti in aree di lavorazione rifiuti. Una delle cause è la recente chiusura del mercato cinese, dove l'Europa non può più esportare imballaggi (plastica, carta, metalli) e materiali riciclabili in genere. Uno stop che ha determinato l'intasamento dei magazzini delle ditte operanti nel settore.

Dalla Campania all’Italia del Nord

“Negli ultimi due anni il Nord è stato interessato da un numero di episodi del genere in crescita esponenziale”, ha spiegato a Valori Alessandra Dolci, coordinatrice della direzione distrettuale antimafia di Milano. “Sia di roghi sia di sequestro di siti, in genere capannoni dismessi, in cui sono stoccati illecitamente dei rifiuti”. Non a caso proprio dal rogo di un capannone a Corteolona (Pavia), avvenuto il 3 gennaio del 2018, è partita l’operazione Feudo della Dda di Milano. L’indagine ha svelato un sodalizio criminale che portava immondizia proveniente dalla Campania — in teoria da trattare — in capannoni abbandonati collocati in diverse aree industriali del nord Italia, dove veniva ciclicamente messa a fuoco, o in una cava dismessa della Calabria in cui era interrata.

Un patto che in un anno ha gestito 14mila tonnellate di rifiuti urbani, industriali e ospedalieri per un giro d’affari che nel 2018 ha fatto realizzare oltre 1,7 milioni di euro di profitti. Le investigazioni della Dda sono ancora in corso. “La circostanza che i rifiuti fossero stoccati in siti nelle vicinanze di Lamezia Terme, zona controllata dalle famiglie di ‘ndrangheta, fa ipotizzare che tutto ciò sia avvenuto con il consenso delle ‘ndrine  — prosegue Dolci —. Sono in corso gli accertamenti per verificare che i grossi flussi di denaro, prodotti dall’attività illecita, siano finiti a soggetti della malavita organizzata”. 

Al Sud roghi appiccati per alimentare l’emergenza 

Ai roghi negli impianti di rifiuti si affiancano gli incendi dell’immondizia illegalmente riversata in strada. Emblematico è quanto accade in Campania che, stando a quanto scritto nella relazione della Dia, “riveste ancora oggi un ruolo di primogenitura nel traffico illecito di rifiuti”. Qui, nella zona compresa tra le province di Napoli e Caserta, battezzata non a caso “terra dei fuochi”, gli incendi continuano da anni. Infine soprattutto al Sud, secondo la Direzione investigativa antimafia, i roghi di rifiuti “non di rado sono appiccati per agevolare e mantenere la situazione di emergenza che obbliga le pubbliche amministrazioni a affidamenti diretti (senza gare d’appalto) o prorogare contratti in scadenza”. 

 
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