Il termine ecomafie indica “i gruppi della criminalità organizzata che basano buona parte della loro attività e delle loro entrate in azioni che causano in maniera deliberata o meno il degrado del territorio e dell'ambiente”. La definizione è ripresa testualmente dal rapporto “Le ecomafie - il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale”, realizzato nel 1994 da Legambiente, con la collaborazione di Eurispes e dell’Arma dei Carabinieri. All’origine del neologismo c’è Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio permanente Ambiente e Legalità di Legambiente, che coniò il termine nel 1993 quando diverse inchieste in più regioni italiane mostrarono il coinvolgimento di decine di imprenditori, politici e camorristi nel traffico illecito di rifiuti.
Allora, la Procura nazionale antimafia decide di schierare contro l’ecomafia cinque dei venti magistrati che compongono il suo staff. Tra le testimonianze raccolte c’è quella del boss pentito Nunzio Perrella, che al magistrato che lo interrogava spiega che “la monnezza è oro” e racconta del “patto di Villaricca” tra camorristi, imprenditori, intermediari affiliati a logge massoniche e politici locali per spartirsi il traffico illegale dei rifiuti in Campania. Nel 1995, su proposta di Massimo Scalia, storico dirigente di Legambiente, allora deputato dei Verdi, il parlamento istituisce la Commissione d'inchiesta sui traffici illegali di rifiuti, comunemente chiamata Commissione ecomafie, che si attiva immediatamente con missioni e audizioni. Le relazioni degli anni successivi denunciano un sistema di smaltimento illegale dei rifiuti, tra cui metalli pesanti e materiali tossici, provenienti dalle industrie del Nord in decine di discariche abusive in Campania, “la cui gestione è direttamente riconducibile a clan della criminalità organizzata”. È la cosiddetta “terra dei fuochi”, che si estende tra le province di Napoli e Caserta e che nel 2000 è stata dichiarata sito di interesse nazionale (sin) da bonificare.
Le inchieste spingono il parlamento ad aggiornare gli strumenti penali per contrastare le ecomafie: nel 2001 viene approvata la norma per cui trafficare rifiuti diventa un delitto, con pene reclusive da uno a sei anni, si possono fare intercettazioni telefoniche e ambientali e contestare l'associazione a delinquere. Ma bisognerà aspettare il 2015 per vedere approvata la legge che inserisce nel codice penale cinque delitti ambientali: l’inquinamento, il disastro ambientale, con pene fino a 15 anni di reclusione, il traffico di materiale radioattivo, l’omessa bonifica e l’impedimento del controllo.
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