Il termine ecomafie indica “i gruppi della criminalità organizzata che basano buona parte della loro attività e delle loro entrate in azioni che causano in maniera deliberata o meno il degrado del territorio e dell'ambiente”. La definizione è ripresa testualmente dal rapporto “Le ecomafie - il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale”, realizzato nel 1994 da Legambiente, con la collaborazione di Eurispes e dell’Arma dei Carabinieri. Il documento rappresenta il debutto ufficiale del termine ecomafia, neologismo ideato dal giornalista Enrico Fontana, allora responsabile dell’Osservatorio permanente Ambiente e Legalità. C’era bisogno di una nuova parola? Evidentemente sì, visto il successo che la definizione ha riscontrato negli anni, fino al punto di entrare nei testi legislativi. Il merito è stato quello di riuscire a tenere insieme nel concetto i due “cicli” più importanti che alimentano questo business illegale a danno dell’ambiente: il cemento e i rifiuti. Nel primo ciclo, rientra la filiera dell’abusivismo edilizio e dei grandi appalti, zona grigia in cui gli interessi della criminalità organizzata si saldano con quelli della speculazione. Nel secondo ciclo, invece, la miniera d’oro è l’immondizia, centro gravitazionale di un traffico sporco (in tutti i sensi), capace di generare ecodisastri come la Terra dei Fuochi.