Milano, 17 marzo 2019. La polizia scientifica indaga sull'incendio in un deposito rifiuti in via Campazzino. M. Corner/LaPresse
Milano, 17 marzo 2019. La polizia scientifica indaga sull'incendio in un deposito rifiuti in via Campazzino. M. Corner/LaPresse

Rifiuti, gli ecocriminali si infiltrano nelle falle del sistema

Il traffico dell'immondizia attira criminali a caccia di soldi facili e mafie con l'esigenza di lavare denaro. Governare le sue storture significa rigovernare l'intero processo di produzione e consumo

Antonio Pergolizzi

Antonio PergolizziCuratore del rapporto Ecomafia di Legambiente

2 novembre 2020

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Blu mais è il nome dato all’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze contro un traffico illecito di rifiuti speciali provenienti dal distretto conciario di Santa Croce sull’Arno, veleni allo stato puro spacciati per fertilizzanti e riversati nei campi agricoli. Facendo il verso all’economia circolare, in maniera completamente illegale, rifiuti pericolosissimi per la salute umana e in genere per l’ecosistema, contenenti cromo esavalente e alte concentrazioni di idrocarburi, diventavano cibo per campi coltivati a mais, grano e girasole, tra le province di Firenze e Pisa. Veniva messa in scena persino la vendita del finto concime, solo che questa volta chi lo acquistava veniva pagato. Un mercato al contrario, com’è il mondo dei trafficanti. Uno spaccato da incubo che si ripresenta a cadenza oramai quotidiana. 

Dove arriva Covid, arrivano le deroghe. Anche sui rifiuti

L’attrazione criminale per i rifiuti

Come una luce accecante, i rifiuti attraggono criminali come falene. Criminali a caccia di soldi facili, spesso rafforzati dalla convinzione che trafficare mondezza sia cosa facile e senza bisogno di sporcarsi troppo le mani. Appena l’emergenza Covid si è allentata e gli inquirenti si sono rimessi per strada, le inchieste di questo tipo si sono moltiplicate come ai tempi d’oro dell’ecomafia campana, che pare non abbia più il monopolio del copyright per far sparire e riapparire monnezza e trasformarla in oro colato. Sta succedendo lungo tutto lo Stivale, spesso pure con lo zampino delle mafie che sono a loro agio sia nel condizionamento dei sistemi di appalti e sub appalti, sia nel controllo classico (più o meno diretto) di ditte operative nel movimento terra e trasporto (quindi iscritte all’albo dei Gestori ambientali) oltre che nella gestione e trattamento dei rifiuti. Eserciti che vantano sempre nuove reclute si cimentano a ruota libera sul tema con poche varianti.

Le mafie gestiscono le imprese per stare sul mercato: in alcuni casi hanno un ruolo egemone, in altri sono integrate nel sistema economico locale

Dalle analisi investigative emerge il ruolo delle mafie come egemoni in alcuni contesti, perfettamente integrate nel sistema economico locale, capaci di cambiare passo a seconda delle circostanze, ma comunque sempre pronte a gestire imprese (prevalentemente tramite prestanomi) per stare sul mercato. Hanno esigenza di lavare denaro e le ditte di gestione dei rifiuti movimentano tanta, tantissima documentazione contabile, consentendo loro di moltiplicare gli affari. Perché fermare il business alla fase dello smaltimento con una discarica (legale e/o illegale) se è possibile continuare con processi di finti trattamenti e vendite di finte materie prime seconde? 

Il trafficante di rifiuti

In generale, l’identikit del trafficante di rifiuti non cambia molto quando le mafie stanno alla finestra, essendo sempre quello dell’impresa, spesso nella forma della srl, che si muove sia nel mercato legale sia in quello illegale, privilegiando comunque le zone d’ombra dei sistemi di regolazione. Essendo quello dei rifiuti un settore industriale dove si maneggia valore e disvalore allo stesso tempo (con procedure di autocertificazione) e dove il valore aggiunto risiede nella qualità delle procedure di trattamento e smaltimento, l’incentivo a truccare le carte è troppo alto. 

Rifiuti in fiamme: il patto tra imprenditori, amministratori e mafie

Non a caso è il mercato nero del riciclo il vero piatto forte dei network più strutturati che, come spiega bene l’inchiesta Blu mais, dell’economia circolare si prendono solo ciò che gli conviene, ossia il valore degli scarti, evitando scrupolosamente di sostenere quei costi che rendono la valorizzazione pienamente compatibile con le esigenze ambientali e sanitarie.  

Non mancano nemmeno le bad company usate dai trafficanti per scaricare tutti i passivi per poi mandarle letteralmente in fiamme quando il gioco si fa duro, quando i mercati di sbocco dei materiali sono out e non c’è altra via d’uscita. Non è un caso se oggi i roghi sono l’immagine più plastica di un ciclo che sta collassando su se stesso. 

Tra le falle del sistema

Quindi è solo una faccenda tra criminali? Una delle tante declinazioni della battaglia tra guardie e ladri? No, ovviamente. No, perché i criminali sono anche, forse soprattutto, il prodotto di inefficienze, superficialità, assenze. Gli ecocriminali sono come un’acqua malata, assumono la forma del contenitore e se il contenitore è quello sbagliato loro proliferano come patogeni incontrollati. La regolazione, così come la pianificazione strategica in un’ottica di ciclo industriale, fanno la differenza, allargano o all’opposto restringono lo spazio dei trafficanti. Questi, infatti, sguazzano laddove si lascia loro campo libero. Oppure, semplicemente, si sistemano sulle sponde del fiume in attesa che passi il cadavere. Sono forti dove il sistema di regolazione ufficiale è debole.

Serve a poco indugiare sulla forza delle ecomafie senza capire dove e perché il sistema ufficiale non funziona: gli ecocriminali sono forti laddove il sistema è debole

Basta cambiare angolo d’osservazione per comprendere subito che la loro, quella dei trafficanti, è la risposta scaltra e illegale alle falle nei modelli di governance (la gestione e il governo di una società), alle inefficienze consolidate e difficili da scardinare. Non solo al sud, ma ovunque, prevalentemente dove il tessuto economico produttivo è forte, quindi capace di produrre maggiori quantitativi di rifiuti speciali. Se ogni anno produciamo più o meno 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (cioè di provenienza domestica e gravitanti sotto il cappello pubblico), produciamo circa 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, ossia generati dal mondo produttivo e lasciati alle leggi del mercato. Se gli ecocriminali sono più lesti nel dare risposte, qualche domanda occorre porsela, principalmente da parte di chi ha ruoli di government (regolamentazione).  

In realtà i rifiuti sono una lente con cui osservare la realtà e le sue contraddizioni, i suoi limiti. Governare le sue storture significa rigovernare l’intero processo di produzione e consumo. Parlare di rifiuti significa scomodare modelli di sviluppo e di crescita, approcci antropocentrici e utilitaristici, visioni del mondo ed economie contrapposti. Il rifiuto è prima di tutto figlio di una scelta, come si intuisce sin dalla sua definizione giuridica. E le scelte in questo caso hanno radici lontane e profonde. Serve a poco continuare a indugiare solo sulla forza dell’ecomafia e della criminalità ambientale senza capire dove e perché il sistema ufficiale non ha funzionato. La prevenzione dovrebbe essere la vera priorità nazionale. Bisogna intervenire prima della commissione degli ecoreati, quando intervengono gli inquirenti è troppo tardi. I problemi vanno conosciuti in ogni aspetto, prima ancora che combattuti. 

Prevenzione prima che repressione

Da quest’angolo d’osservazione, la buona governance nel ciclo dei rifiuti, che vuol dire un ciclo integrato e industriale appropriato a ciascun territorio, risulta il miglior antidoto alle inefficienze e al malaffare. Per tale motivo non ci devono essere alibi: senza buone policy serve a poco la repressione, al massimo a mettere una pezza al buco e continuare a fabbricare eroi e personaggi noti al grande pubblico. "Sventurata la terra che ha bisogno di eroi": quanto sono vere le parole di Bertolt Brecht.

Inefficienze e malaffare sono un tutt’uno, figli dello stesso demone. Separarne il racconto serve a giustificarli, o meglio, a rimuoverli dal racconto ufficiale. È necessaria, invece, una visione d’insieme. Usando quest’approccio, legale e illegale diventano facce della stessa medaglia. Prima di discutere di ecocrimini e illegalità, serve comprendere a fondo i fili che muovono i processi di regolazione ufficiali. È qui che si materializzano le peggiori trappole, si annidano i veri parassiti del sistema. L’illegalità si sposta sempre più a monte ed è lì che va stanata. Da questa nuova prospettiva, la patologia diventa solo un modo più intenso e più intelligente di guardare la fisiologia. 

Oltre i rifiuti

Come se ne esce? Intanto, prima ancora di caricare i fucili contro i trafficanti, occorre essere consapevoli che il tema dei rifiuti è uno dei tanti “problemi perfidi” con cui ci tocca convivere. Negli anni Sessanta due scienziati politici, Horst W. J. Rittel e Melvin M. Webber, usavano il concetto di “problemi perfidi” per spiegare che, con il passare del tempo, quella che era una semplice domanda tecnica si è trasformata in domanda politica (in questo caso sociale, etica e ambientale), rimettendo in discussione la mission del patto sociale. Le formulazioni non sono definitive una volta per tutte, non c’è una regola per definire quando un problema è stato risolto, le lenti con le quali si osservano i fenomeni non sono sempre le stesse, le soluzioni non sono del tipo “vero o falso” ma “migliore o peggiore”, le soluzioni non hanno effetto immediato e non è nemmeno chiaro quali siano le cause e quali gli effetti.  

Parlare di rifiuti significa scomodare modelli di sviluppo e crescita, approcci antropocentrici e utilitaristici

Ciò detto, se il miglior rifiuto è quello non prodotto, allora è necessario cambiare i modelli di consumo e di produzione, mettendo in soffitta lo spreco e l’usa e getta, e allo stesso tempo puntare sull’innovazione di processo e di prodotto. Il problema va risolto a monte, prima ancora che un materiale/prodotto/sostanza diventi uno scarto. Se la gestione dei rifiuti è sempre un’attività di interesse pubblico, deve però trovare solide gambe economiche, altrimenti le scorciatoie saranno sempre dietro l’angolo. Non è pensabile che tutti i costi ricadano sulle barcollanti casse dello Stato, quindi dei contribuenti, che già pagano le bollette della Tari. La vera scommessa è trovare un equilibrio tra interesse pubblico e mercato. 

Anche l’economia circolare, come ogni altra attività produttiva, ha bisogno di gambe forti per camminare, cioè impianti in grado di valorizzare i rifiuti. Solo un’economia circolare capace di reggersi con le proprie gambe è un vero antidoto sicuro contro il malaffare. Inoltre, la tracciabilità e la misurazione dei flussi devono essere una precondizione indispensabile per ogni valutazione oggettiva dei modelli di gestione. Insomma, senza modelli di governance efficienti, misurabili e sostenibili non si può avere una vera politica di prevenzione in questo settore.  Non servono eroi ma conoscenza, etica, responsabilità. Servono buoni amministratori e imprenditori, entrambi onesti e di talento, e tanta buona volontà da mettere in rete. "Tutto nel mondo sta dando risposte, quel che tarda è il tempo delle domande", ha scritto sapientemente Jorge Saramago. Serve porre le giuste domande, prima di pensare alle risposte.

Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020

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